Tre anni fa la strage del campus di Garissa. 148 martiri cristiani nel Giovedì santo 2015

 
Kenya

(a cura redazione “Il sismografo”)

29/03/2018

(Francesco Gagliano – ©copyright) Tre anni fa, il 2 aprile del 2015, Giovedì Santo di Pasqua, un gruppo di terroristi di Al-Shabaab fece irruzione nel campus universitario di Garissa e uccise circa 148 studenti. Si trattò di una  strage, condotta in maniera sistematica e mirata a colpire esclusivamente coloro che appartenevano alla religione cristiana. Gli assalitori islamisti rinchiusero nel dormitorio del campus gli studenti sorpresi nel sonno e spararono a tutti coloro che non erano in grado di rispondere a precise domande sull’Islam, o che si erano apertamente dichiarati cristiani.
La strage di Garissa è solo una delle più recenti uccisioni di cristiani in vari angoli del pianeta. Medio Oriente, Africa, Asia sono luoghi da dove giungono troppe notizie di efferati attacchi ai danni di fedeli cristiani, religiose e religiose (basti pensare alle quattro missionarie della Carità trucidate a marzo 2016 nello Yemen o a tanti altri episodi). Quanto avvenuto nel campus universitario keniota ha tuttavia commosso per alcuni aspetti: i terroristi hanno compiuto la loro strage il Giovedì santo, primo giorno del Triduo pasquale; tutte le vittime erano giovani che frequentavano l’università per poter migliorare le condizioni di vita loro, delle proprie famiglie e del paese. Infine l’odio di cui questi 150 martiri sono divenuti oggetto, un odio che supera l’odio dei cristiani e che si scaglia con ferocia contro la cultura occidentale, come professato dai gruppi jihadisti di Al-Shabaab in Somalia e Kenya o di Boko Haram in Nigeria.
Papa Francesco inviò presto un messaggo di cordoglio e vicinanza per quel Giovedì Santo bagnato dal sangue di cristiani in Kenya. Il Pontefice inviò un messaggio al cardinale John Njue, presidente della Conferenza episcopale del Paese africano e arcivescovo di Nairobi, dicendosi «profondamente rattristato dalla immensa e tragica perdita di vita causata dal recente attacco nel Garissa University College». Il messaggio concludeva con l’assicurazione di preghiere per le vittime e per i loro familiari, così come una ferma condanna per «un atto di brutalità senza senso» e la contemporanea speranza che «tutte le autorità possano raddoppiare gli sforzi e lavorare con tutti gli uomini e le donne in Kenya per porre fine a una tale violenza e odio, verso l’alba di una nuova era di fraternità, giustizia e pace». La stessa speranza di un futuro di pace e coesistenza fraterna lo auspicò, nel commemorare il primo anniversario della strage, il vescovo di Garissa mons. Joseph Alessandro, confidando nell’educazione e nella cultura come terreno fertile per l’incontro e il rispetto: «l’educazione è l’arma più potente che esista per superare conflitti religiosi, tribalismo, ignoranza e povertà. Chi studia potrà costruirsi una vita e non sarà attratto da chi offre una paga in cambio dell’arruolamento in un movimento radicale».
Nella loro furia omicida i terroristi di Al-Shabaab desiderarono di spazzare via i cristiani da Garissa e dal Kenya, in nome di un unico Dio che è in realtà è lo stesso dei cristiani e che rifiuta ogni forma di violenza. Oggi, nella città keniota, nella missione di Bura Tana, a poca distanza dal campus teatro del martirio, sorge una piccola chiesa costruita in memoria delle 148 giovani vittime, un gesto che vivifica le parole di Tertulliano: «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani».
Questa piccola ma grande realtà, che rende tangibile la speranza cristiana dove tante sofferenze sembravano far tacere proprio questa speranza, è stata possibile grazie anche ai contributi di amici e fedeli italiani della Fondazione Santina. (Dove i cristiani muoiono, Luigi Ginami, San Paolo, 2018)

Sorgente: Il Sismografo

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