#Stalin e i martiri – CulturaCattolica.it

venerdì 14 agosto 2015

Oggi, sempre più frequentemente, il nome di Stalin viene esalto non soltanto nel contesto politico, ma sembra che ritorni nuovamente il culto della personalità, “il duce di tutti i popoli”. In diverse città si innalzano monumenti, si aprono musei a lui dedicati, a questo personaggio storico perfino si dipingono icone. A questa idolatria, a volte, collaborano anche alcuni sacerdoti della Chiesa. Come questo possa accordarsi con la schiera dei nuovi martiri uccisi quando Stalin era al potere? Soltanto nel poligono di Butovo (accanto a Mosca) nel periodo dall’agosto 1937 fino all’ottobre del 1938 furono fucilate 20.760 persone. Per spiegarci tutta la crescente popolarità di Stalin abbiamo chiesto al protoierej Kirill Kaleda parroco della chiesa dei nuovi martiri e confessori a Butovo, nipote del sacerdote martire Vladimir Ambarcumov.
[27 luglio 2015]

Stalin e i comandamenti

Dopo che la nostra Chiesa ortodossa russa ha beatificato i nuovi martiri e confessori sempre di più si diffonde la mania della glorificazione di Stalin, sempre di più le persone ortodosse devono considerare questo caso come un sacrilegio.
Come si possono considerare le dichiarazioni sulla sua grandezza, fra le quali sarebbe perfino quella che, durante il suo governo si sarebbero realizzati i comandamenti consegnati da Dio a Mosè: Non rubare … non uccidere … Per dirlo in breve, questo non corrisponde assolutamente alla verità della storia.
Il comandamento “Non rubare”. Sebbene nella Bibbia non venga usata la parole espropriazione è evidente che il significato di questa parola ricorda il processo di ridistribuzione dei valori che ebbe luogo nella prima decina d’anni del potere sovietica e che non può essere diversamente definita se non con le parole “rapina” e “furto”. Incominciando con l’esproprio della terra e della grande proprietà e terminando con l’esproprio dei contadini ricchi, quando ai figli dei contadini non era lasciata neppure la biancheria logora, il processo dell’esproprio dei valori religiosi non era altro che una rapina nei confronti della Chiesa.
E che dire del comandamento “Non uccidere”. Fin dall’inizio del potere bolscevico il nostro paese fu invaso dal sangue. Non parleremo delle perdite in genere negli anni del potere sovietico, perché le cifre sono diverse. Ma soltanto del periodo del grade terrore, cioè dall’agosto 1937 fino all’ottobre 1938 furono emesse circa 700.000 condanne a morte.
In seguito, nella maggioranza dei casi, queste condanne furono riabilitate per insufficienza di prove. Dopo la caduta del comunismo queste condanne vennero riconosciute come false ed ingiuste.
C’è da ricordare l’atto giuridico che allargava le possibilità di condannare a morte fu sottoscritto da Stalin.
Nella nostra Chiesa il numero dei santi proclamati è superiore a 1.700.
Tutti soffrirono nel tempo in cui Stalin era al potere, oppure fino al 1924 quando Stalin occupava i posti più responsabili ed era fra quelli che rovesciarono la struttura giuridica del paese; lui distrusse la Russia.
Ora sono stati pubblicati molti documenti che testimoniano che fu proprio Stalin, personalmente, a ordinare le fucilazioni. In particolare nel 1922, quando Stalin divenne segretario generale del partico comunista, il tribunale di Ivanovo-Voznesenskij proclamò la condanna a morte nel processo per gli espropri dei beni ecclesiali nei confronti dei sacerdoti Pavel Svjatozarov e Ioann Roz’destvenskij e del laico Petr Ivanovic’ Jazykov.
I credenti locali si rivolsero al tribunale regionale pregando che venisse sospesa la condanna a morte e venissero assolti. La richiesta venne esaminata e fu decisa l’assoluzione dal tribunale presieduto da Kalinin. Kalinin poi domandò l’approvazione del suo verdetto dal tribunale del Comitato centrale guidato da Lenin, Stalin, Molotov e Trockij che votarono per la fucilazione. Questi dati furono presi dalla vita dei santi sacerdoti martiri Pavel e Ioann e del martire Petr. Si tratta di materiali riconosciuti veritieri dalla Chiesa ortodossa russa.

