Sri Lanka – Vescovo di Mannar si appella all’Onu. Il Partito buddista ne chiede l’arresto

di Melani Manel Perera

Mons. Rayappu Joseph e altri 30 sacerdoti chiedono al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di spingere il governo Rajapaksa a riconoscere i propri crimini di guerra. Sequestri di attivisti per i diritti umani; campagne d’odio contro giornalisti non-governativi; disturbo di eventi pacifici; testimoni di violenze mai ascoltati tra gli abusi del governo dopo il conflitto.

Mannar (AsiaNews) – Il Jathika Hela Urumaya (Jhu), partito nazionalista buddista al governo, chiede l’arresto di mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar (Northern Province), per il suo appello all’Onu. In una lettera infatti, il prelato e altri 30 sacerdoti hanno chiesto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc) di intervenire per spingere il governo dello Sri Lanka a “proteggere i diritti umani” e “attuare il processo di riconciliazione”. Il 27 febbraio scorso, l’Unhrc ha presentato a Ginevra una risoluzione sui presunti abusi commessi da governo e ribelli tamil durante la guerra civile. Il presidente Mahinda Rajapaksa ha contestato tale mossa, accusando i Paesi occidentali di voler interferire con la politica interna del Paese. La risoluzione segue un rapporto Onu del 26 aprile 2011, nel quale si accusa il governo dell’assassinio di migliaia di civili, durante le fasi finali del conflitto nel 2009. Anche il card. Ranjith, presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, ha criticato la risoluzione Onu, definendola un “insulto all’intelligenza degli srilankesi”.

“Vi scriviamo – si legge nell’appello del clero di Mannar – come gruppo di religiosi cristiani del nord dello Sri Lanka, che sono stati colpiti in modo diretto dalla guerra e hanno sempre lavorato per aiutare la gente della nostra regione”.

I religiosi proseguono: “Dato il rifiuto costante del governo srilankese a riconoscere la portata e la natura degli abusi commessi durante il conflitto; ad affrontare le preoccupazioni del popolo sorte nel dopoguerra; [data] la gravità delle accuse di corresponsabilità in tali abusi mosse contro di esso; crediamo che un organismo internazionale indipendente possa affrontare nel modo migliore la questione della verità, delle responsabilità e  delle riparazioni per le vittime. Affinché esse, i sopravvissuti e le loro famiglie possano ritrovare fiducia”. Lo Sri Lanka conta ancora più di 200mila Idp (Internally Displaced People, sfollati interni), 39mila vedove di guerra e almeno 12mila scomparsi, per lo più uomini.

Nell’appello, mons. Joseph e gli altri firmatari riconoscono alla commissione creata dal presidente Rajapaksa (la Lessons Learnt and Reconciliation Commission, Llrc) di aver “identificato in modo corretto i crimini commessi dai ribelli Tamil” e “dato suggerimenti positivi per la riconciliazione”. Tuttavia, aggiungono, “la Llrc ha fallito nell’affrontare le questioni più critiche: ricerca della verità e della responsabilità, nonostante l’esistenza di prove evidenti e di testimonianze”.

I religiosi indicano anche alcuni fatti avvenuti nel dopoguerra: “Sequestri di attivisti per disturbare l’evento organizzato a Jaffna per Giornata dei diritti umani; azioni di disturbo contro le campagne pacifiche nel nord; l’uccisione di un pescatore durante le proteste di Chilaw [quelle contro il caro-benzina, ndr]; feroci campagne di odio contro giornalisti e organizzazioni che criticano il governo; cantare l’inno nazionale solo in singalese, quando anche il tamil è lingua ufficiale del Paese”.

Sulla base di questo, i religiosi concludono l’appello chiedendo alle Nazioni Unite di spingere il governo a:  implementare i suggerimenti dati nel rapporto Llrc; presentare un piano d’azione dettagliato entro la 20ma sessione dell’Unhrc (quella 2013); presentare un resoconto di quanto fatto entro la 22ma sessione dell’Unhrc (2015); accettare l’intervento di un organismo internazionale indipendente e collaborare con esso al controllo di tutte le questioni non identificate dalla Llrc.

Per queste richieste, mons. Joseph rischia adesso di finire in prigione. Il Jathika Hela Urumaya (Jhu) è un partito nato nel 2004 dalle ceneri del Sinhala Urumaya, partito nazionalista singalese. Un gruppo di monaci buddisti ne ha raccolto l’eredità ideologica creando il Jhu. Tale partito fa parte dell’Upfa (United People’s Freedom Alliance), la coalizione di governo guidata da Rajapaksa. Molti altri religiosi buddisti, tra cui l’All Island Clergy Organization, hanno condannato la decisione dei monaci di entrare in politica. Tuttavia, il Jhu ha il sostegno del ceto medio conservatore (singalese e buddista) e dei giovani buddisti.

Fonte: Asia News

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