Shanghai, diocesi forte e tribolata

Funerali di Stato per il vescovo Jin Luxian e arresti domiciliari per il suo successore Ma Daqin. Il primo onorato dal regime, il secondo accusato di ribellione alla patria. Con la Cina come agirà il nuovo papa?

di Sandro Magister

ROMA, 3 maggio 2013 – La morte del vescovo di Shanghai Aloysius Jin Luxian (nella foto) ha riportato in primo piano il dramma della Chiesa cattolica in Cina e gli interrogativi sulla linea che adotterà il nuovo papa.

Jin era gesuita come Jorge Mario Bergoglio. È morto a 97 anni ed è stato grande protagonista della rinascita della diocesi di Shanghai dopo che il maoismo ne aveva fatto tabula rasa.

Ma solo nel 2005 si era riconciliato con Roma. A Shanghai era stato insediato come vescovo nel 1985 per volontà del partito comunista e senza l’approvazione del papa, al posto del suo eroico predecessore Ignazio Gong Pinmei, mandato in esilio dopo 33 anni di carcere e fatto cardinale da Giovanni Paolo II.

Anche Jin aveva passato molti anni in prigione e nei campi di rieducazione. Dove fu utilizzato come traduttore a servizio dello Stato, grazie alla sua padronanza delle lingue straniere.

Da giovane gesuita, infatti, Jin aveva studiato a Parigi e a Roma, aveva viaggiato in Germania e in Inghilterra. Anche per questo, uscito dal carcere, le autorità cinesi puntarono su di lui per farne un leader autorevole della Chiesa “patriottica” da esse creata in contrapposizione con Roma. E lui acconsentì.

Oggi la diocesi di Shanghai conta circa 150 mila cattolici, un centinaio di sacerdoti, numerose suore, 37 parrocchie, 140 chiese, una tipografia, una mensa per i poveri, una casa per anziani e altri servizi. Sorgono sul suo territorio il santuario mariano di Sheshan, meta di pellegrinaggi nazionali, e il principale seminario della Cina, dal quale sono usciti personalità come Giuseppe Zen Zekiun, poi divenuto vescovo di Hong Kong e cardinale, e Savio Hon Taifai, l’attuale segretario della congregazione “de Propaganda Fide”,

Per ottenere tutto questo Jin si è destreggiato per decenni tra l’obbedienza alle autorità comuniste e la fedeltà alla Chiesa. I cattolici “sotterranei” non gli hanno perdonato questa doppiezza. Che invece è sempre stata additata come esemplare dai sostenitori di un compromesso col regime, un compromesso del tipo della “Ostpolitik” vaticana del dopoguerra con l’impero sovietico.

Nel 2005, quando Jin si riconciliò con Roma professando la sua obbedienza al papa, accettò un ridimensionamento del suo ruolo. La Santa Sede riconobbe come ordinario di Shanghai il vescovo “sotterraneo”, non riconosciuto dal regime, Giuseppe Fan Zhongliang, anche lui gesuita, e retrocesse Jin al ruolo di ausiliare.

Essendo però entrambi molto anziani e malati, la Santa Sede assegnò loro anche un coadiutore con diritto di successione, il vescovo Giuseppe Xing Wenzhi, ordinato con l’accordo congiunto di Roma e Pechino.

Erano gli anni di un apparente disgelo. Le autorità cinesi avevano cessato di insediare dei vescovi privi del riconoscimento di Roma. E a sua volta la Santa Sede aveva moltiplicato gli sforzi per riportare all’unità le due comunità cattoliche cinesi, quella ufficiale e quella sotterranea. La “magna carta” di questa stagione fu la lettera del 2007 di Benedetto XVI ai cattolici della Cina.

Ma poi tutto è di nuovo precipitato. Oggi la situazione della Chiesa cattolica in Cina è bloccata da tre “pietre d’inciampo” che il prefetto della congregazione vaticana per l’evangelizzazione dei popoli, il cardinale Fernando Filoni, ha così descritto in un rapporto pubblicato sulla rivista “Tripod” del Holy Spirit Study Center di Hong Kong:

“1. L’VIII Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici, organizzata dalle autorità di Pechino nel 2010, ha acuito il controllo dello Stato sulla Chiesa. In seguito c’è stato un accanimento verso il clero cosiddetto ‘clandestino’ perché aderisse all’Associazione patriottica, un’istituzione preposta al controllo della Chiesa in Cina al fine di renderla indipendente dalla cattolicità e dal papa. In pari tempo, la medesima Associazione ha accresciuto il proprio controllo anche sulla comunità cosiddetta ‘ufficiale’, cioè sui propri vescovi, clero, luoghi di culto, finanze, seminari.

“2. Il controllo rigoroso sulle nomine dei vescovi ha portato alla scelta di candidati spesso discutibili, quando non moralmente e pastoralmente inaccettabili, sebbene graditi alle autorità politiche.

“3. Le consacrazioni episcopali, sia legittime sia illegittime, sono state forzate attraverso l’intromissione nei riti di vescovi illegittimi, creando drammatiche crisi di coscienza, sia nei vescovi consacrati, sia nei vescovi consacranti. […] Alcuni vescovi e sacerdoti sono segregati o privati della propria libertà, come recentemente è avvenuto nel caso del vescovo Ma Daqin di Shanghai. […] Il controllo sulle persone e sulle istituzioni si è acuito e si ricorre sempre più facilmente a sessioni d’indottrinamento e a pressioni”.

