TURCHIA/ Sbai: ecco perché la “scalata” di Erdogan al mondo arabo è fallita

giovedì 6 giugno 2013 –  Souad Sbai

Era una fiamma che prima o poi avrebbe dovuto ardere. E sta ardendo con una forza enorme, che contagia ogni giorno una città della Turchia. Non mi sorprende che Erdogan abbia chiesto ad Al Jazeera, durante la conferenza stampa di chiusura del suo viaggio in Marocco, di “raccontare bene i fatti di Piazza Taksim”.

Di dire che “noi abbiamo tagliato solo qualche albero” e niente di più. Non sorprende la richiesta, perché Al Jazeera ha svolto un ruolo non indifferente durante la primavera araba, nel raccontare massacri che non c’erano e nel descrivere come liberatori coloro che liberatori non erano, nel nascondere fino all’ultimo le violenze, gli stupri e le torture nelle carceri libiche piuttosto che egiziane.

Chi più dell’emittente qatarita potrebbe aiutare un Erdogan così in difficoltà? Così conscio, ormai, che la sua poltrona trema clamorosamente sotto i colpi di una protesta che ha la faccia di migliaia di giovani assetati di libertà e timorosi di perdere ogni prerogativa liberale.

Non sfugge a chi vuole davvero analizzare senza filtri la realtà turca, che la protesta di questi giorni non è a base ecologista, come qualcuno ha voluto far credere sulle prime per depotenziarne la portata. Bensì ha radici più profonde: la tentata svolta islamizzante operata da Erdogan, il cui simbolo è la moschea che dovrebbe sorgere proprio lì, a Piazza Taksim, dove le fiamme dei moti turchi hanno preso il via.

Come è possibile pensare che un’intera popolazione giovanile decida di scendere in piazza e farsi ammazzare solo per un centro commerciale?

Come si può mistificare a tal punto la realtà da camuffare una protesta per la libertà da picchetto ecologista?

La Turchia è un Paese maturo, che ha nei suoi armadi degli scheletri che conosce bene e sui quali non vuole tornare mai più. Gli studenti in piazza, fra lacrimogeni e pallottole che volano impazzite e uccidono, sventolano le bandiere di Kemal Ataturk, da cui pure li divide quasi un secolo di storia.

Non credo di dover ricordare io che la Turchia era più vicina all’Europa negli anni venti, sotto Kemal Ataturk, che non oggi, quando il governo di Erdogan decide di revocare il divieto di velo nei luoghi pubblici, di vietare il consumo di alcool.

Non credo di dover ricordare io che la Turchia concesse il suffragio universale prima anche di tanti Paesi europei, che disse sì prima di tanti altri alla parità fra i sessi, alla depenalizzazione dell’omosessualità. Insomma, non credo di dover dire io che ogni passo fatto contro queste conquiste è un passo indietro.

Un passo indietro verso quel ‘medievalismo islamizzante’ che Erdogan aveva tentato di sponsorizzare anche nei primi mesi della primavera araba, precisamente nel settembre del 2011.

Allora invitai il mondo arabo a non farsi “abbindolare da Erdogan l’affabulatore” e oggi la penso esattamente come allora, perché, non a caso, il premier turco in questi giorni compie un tour nei paesi che quella primavera terrificante l’hanno vissuta.

Quella primavera che lui ha sostenuto, per la caduta di Gheddafi e Mubarak, per l’ascesa dei Fratelli Musulmani e per il caos che oggi regna laddove prima, seppure a caro prezzo, vigeva un equilibrio.

Chi è davvero Recep Tayyip Erdogan?

Le piazze di Istanbul, Smirne, Ankara e di altre 64 città turche lo sanno bene.

Il paradosso di chi preconizzava la caduta di Assad in Siria per mano delle formazioni estremiste e invece oggi si ritrova la guerriglia in casa e la cui immagine risulta deteriorata in maniera irreversibile. Erdogan ha tentato, in maniera nemmeno tanto celata, di egemonizzare il mondo arabo ma il tentativo non è riuscito e le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi.

Avrebbe dovuto incontrare il Re del Marocco, che invece non ha inteso incontrarlo, doveva incontrare la Confindustria marocchina, che ha anch’essa disertato l’incontro.

Solo Benkirane lo ha incontrato, ma anche qui non sono sorpresa, vista la vicinanza ‘ideale’ dei due personaggi. Dal Marocco si sposterà poi, assieme a tutto l’entourage di uomini d’affari, in Algeria, dove i media arabi riportano la sua volontà di contribuire alla realizzazione di una fabbrica con una somma a sei zeri.

Ma la domanda è: perché andare in Algeria quando la sorte di Bouteflika è incerta e non si sa se sia vivo o morto?

Perché non annullare questo tour del Maghreb quando le fiamme invadono il proprio Paese?

La Turchia brucia, i giovani si immolano contro la forza bruta della polizia, ma il premier tenta ancora la scalata al mondo arabo. Non è riuscito ad eguagliare il padre di tutti i Turchi, non sarà mai il padrone di tutti gli Arabi.

Fonte: TURCHIA/ Sbai: ecco perché la “scalata” di Erdogan al mondo arabo è fallita.

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