I tiranni si ripetono

Il nome di Stalin va inserito nella lista dei persecutori della Chiesa tipo Nerone e Diocleziano. Uno dei contemporanei delle persecuzioni staliniste degli anni 20 del secolo scorso scrisse: “Le terribili persecuzioni contro i cristiani dei tempi di Diocleziano e Nerone impallidiscono di fronte alle persecuzioni terribili e oppressioni aspre cui sono stati sottoposti i sacerdoti e tutti i credenti”.
Dal momento che abbiamo ricordato Diocleziano, questo antico imperatore romano, dobbiamo dire che, come Stalin, fu una personalità eccezionale non ordinaria. Figlio di genitori schiavi, da soldato semplice giunse fino ad essere imperatore. Grazie al suo governo fu superata la così detta crisi dell’impero romano del secolo terzo. Inoltre egli compì tutta una serie di campagne vittoriose e riuscì a risolvere problemi militari alla periferia dell’Impero romano. Veramente egli fu un governatore di talento. Ma lui edificò un impero ateo e nella storia della Chiesa cristiana egli è considerato un persecutore della Chiesa. Accanto a lui ci sta Stalin.

Il partito al posto della Chiesa

In uno dei panegirici su Stalin si sente dire che in quei tempi il partito si assunse la funzione di Chiesa. Questa frase alle orecchie di ogni cristiano risuona amara. O si tratta di una nuova teologia, oppure, chiedo venia, questa è un’eresia. Secondo la dottrina di S. Paolo la Chiesa è il Corpo di Cristo e nessun altra associazione sociale può assumersi la funzione della Chiesa.
Si pone un problema: perché nell’ambito ecclesiastico non di rado si esprime il desiderio di giustificare e, oltre a questo, di glorificare le attività del “padre dei popoli”? Certamente questo è legato al fatto di tentare la giustificazione della nostra storia e di accordare la dottrina ecclesiale con quella ideologia a fondamento della quale si è costruito il nostro stato nel secolo XX.
Ma le persone che hanno cercato di fare questo hanno dimenticato un documento molto importante che fu preparato, sofferto e scritto nella primavera all’inizio del 1926 da un gruppo di vescovi che si trovavano nel lager delle Solovki. Questo documento è noto come “Lettera dei vescovi delle Solovki”. E l’autorità è molto elevata. Anche per il fatto che nel nostro tempo alcuni vescovi che l’anno sottoscritta (complessivamente 17 firme) sono stati annoverati nella lista dei santi. Fra questi il martire Ilarion (Troickij) e Evgenij (Zernov).
Si ritiene, ed è assai probabile, che il diretto creatore di questo documento sia stato Ivan Popov, professore dell’Accademia teologica di Mosca, che pure è stato annoverato fra i santi dalla Chiesa ortodossa russa.
In questo documento si affronta il problema del rapporto della dottrina della Chiesa con quella dottrina sul fondamento della quale è stato costruito lo stato sovietico. Della lettera si dice chiaramente: “La differenza consiste nella inaccettabile dottrina religiosa della Chiesa con il materialismo, filosofia ufficiale del partito comunista …”. “La chiesa riconosce l’essenza del principio spirituale, il comunismo lo rinnega. La Chiesa crede nel Dio vivo Creatore del mondo, che dirige la sua vita ed il suo destino. Il comunismo non ammette la sua esistenza.
Grazie a questa profonda discordanza negli stessi fondamenti della concezione del mondo, fra stato e Chiesa non ci può essere nessun accordo, come non ci può essere accordo fra positivo e negativo, fra il si e il no, perché anima della Chiesa, condizione del suo essere e significato della sua esistenza equivale alla negazione del comunismo … La Chiesa ortodossa mai rinnegherà, né in tutto né in parte la sua affascinante santità dei primi secoli per accettare una fede comoda alla mentalità eternamente mutevole.”
Partendo da queste parole pronunciate dai martiri è evidente che tutti i tentativi di trovare un accordo fra gli uni e gli altri è totalmente senza frutto. Ripeto che l’autorità di questa lettera è talmente alta che un nostro contemporaneo non potrebbe metterla in dubbio. Per farlo bisognerebbe, almeno per un invero, vivere nel lager delle Solovki senza parlare d’altro.