L’epicentro di questo riacutizzarsi della crisi tra Roma e Pechino è stata proprio la diocesi di Shanghai.

Nel 2012, inspiegabilmente, il vescovo coadiutore di Shanghai si è dimesso. Al suo posto la diocesi ha scelto un nuovo coadiutore con diritto di successione nella persona di Taddeo Ma Daqin, ordinato vescovo il 7 luglio sia col mandato del papa che con l’approvazione del governo.

Ma all’atto dell’ordinazione, Ma Daqin ha dichiarato di non voler più aderire all’Associazione patriottica, di cui faceva parte, ritenendola incompatibile col suo ministero di vescovo, secondo le indicazioni della lettera di Benedetto XVI del 2007. E per questo è stato immediatamente punito. Le autorità lo hanno confinato e isolato nel seminario di Sheshan e la sedicente conferenza episcopale cinese istituita dal regime gli ha revocato il titolo di vescovo coadiutore di Shanghai.

Ma Daqin ha resistito impavido. La Santa Sede ne ha preso fermamente le difese. Monsignor Hon, il segretario “de Propaganda Fide”, ha dichiarato che “nessuna conferenza episcopale, in nessuna parte al mondo, ha il potere di cancellare il mandato pontificio. Tanto più in questo caso, in cui la ‘conferenza’ non è riconosciuta. Per questo rimane fermo per noi che Ma Daqin è il vescovo di Shanghai”.

E dopo la morte di Jin lo sarebbe a tutti gli effetti, in quanto suo successore designato. Ma le autorità cinesi nemmeno gli hanno concesso di partecipare al funerale, lo scorso 29 aprile. Pare che nell’occasione lo abbiano trasferito in isolamento a Pechino.

Come papa Francesco si muoverà su questo terreno minato?

Confermerà la linea di fermezza adottata negli ultimi anni dalle autorità vaticane? Oppure aderirà a una linea più disposta al compromesso, come quella impersonata da Jin?

Uno dei più decisi sostenitori della linea della fermezza è il cardinale Zen. Mentre tra i fautori del compromesso c’era il cardinale Ivan Dias, predecessore del cardinale Filoni come prefetto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Oggi in Vaticano – in congregazione come nella segreteria di Stato – prevale la linea di Zen, sia pure senza le punte battagliere tipiche di questo cardinale.

Ma anche la linea del compromesso continua ad avere i suoi fautori, prevalentemente all’esterno ma con addentellati dentro la curia.

Il cardinale Zen, in un polemico scritto pubblicato un anno fa su “Asia News”, ha chiamato per nome due di questi suoi avversari, criticandoli duramente.

Il suo primo bersaglio è stato la Comunità di Sant’Egidio.

E il secondo Gianni Valente, lo specialista della Cina per “30 Giorni”, una prestigiosa rivista internazionale dell’orbita di Comunione e Liberazione, che ha cessato le sue pubblicazioni la scorsa estate.

Zen accusò entrambi di voler ripristinare con la Cina la “fallimentare” diplomazia dell’Ostpolitik. Quando invece “il vero bene per la Chiesa in Cina non è di continuare a mercanteggiare con organismi non solo estranei ma chiaramente ostili alla Chiesa, ma di mobilitare vescovi e fedeli a disfarsi di questi”.

Un aspetto curioso di questa polemica è che la Comunità di Sant’Egidio godeva di benevolenza e di ascolto da parte di Benedetto XVI e del suo segretario Georg Gänswein.

Mentre Gianni Valente – che oggi lavora all’agenzia “Fides” della congregazione per l’evangelizzazione di popoli – è amico da anni di Jorge Mario Bergoglio, assieme a sua moglie Stefania Falasca, anch’essa ex redattrice di “30 Giorni”.

Un’amicizia così forte che Bergoglio telefonò loro la sera stessa della sua elezione a papa.

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Il testo integrale del rapporto del cardinale Filoni pubblicato sulla rivista “Tripod” del Holy Spirit Study Center di Hong Kong:

> Five years after Publication of Benedict XVI’s Letter to the Church in China

E la sua traduzione italiana ne “Il Regno”:

> Attendendo una risposta. I rapporti con Pechino all’esame del prefetto di “Propaganda Fide”

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Le critiche del cardinale Zen contro Gianni Valente di “30 Giorni” e la Comunità di Sant’Egidio, accusati di cedimento alle pressioni delle autorità cinesi:

> Cina. Il cardinale Zen contro Sant’Egidio (9.2.2012)

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A proposito dei poteri dei vescovi, con o senza il mandato papale:

> Cina. Sui poteri dei vescovi il Concilio vide lontano (22.7.2011)

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Ulteriori notizie in “Asia News” sugli avvenimenti successivi alla scomparsa del vescovo di Shanghai:

> Funerali civili di mons. Jin Luxian. Messaggi dal Vaticano e dalla diocesi di Hong Kong

Il messaggio di cordoglio inviato il 1 maggio alla diocesi di Shanghai dal segretario della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli:

> Messaggio di mons. Savio Hon per la morte di mons. Jin Luxian

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Fonte: Shanghai, diocesi forte e tribolata.

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