#salviamolechiese anche dalle paraliturgie omoeretiche – La Nuova Bussola Quotidiana

D’accordo. Una veglia di preghiera non è una partita di tennis, ma visto quanto successo a Vienna, dove una veglia di preghiera si può trasformare in un happening che non ha nulla a che vedere con il culto reso a Dio fino a diventare una provocazione in salsa omoeretica, possiamo invocare il nostro hastag #salviamolechiese. E’ per questo motivo che anche per l’evento di Santo Stefano si può intravedere un uso misto tra sacro e profano che di fatto riduce l’edificio chiesa a semplice contenitore di un evento mondano e poco più.

A cominciare dall’ambientazione: sul soffitto della navata centrale della Cattedrale di Vienna sono stati installati dei grandi pannelli con i nomi di diverse vittime dell’Aids. Intenzione lodevole, ma presentata a mo’ di manifesto fine a se stesso, sicuramente dall’intento rivendicativo e ideologico. In chiesa infatti la veglia è consistita con l’esecuzione del Requiem di Mozart, l’austriaco più celebre cui il cardinal Schonborn ha fatto spesso riferimento nel suo intervento e che moriva giusto ieri 217 anni fa. Poi è seguito un evento di lumini e canti “a battimani” misto tra la paraliturgia e la rivendicazione dell’orgoglio gay con proclami e qua e là qualche generica preghiera.

Tutto troppo confuso per chi vuole davvero pregare per le vittime dell’Aids. Nessuno giudica le intenzioni, ma sullo strumento utilizzato si può esprimere un giudizio netto, soprattutto perché non appartiene alla mens della Chiesa. La quale Chiesa da sempre, ritiene un suo dovere quello di pregare per i defunti, perché siano accolti tra le braccia del Salvatore. Ebbene: l’evento per eccellenza che si deve fare dentro una chiesa per i defunti è proprio la messa applicata per loro, indipendentemente dalla loro storia o dall’esito della loro vita terrena. E’ il regalo più bello e potente che Cristo ha lasciato per associarsi a lui.

Una messa dunque con la quale offrire il sacrificio perfetto per le anime che ci hanno preceduto nell’eternità e alle quali, grazie alle nostre messe in loro memoria, possiamo accorciare il tempo di permanenza in Purgatorio. E’ una verità della Chiesa che “disintegra” tutti i lumini accesi e le tante parole umane spese.

Invece la coreografia andata in scena a il 1 dicembre nella capitale austriaca è il risultato di una liturgia umana che ha escluso completamente Dio, la sua misericordia accompagnata al suo giudizio sulle vicende umane. Ne è una prova proprio l’utilizzo del Requiem di Mozart. Capolavoro indiscusso del maestro di Salisburgo, ma ormai cristallizzato in una bella teca che lo ha trasformato in un semplice concerto, svuotato della sua forza liturgica. Un capolavoro, ma le cui ali sono state tagliate. Invece il Requiem non è un semplice accompagnamento, ma è messa. Messa cantata, come si fa ancora secondo la forma straordinaria del Rito Romano.

La messa da Requiem si chiama così dalla prima parola dell’antifona di introito Requiem aeternam. Dunque è musica liturgica, che nasce per la liturgia dei defunti, che nelle antifone e nei testi contenuti nel Messale trova il suo spazio e la sua dignità. Tanto più che il testo che accompagna il capolavoro di Mozart, come gli altrettanti capolavori di Verdi o di Perosi, è quello delle parti della messa, dall’introito al Communio e comprende la celebre sequenza che inizia proprio con le parole Dies Irae e prosegue con il Tuba mirum e il Lacrimosa dopo essere passata per il Confutatis maledictis. Insomma: musica e testi per la liturgia della messa dei defunti, che acquisiscono il loro valore extramusicale proprio all’interno del rito liturgico, fonte e culmine della vita cristiana.

Suonarlo a margine un evento tanto ambiguo quanto fortemente mondanizzato e svuotarlo dunque del suo contesto rappresentato dall’evento del calvario che si rivive, rappresenta lo specchio dei tempi: la confusione fra pastoralità e dottrina che si serve di un simulacro bello e affascinante, ma svuotato del suo significato o che comunque non riesce ad esprimersi al meglio per quello che è il suo scopo perché l’oggetto della lode e della preghiera non è contemplato.

Questo utilizzo della messa in versione concertistica è un limitarne e coglierne solo l’aspetto esteriore ed estetizzante senza voler aprofondire o essere toccati dal suo conteuto e dal suo significato. E’ come chi si ferma all’esteriorità di una celebrazione particolarmente appariscente o suggestiva senza capire quello che è il significato del Santo sacrificio che si riprone in maniera incruenta. Volerla vivere così è ridurre a un mero estetismo, lo stesso estetismo di cui si accusa ingiustamente i tradizionalisti attaccati alla forma straordinaria della messa. Per i profani: è uno scartare l’invlucro e non gustare il cioccolatino.

E questo è tanto più sentito nella messa da Requiem dove il tema del peccato e della misericordia sono giocati in un dialogo drammatico e salvifico del peccatore che si vergogna della sua colpa tanto da tremare e diventare rosso di fronte al Dio. E che cosa c’è che fa vergognare di più l’uomo se non il peccato di sodomia? Utilizzare quella messa per sostenere una lotta politica secondo il consumato canovaccio dei Live Aid non soltanto significa non aver capito il signifcato della Messa da Requiem, ma è un profanare ancora una volta le cose sacre.

Sorgente: #salviamolechiese anche dalle paraliturgie omoeretiche – La Nuova Bussola Quotidiana

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