La patria terrestre e celeste

Evidentemente il tentativo di trovare un certo accordo in questi problemi poco pacifici della storia del paese e della Chiesa è legato al fatto che noi cristiani attualmente riserviamo molta attenzione alla costruzione della nostra patria terrestre. Certamente questo è naturale e normale, perché i cristiani sono sempre stati cittadini attivi delle proprie patrie: incominciando dall’antica Roma dove molti cristiani occupavano posti elevati, anche posti militari, fino a nostri tempi.
E‘ norma ricordare il nome di un nostro contemporaneo il vescovo di Cipro Makarios, comandante del movimento di liberazione di Cipro e nominato presidente di questo paese.
Il santo Ioan di Krons’tad: “La patria terrestre con la sua Chiesa è l’anticamera della Patria celeste” e nostro santo dovere sta nell’occuparci della nostra cara ed amata Paria e fare in modo che essa raggiunga un posto degno fra gli altri stati del mondo. Questo non è male.
Ma in questa attività a volte dimentichiamo le parole dell’apostolo Paolo: “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb. 13, 14). Come pure dimentichiamo le parole del Salvatore: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33).
Non spostiamo gli accenti su “qui” mettendo in secondo ordine le parole del Regno dei cieli; ne succederebbe una rande confusione. Se non ci fosse stata questa non ci sarebbe stata la tentazione di giustificare quello che no si può giustificare. Alcuni pensano che certe conquiste, sia pure famose, ottenute dal nostro popolo sotto la guida del partito comunista, come la Grande Vittoria e i successi della scienza e della tecnica, in particolare nella cosmonautica, possano giustificare quel governo. Non possono giustificare nulla.
Quando siamo affascinati di fronte alle produzioni artistiche dell’antica Roma, non ci passa neppure per la testa di poter giustificare la schiavitù di quel paese e dire : “Come sarebbe bello ristabilire il regime di quel paese”. Ed ecco che una posizione simile si assumono quelli che approvano i dirigenti del nostro stato nel secolo XX, in particolare Stalin; e sostengono che questo sia l’ideale cui noi dobbiamo tendere.

L’epoca di Stalin o l’epoca dei nuovi martiri?

Dicono che un grande compito di Stalin sia stato la rinascita della Chiesa, il ristabilimento del Patriarcato durante la guerra. Ma noi sappiamo che non c’è stata nessuna rinascita, si è trattato semplicemente di risolvere tatticamente alcuni problemi concreti. Dopo aver ripristinato il Patriarcato, Stalin continuò a mettere in prigione molti figli fedeli della Chiesa russa ortodossa, e questo fino alla sua morte.
A Stalin conveniva sostenere la Chiesa durante la guerra. A lui era necessario il sostegno del popolo che, come ha dimostrato il censimento del 1937 che, nonostante tutta la propaganda teistica, era rimasto credente. I tedeschi, sui territori occupati, aprivano in massa le chiese, e a Stalin era necessario creare un contrappeso.
Se vogliamo parlare della sua politica ulteriore, in particolare a proposito della Conferenza, da lui organizzata, di alcuni capi della Chiesa ortodossa che ebbe luogo a Mosca negli ultimi anni della sua reggenza; la sua idea era: attraverso l’ortodossia influenzare i paesi della Europa Occidentale: Grecia, Bulgheria, e perfino la Turchia. Quando egli, per vari motivi, si accorse che questo non portava frutto, allora il suo interesse per l’ortodossia divenne meno.
Lui si comportò allo stesso modo degli imperatori romani i quali, a volte, intensificavano la persecuzione, a volte, concedevano alla Chiesa un sollievo, a volte, perfino permettevano la costruzione di chiese..
Noi cristiani dobbiamo ricordare che l’avvenimento più grande del secolo XX fu la lotta della nostra Chiesa per essere fedele a Cristo. Questa fu la gloriosa ed eroica epoca dei martiri. Ringraziamo Dio che la nostra Chiesa attraversò con onore queste prove. E noi, per non ripetere gli errori fatti, dobbiamo guardare a tutto ciò che successe per noi in questo secolo per niente semplice, dobbiamo guardare attraverso il prisma del sacrificio dei nuovi martiri.

Sorgente: #Stalin e i martiri

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