SCUOLA/ Se lo Stato usa il redditometro per “azzoppare” le paritarie

Max Ferrario
giovedì 17 gennaio 2013

Ieri sera c’è stato l’atteso incontro tra il premier Mario Monti e il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. I due hanno parlato di redditometro, che tante polemiche ha sollevato nei giorni scorsi. “Si è trattato di uno dei periodici incontri per fare il punto sull’evasione fiscale e sull’andamento delle entrate”, dice il comunicato. Redditometro al via nel marzo 2013, dunque, sulla base delle dichiarazioni dal 2010 (redditi 2009) in poi. Lo strumento verificherà lo scostamento tra reddito dichiarato dal contribuente e capacità di spesa.

Rimangono, nella lista delle nelle voci di spesa che costituiscono la base imponibile, le rette scolastiche. “La scuola deve tornare ad essere considerata un investimento, non solo un costo o, addirittura, una voce del redditometro. In un paese civile si dovrebbero poter dedurre le spese per l’educazione dei figli”. Così il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini in una lettera al Corriere della Sera di pochi giorni fa. Appunto, un paese civile. Come i tanti, europei e non, nei quali la libertà di scelta educativa è sostenuta dallo Stato, attraverso contribuzioni dirette o indirette alle famiglie o alle scuole non statali.

Ma siamo un paese civile? Da noi tutto sembra funzionare a rovescio: della scuola in generale non interessa a nessuno – se andiamo al di là di eventuali proclami elettorali -, della famiglia ancor meno, e la scuola paritaria in particolare rappresenta la sintesi del disinteresse nazionale verso l’educazione.

Così, già stretta all’angolo dalla cronica e crescente esiguità dei contributi statali, non solo si decide di costringerla a pagare l’Imu nonostante le scuole statali e comunali nulla debbano (alla faccia della Legge di parità scolastica), ma si inserisce anche la voce “istruzione privata” fra gli indicatori di ricchezza presenti nel redditometro.

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