Siria Van der Lugt: accanto agli ultimi fino alla morte – MissiOnLine.org

di Giorgio Bernardelli
Il gesuito ucciso ad Homs era un grande simbolo della condivisione delle sofferenze dei più poveri nel conflitto siriano

«Ognuno di noi ha sempre più bisogno dell’aiuto dell’altro. Malgrado le nostre difficili condizioni di vita teniamo viva la speranza. Sapendo di condividere la nostra sofferenza con quella di tutto il popolo siriano, dobbiamo farci forza per superare questo momento. Così potremo sperimentare la solidarietà che ci permetterà di trovare nuovi orizzonti».

Scriveva così appena qualche mese fa padre Frans Van der Lugt, il gesuita olandese ucciso questa mattina ad Homs in un martirio che forse più di ogni altro è il simbolo della condivisione delle sofferenze del popolo siriano prostrato da questi tre anni di guerra. Padre Frans – infatti – era voluto rimanere nella Città Vecchia di Homs, il quartiere dalle profonde radici cristiane, nonostante quasi tutto il suo gregge fosse fuggito via a causa di un assedio terribile. Lui era rimasto lì per stare accanto anche agli ultimi, quelli che non avevano avuto la forza o i mezzi per andare via, indipendentemente dal fatto che fossero cristiani o musulmani. Aveva sofferto la fame con loro. E – come racconta AsiaNews– probabilmente anche in queste ultime ore stava cercando di mediare tra le parti in conflitto per portare soccorso a loro.

Del resto riconciliare e far incontrare era sempre stata la grande missione di questo prete psicoterapeuta, trovatosi all’improvviso nel cuore di una guerra. Lui che – come raccontavamo già due anni fa in questo articolo su Mondo e Missione – in Siria era stato l’anima del progetto Al Ard, un centro realizzato con l’obiettivo di far lavorare insieme cristiani e musulmani allo sviluppo rurale della zona. E a cui dal 2000 si era poi affiancata anche un’opera ancora più significativa: un centro per ragazzi con handicap mentale provenienti dai villaggi vicini.

Tutto questo succedeva prima della guerra. Ma con questo spirito padre Frans ha vissuto anche questo ultimo scorcio della sua vita, accanto alle vittime del conflitto sanguinoso che proprio in Homs ha trovato una delle sue cattedrali del dolore. Ogni tanto anche dalla città assediata riusciva a far arrivare dei messaggi. E ciò che mi colpiva leggendoli era non trovare mai una parola di risentimento o un dito puntato verso qualcuno; padre Frans aveva sempre e solo parole di condivisione per il dolore sperimentato da tutti nella tragedia della Siria.

C’è un racconto che forse più di ogni altra cosa riassume quale fosse lo sguardo di padre Frans nella tragedia della guerra. Un racconto scritto all’inizio del Calvario di Homs, su un incontro con una famiglia di profughi, una quindicina di persone ferme a lato della strada, cariche delle loro borse. «Dove andate?», chiede loro uno dei gesuiti della comunità di Homs. «A qualsiasi fermata dell’autobus verso Damasco». Il pulmino sarebbe omologato per otto persone, ma riesce comunque a ospitare tutti. «Da dove venite?». La risposta è quella più prevedibile: Bab Omar, uno dei quartieri di Homs più devastati dagli scontri. «Ci hanno cacciato via», precisa il capofamiglia. «Chi?», domanda il padre. Silenzio. La paura è ancora tanta, meglio non sbilanciarsi di fronte a uno sconosciuto. «Avete parenti o amici a Damasco?». L’uomo scuote la testa. «E allora da chi andrete?», insiste il religioso. «Dovunque ci siano persone buone – risponde l’uomo -. Anche tu ti sei fermato e ci hai caricati sul pulmino senza che fossimo tuoi parenti».

«”Dovunque ci siano persone buone”: c’è rimasta nelle orecchie a lungo questa meta – scrivevano in quel giorno del 2012 i gesuiti di Homs -. Insieme alle parole del Vangelo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,11-13)».

 

Padre Van der Lugt ha fatto sì che «delle persone buone» restassero anche nell’inferno di Homs. E siamo sicuri che questo sforzo per il quale ha dato la vita non è stato vano.

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