Sempre la luce su Asia Bibi

La petizione per liberare la giovane donna cristiana ha superato le 30mila firme. Il direttore Tarquinio: ”Abbiamo consegnato gli scatoloni con le lettere cartacee e in formato digitale. L’ambasciatore pakistano si è impegnato con noi a farle avere alle autorità del suo Paese”

1.359 giorni, 32.616 ore dietro le sbarre del carcere pakistano di Sheikhupura, nella provincia del Punjab, una delle terre più fertili del pianeta. Per Asia Bibi, giovane donna cristiana accusata di aver offeso il profeta islamico Maometto, si sono aperte dal giugno del 2009 le porte di una cella senza finestre nell’attesa impietosa che si compia la sua condanna a morte. Dal penitenziario, però, non ha smesso di sperare: “Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro”. Per sostenere la liberazione di Asia Bibi, il quotidiano “Avvenire” ha lanciato una petizione che ha superato le 30mila sottoscrizioni. Impacchettate in due scatoloni, le firme sono state consegnate il 6 marzo alla signora Tehmina Janjua, ambasciatore della Repubblica Islamica del Pakistan in Italia. Per fare il punto della situazione Riccardo Benotti, per il Sir, ha intervistato Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”.

Com’è nata l’idea della raccolta firme?
“Già da due anni e mezzo abbiamo scelto di porre un ‘bollo’ nella pagina degli editoriali e sul sito internet con lo slogan ‘Salviamo Asia’, per ricordare a tutti una vicenda che stenta a trovare la luce dei riflettori. L’8 dicembre 2012 abbiamo pubblicato come editoriale della prima pagina la lettera scritta dal carcere ai suoi familiari: una testimonianza straordinaria per intensità, bellezza e dolore. Questo editoriale ha suscitato numerose lettere di risposta. La campagna è partita quasi da sola, perché abbiamo ritenuto che valesse la pena dare un seguito a questo movimento dal basso. Ci siamo offerti come punto di raccolta”.

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