Sono cattolico, mi dichiaro fondamentalista | Corrispondenza romana

(di Renzo Puccetti) C’è una cosa che riesce a urtarmi oltremodo, mi riferisco all’uso del termine «fondamentalismo» per descrivere chi ispira la propria azione pubblica sul principio di indisponibilità di vita, famiglia e libertà di educazione. Come già notato da mons. Jean Lafitte, quando l’accusa è avanzata dal fronte laicista essa è incoerente con quella deferenza per il pluralismo dei valori di cui i relativisti si pavoneggiano e si resta sbigottiti quando il refrain non-cognitivista dietro cui molti di essi si trincerano per difendere il pluralismo etico viene comicamente elevato a novello superdogma.

Quella parola, fondamentalismo, quell’epiteto, fondamentalista, riesce ad essere ancora più irritante quando viene impiegato da coloro che vengono identificati come cattolici, e non si usa qui il termine nei suoi contenuti teologici. Non so se la cosa si radichi nell’inconscio o sia invece premeditata, fatto sta che ha tutta l’apparenza di essere un atteggiamento volto a placare i dolori che la coscienza, quantunque addomesticata, è ancora in grado di indurre.

«La migliore difesa è l’attacco», recita il detto e qui sembra di essere davanti a persone consapevoli, o quanto meno timorose, di essere apprezzate per quello che sono, allumati di carrierismo. Costoro pensano bene che spacciare l’integralità della difesa della vita per fondamentalismo, asserirne l’impraticabilità una volta che dalle sale convegni si scenda nelle aule parlamentari, farà apparire loro stessi dialoganti, accettabili, disintossicati dalla retta dottrina e con ciò mondi dal tradimento, presentabili per consessi non meno compromessi.

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