Tra la gente, lontano dal potere: così il Papa riconquista i fedeli – Vatican Insider

Bergoglio mantiene lo “stile” che aveva in Argentina: parole semplici e niente sfarzo.

Andrea Tornielli
Città del Vaticano

La sveglia di Francesco, nella camera 201 di Casa Santa Marta, suona alle quattro e tre quarti, quando tutto è ancora immerso nel buio. Un’alzata così precoce renderà necessaria una siesta dopo pranzo, quel riposo che Juan Perón definiva un «obbligo quasi liturgico» che gli permetteva di avere ogni giorno  «due mattine».

 
Le prime ore della giornata sono dedicate alla preghiera e alla meditazione sulle Letture, che il Papa commenta nelle brevi omelie della messa quotidiana nella cappella del «convitto», come ama chiamare Santa Marta, un luogo semplice e moderno: marmi chiari e vetrate colorate. Qui il vescovo di Roma prega sedendosi nelle ultime file.

 
Quelle prediche mattutine, a braccio ma non certo estemporanee, sono una delle più importanti novità del pontificato, e da qui parte la terza tappa del nostro viaggio. Il Papa celebra aiutato da cardinali, vescovi o sacerdoti di passaggio, in presenza di fedeli che per lo più sono lavoratori d’Oltretevere con le loro famiglie: dal personale dello Ior ai netturbini vaticani. Tutti vengono salutati uno ad uno, prima che Francesco vada a fare colazione nella sala comune. Per lui stare con le persone, abbracciarle una ad una non è un’incombenza o una perdita di tempo: in Argentina passava intere notti a confessare, senza indossare insegne cardinalizie e dunque senza farsi riconoscere, in occasione dei grandi pellegrinaggi mariani alla Vergine di Lujan.

 

 

 

A dirigere il traffico delle richieste di partecipazione e degli inviti alla messa di Santa Marta è un prete bergamasco della Segreteria di Stato, don Tino Scotti.
Con questi fedeli, e per loro, il «Papa parroco» sbriciola il Vangelo in modo così efficace da far sì che la preziosa sintesi offerta un paio d’ore dopo dalla Radio Vaticana sia diventato un appuntamento seguito in tutto il mondo. Bergoglio è un ammiratore di Jorge Luis Borges, e una volta invitò il grande scrittore argentino nel liceo dove insegnava per fargli incontrare i suoi studenti. Ogni mattina inventa immagini efficaci, come la «Chiesa babysitter», la concezione di un «Dio spray», il confessionale che «non è una tintoria», i «cristiani da salotto» e quelli «inamidati» o «da museo»; la «preghiera di cortesia», il «collirio della memoria», il «progressismo adolescente», la «dogana pastorale» che invece di facilitare la fede delle persone la complica.

 
Ma a colpire è soprattutto la profonda semplicità delle sue parole. Quelle sulla tenerezza e sul perdono, innanzitutto: «Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore». Un messaggio che in Italia e nel mondo ha facilitato il ritorno alla Chiesa di molte persone, tornate a confessarsi anche dopo decenni di lontananza.

 
«Il Papa predica come faceva a Buenos Aires – spiega a La Stampa Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose – e storicamente non si era mai verificato che ci fosse uno “spezzare” della Parola in questo modo. Un fatto di una portata teologica della quale non ci siamo ancora resi conto. La gente capisce, non si tratta di meditazioni astratte».

 
Più volte, nelle omelie, anche in quelle delle grandiose celebrazioni in piazza San Pietro, Francesco cita la nonna, Rosa Margherita Vassallo, che spiegava al piccolo Jorge Mario la resurrezione di Gesù o l’importanza di non essere attaccati a soldi perché «il sudario non ha tasche». E che allo stesso nipote gesuita ormai prossimo all’ordinazione ricordava: «Celebra la messa, ogni messa, come se fosse la prima e l’ultima». La nonna testimone della fede dei semplici, un particolare che avvicina Francesco a Papa Luciani, il quale, da seminarista, veniva ammonito dal vecchio arciprete di Canale d’Agordo: «Ricordati, quando predichi: ti deve capire anche la vecchietta seduta sull’ultimo banco che non è andata a scuola».

 
Dai primi mesi di pontificato, oltre a uno stile di predicazione, emerge un modello di pastore, di vescovo. Così vicino alla gente quanto lontano dal potere. Bergoglio, in un discorso ai membri della Conferenza episcopale italiana interamente scritto di proprio pugno e passato quasi sotto silenzio nonostante la sua portata, ha detto: «La mancata vigilanza rende tiepido il pastore», lo «seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo di Dio».

 
E con i nunzi apostolici, suoi «ambasciatori» nelle Chiese di tutto il mondo, incaricati di svolgere le indagini per identificare i candidati all’episcopato, il Papa si è raccomandato: «Siate attenti che siano pastori vicini alla gente, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi», che amino «la povertà» interiore e anche esteriore «come semplicità e austerità di vita», che non abbiano «una psicologia da “prìncipi”» e non siano «in costante ricerca» di promozioni. C’è, anche in questo richiamo contro la piaga del «carrierismo» ecclesiastico, nella messa in guardia dal «trionfalismo» e dal confidare troppo nelle strutture delle Chiese ricche, una profonda unità con quanto ha detto e scritto il predecessore Benedetto XVI.

 

 
«Mi sembra che questo Papa – ci dice lo storico Andrea Riccardi – mettendo insieme cose antiche e nuove, abbia stabilito un linguaggio fatto di gesti che danno significato alle grandi parole della fede. Un dato sotto gli occhi di tutti nei primi cento giorni di pontificato è l’intesa tra Francesco e la gente. E il suo messaggio è già arrivato lontano…». Certo, ora i vescovi hanno bisogno di sintonizzarsi con questo approccio semplicemente evangelico e così poco clericale.

 
«Qualcosa di simile capitò con Giovanni XXIII – continua Riccardi – Sintonizzarsi non è sempre facile, la Chiesa non è una radio a cui basta dare un giro di manopola. È un processo che conosce slanci e resistenze».
«Francesco rappresenta una potente provocazione per tutti – ripete il cardinale Angelo Scola – La Provvidenza ci ha donato questa scossa. Stiamo cercando di seguire il Papa, ciascuno con la propria personalità e stile. Ci vuole un po’ di tempo…». Intanto i vescovi lombardi si sono riuniti e hanno annunciato sentire «la responsabilità di raccogliere la sfida» del rinnovamento di «stile e di linguaggio» rappresentata dai gesti e dalle parole di Francesco. Il Papa «uno di noi», che più volte ha ripetuto dopo l’elezione: «Sto bene, non ho perso la pace, non ho perso il sonno di fronte a un fatto sorprendente come quello che mi è capitato. E questo lo considero un dono di Dio». (4/ Fine)

Fonte: Tra la gente, lontano dal potere: così il Papa riconquista i fedeli – Vatican Insider.

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