Suicidio a Notre Dame, un rito pagano

di Roberto Dal Bosco – 23-05-2013

«La morte non è il dramma che si dice (…) essa mette fine alle crudeli malattie ed interrompe il decadimento della vecchiaia (…) la morte può rivelarsi anche come una liberazione rispetto ad una sorte divenuta insopportabile o disonorevole. Sotto la forma illutrata dai Samurai o dagli Antichi Romani, essa può costituire la più grande protesta contro una indegnità quanto una provocazione alla speranza».

Non si tratta di un inno pannelliano all’eutanasia, né di un virile cantico alla morte guerriera alla Julius Evola; si tratta invece di un brano dell’editoriale del numero di gennaio-febbraio della Nouvelle Revue d’Histoire. firmato dal direttore, Dominique Venner – l’uomo che martedì si è suicidato dentro la Cattedrale di Notre Dame, a Parigi, in segno di protesta – così almeno dicono i giornali, ma la realtà potrebbe essere diversa – verso la legge Taubira, che dal prossimo 29 maggio permetterà i matrimoni omosessuali in Francia. Questo sciagurato gesto – che è ben oltre ogni limite di blasfemia – ci porta a considerare i diversi fattori in gioco sulla scena socio-culturale e politica francese.

È bene chiarirlo subito: Venner non faceva parte del popolo del popolo della Manif pour Tous, ossia quella massa incredibile di persone che in modo pacifico sta costruendo l’unica vera opposizione alla legge. Persone, famiglie, comunità intere che marciano serene per Parigi, con i loro colori e i loro sorrisi, e che talvolta beccano pure le botte della polizia, raccogliendo sempre più consenso tra la popolazione dei tiepidi.

Con le loro manifestazioni gioiose di quelli della Manif si ha un’immagine docile di famiglie per bene con bambini al seguito. La cosa getta nello sconforto la Francia laica, che domina totalisticamente il discorso pubblico (in TV e in libreria di intellos cattolici praticamente non ve n’è, e i politici che si dicono cattolici sono dissolti in partiti dove molti membri si dichiarano apertamente massoni). L’élite intellettuale che ha in mano il paese è sconvolta, e si chiede: da dove sbucano costoro? E chi lo sapeva che in Francia ci sono ancora i cattolici? Così politici ed intellettuali parigini devono loro malgrado fare i conti con il fatto che esiste una massa di francesi molto sottorappresentata, totalmente difforme rispetto ai diktat dell’industria culturale nazionale.

Questa spontanea novità, questa vulcanica spinta dei Manif, era invidiata anche da Venner. Il suo ultimo testo, redatto prima di morire, si chiama «La manifestazione del 26 maggio e Heidegger», e già dal titolo comprendiamo che esso proviene da un intellettualismo – tutto autisticamente parigino – lontano dalla spensierata carica solare della Manif. «I manifestanti del 26 maggio avranno ragione di gridare la loro pazienza e la loro collera» aveva scritto, e anche qui, Venner è preda di una svista siderale, perché il popolo della Manif non grida, non è impaziente e non esprime collera. Venner, insomma, proietta sulla Manif i sentimenti del suo sottobosco politico.

Aveva letto Gramsci ed era affascinato dal concetto di egemonia culturale. Più volte ha dichiarato come tutti i suoi numerosi lavori non fossero che un modo per piegare la storia a strumento della lotta ideologica. E l’ideologia di Venner sappiamo bene quale fosse: egli è considerato come capofila della Nouvelle Droite, fondatore del notorio GRECE (Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne) e dell’IEO (Institut d’Etudes occidentales), pensatoi che promuovono un paneuropeismo violento («Europa Nazione») basato su miti sanguigni e su quello che Venner chiamava intellettualisticamente “tradizionismo”: insomma, del cristianesimo, in questo sottomondo fanatico, non ve n’è neanche l’ombra. C’è semmai, il contrario: xenofobia, culto della razza, genetico, idolatria politeista.

Pur essendo legato ad ambienti nostalgici dell’OAS (Organizzazione armata francese, nota per la guerra in Algeria) che spesso sono ricondotti ad una spiritualità lefebvriana (il vescovo scismatico era insultato come «cappellano dell’OAS»), Venner fu grande animatore di un milieu culturale che odia il cristianesimo: Alain De Benoist, l’ideologo del gruppo che piace anche in Italia (lo invitano alle festa della Lega, e l’AN di Fini lo citava spesso), professa attivamente il neopaganesimo in senso anticristiano; Jean Thiriart, teorico belga del nazionalismo paneuropeo che andava per la maggiore anche in Italia nell’extraparlamentarismo di destra degli anni ‘70 (ne era discepolo Mario Borghezio), volle tentare di rivitalizzare trovate mazziniane para-massoniche come la Giovine Europa. Personaggi che disprezzano il cristianesimo come oscena religione «mondialista» e «culto dei deboli», contro il fiero darwinismo aristocratico del mondo precristiano.

Insomma, Venner nulla aveva da spartire con la “primavera latina” – come l’ha definita Roberto De Mattei dopo la Marcia per la Vita di Roma – che soffia a sorpresa in Francia: anzi, tutto il suo mondo è apertamente ostile al Papato di Roma e al suo pensiero.

Con il suo gesto, Venner ha insozzato l’immagine pura, buona della Manif, o lo hanno fatto i media prendendo a pretesto il suo gesto. Dopo neanche dieci minuti dal suicidio, Repubblica.it titolava «un unicum nella Francia dell’Odio» con immancabile, immediata intervista telefonica a Barbara Spinelli. Il Corriere invece intervista la femminista Clémenine Autain: come se parlare con questi personaggi potesse aiutare a capire in qualche modo il caso Venner. Nella guerra psicologica dei media, ora la battaglia della Manif ha finalmente trovato un nuovo tag che la può rendere negativa: non più la lotta di «famiglie pacifiche con bambini» ma il «vecchio paranazista violento». In termini di psy-ops, di operazioni di influenza psicologica, la cosa non è da poco.

Non sappiamo il vero motivo per cui Venner ha compiuto questo gesto, ma il giro dell’estrema destra francese ha una lunga storia di sangue, di cui il Venner è solo un tristo epigono: François Duprat, storico delle SS e cofondatore del Front National, viene assassinato con un’autobomba; Yann Moncomble, scrittore ed autore di inchieste, muore giovanissimo per una sospetta crisi cardiaca; Alain Escoffier era uno squilibrato che si diede fuoco davanti all’ufficio dell’Aeroflot di Parigi in segno di protesta contro l’Unione Sovietica, ed è ancora stupidamente celebrato da gruppuscoli di destra anche in Italia.  Non dimentichiamo, sempre in tema di atti spettacolari e disperati della droite francese, anche il caso di Maxime Brunerie, lo spostato attivista che tentò di assassinare il presidente Chirac alla parata del 14 luglio del 2002.

Stavolta è perfino peggio: Venner ha eseguito un’operazione altamente simbolica, per contenuto e per set, riuscendo perfettamente, e lordando la causa del più forte movimento popolare di Francia, la causa dei principi non negoziabili, che Venner non poteva riconoscere in alcun modo, visto che ha negoziato sull’altare dei media la sua stessa vita. Un atto eretico, oltre che una tragedia, un paganissimo sacrificio umano (di un vecchio, per cui non propriamente grato agli dei pagani…), come nei miti che lo ispiravano. Con Cristo, e con il popolo della Vita, Venner non aveva davvero niente a che fare; può, al massimo, rovinare la festa. Rabbiosamente, e forse, programmatamente.

Fonte: La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – Suicidio a Notre Dame, un rito pagano.

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