SIRIA – Le (troppe) ambiguità di ribelli e lealisti che stritolano i cristiani

martedì 31 luglio 2012

E’ ormai chiaro come rischi di essere riduttivo considerare gli scontri in Siria una insurrezione popolare per liberarsi di una dittatura sanguinaria, dato che stanno assumendo sempre più la natura di una vera e propria guerra civile. Paradossalmente il problema è stabilire precisamente quali sono le parti in lotta. Da un lato, il fronte dei “ribelli” è estremamente differenziato e composto non solo da combattenti per la libertà, ma anche da fazioni estremiste e infiltrato da delinquenza comune. Dall’altro, anche il regime degli Assad sembrerebbe meno unito di quanto possa apparire ed è comunque composito il fronte dei suoi sostenitori.
Sono comprensibili le resistenze ad ammettere apertamente una guerra civile, per di più a sfondo religioso, ma di fatto lo scontro principale è tra la minoranza sciita, nella discussa versione alauita, al potere con il clan degli Assad, e la maggioranza sunnita. Scontro che ha più vasti riflessi nella regione. Non a caso, la prima è sostenuta dall’Iran sciita, mentre la seconda dall’Arabia Saudita, in cui domina una variante estremista dell’islam sunnita, quello wahabita. Il ruolo della sunnita Turchia sembra più articolato e rientrare in quel riposizionamento delle alleanze (vedasi il cambiamento radicale nei confronti di Israele) voluto da Erdogan nel tentativo di imporre una leadership turca nel vicino mondo arabo, in contrasto con l’Arabia Saudita e il persiano Iran.
L’appoggio russo ad Assad è determinato dagli interessi che la Russia ha nella regione, ma è anche una continuazione storica dell’appoggio che l’Unione Sovietica forniva in funzione anti-occidentale ai partiti Baath, espressione di una sorta di socialismo arabo, al potere in Siria come in Iraq.

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