VATICANO-ISLAM La Nuova evangelizzazione, aiutata dai musulmani – Asia News

di Samir Khalil Samir

I migranti islamici aiutano l’occidente secolarizzato a riscoprire la dimensione del sacro, il pudore, ma anche il coraggio a testimoniare in pubblico la propria fede. I cristiani dimenticano di evangelizzare i musulmani perché troppo tiepidi e insicuri nella loro fede cristiana. La missione è un gesto di amore espresso attraverso l’amicizia. La testimonianza di uno degli esperti del Sinodo in corso in Vaticano

Beirut (AsiaNews) – Le migrazioni di musulmani in occidente sono una strada provvidenziale per noi cristiani per riscoprire la nostra fede e per evangelizzare queste comunità. L’Instrumentum Laboris del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione parla della necessita di riscoprire la fede e la sua ragionevolezza e allo stesso tempo mette in luce le nuove situazioni e i nuovi areopaghi in cui si svolge la missione di oggi: fra questi vi sono appunto le migrazioni.

Buona Notizia e proselitismo

Va detto però che nel mondo musulmano già l’uso della parola “evangelizzare” è un problema. A tutt’oggi, la parola araba “tabshīr” è utilizzata dai musulmani per esprimere un proselitismo di tipo negativo, un aspetto aggressivo della missione. Spesso, discutendo con i miei amici islamici, io spiego loro che invece il verbo si usa anche nel Corano, in modo molto nobile. Nel libro sacro ai musulmani, si mette questa parola nella bocca di Gesù, che dice: ” Io vi porto il lieto annunzio (“vangelo”) di un profeta che verrà dopo di me il cui nome è Ahmad” (wa-mubashshiran bi-rasulin ya’ti min ba’di smuhu Ahmad = Corano 61:6). In pratica, secondo il Corano, Gesù porta il lieto annunzio profetizzando la venuta di Maometto.

I musulmani citano spesso questa frase, come uno dei loro “dogmi” o delle cosiddette “prove” che dimostrano la superiorità dell’islam sul cristianesimo, Maometto essendo l’ultimo profeta mandato da Dio all’umanità, il “sigillo dei profeti” (khâtam al-nabiyyîn), come dice il Corano 33:40. Anni fa insegnavo filosofia araba all’università del Cairo. I miei studenti (18 in tutto) erano tutti musulmani. Un giorno, alla fine di un corso, uno di loro mi ha accusato: “Lei è venuto qui per fare proselitismo! (tabshīr)”. Io gli ho risposto che mi faceva troppo onore, perché secondo il Corano sono i profeti che fanno tabshir e addirittura Cristo stesso. Lui, un po’ confuso, mi risponde che non intendeva usare quella parola in quel senso. E io gli ho detto che non conoscevo altro senso se non quello con cui la parola è usata nel Corano.

Musulmani e cristiani con un messaggio al mondo intero

La discussione è servita a chiarire le nostre reciproche posizioni. Voi musulmani – spiegavo – avete l’obbligo di fare la Da’wa; avete istituzioni politiche e sociali per fare “l’appello” alla fede, per invitare i non musulmani a aderire all’islam.

Io trovo giusto che voi invitiate la gente a diventare musulmani, perché è segno che ci credete sul serio. Ma anche noi cristiani abbiamo questo obbligo di annunciarvi il lieto annunzio del Vangelo. Come lo dice il Signore risuscitato ai suoi discepoli: “Andate nel mondo intero, proclamate la Buona Notizia (= Vangelo) a tutta la creazione” (Marco 16:15). Si tratta dunque di una missione universale, valida per tutti e tutte.

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