2017 11 29 YEMEN – Mons Hinder: profanato cimitero cristiano. Totale insicurezza

Fonte:CulturaCattolica.it

IRLANDA – Il “mercoledì rosso” dei cristiani TURCHIA – Si aggrava la crisi delle scuole delle minoranze religiose. Adesso sono soltanto 24 IL VIAGGIO DEL PAPA in Mayanmar. Un articolo di Avvenire racconta i martiri in quella terra

YEMEN – Mons Hinder: profanato cimitero cristiano. Totale insicurezza

Nei giorni scorsi una nuova profanazione si è verificata nel cimitero cristiano di Aden e, tra le altre, sono state coinvolte anche le tombe delle quattro suore di Madre Teresa uccise nell’assalto alla loro casa, nel marzo del 2016, dove ospitavano persone anziane. Lo racconta ai nostri micriofoni mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen). Si tratta di un “luogo sacro e storico che accoglie anche anglicani, cattolici e protestanti”, aggiunge il prelato, ed è una violenza che si ripete nel contesto di una situazione economica, sociale e umanitaria drammatica che lo Yemen vive da almeno due anni.
Delle ore scorse è l’allarme lanciato dall’OMS per oltre 940mila casi di colera e un totale di 2.208 vittime, nonché l’urgenza di riaprire canali di passaggio per aiuti umanitari e merci sottolineata dall’Unione Europea. Ad oggi, secondo una Ong statunitense, la chiusura di porti e aeroporti in Yemen, imposta dalla coalizione militare araba guidata da Riyad, rappresenta una “punizione collettiva” che rischia di rendere malnutriti 500 bambini a settimana.
Mons Hinder esprime tutto il suo dolore per l’impossibilità di agire concretamente per il Paese e per la popolazione: “La situazione non è chiara”, racconta “non ci sono informazioni sicure e non si può avere un quadro d’insieme certo. Di sicuro ad Aden l’emergenza è l’insicurezza totale mentre in altre aree si soffre la fame perchè è impossibile per la popolazione avere accesso al cibo e in altre ancora epidemie e malattie sono fuori controllo”.
L’attacco al cimitero cristiano che ha comportato croci e tombe violate è specchio di un conflitto locale e regionale che sembra non avere fine e che dal gennaio 2015 vede opposte la leadership sunnita dell’ex presidente Hadi, sostenuta da Riyad, e i ribelli sciiti Houthi, vicini a Iran ed Hezbollah.
Fonti Onu parlano di quasi 9mila morti, di cui il 60% circa civili, e 45mila feriti. Su un totale di 28 milioni di abitanti, il conflitto ha inoltre lasciato fino a 20 milioni di persone (su un totale di 27) bisognose di assistenza e di aiuti umanitari per poter sopravvivere. Di questi, almeno 7 milioni sono considerati sull’orlo della carestia, 2,3 milioni i bambini malnutriti.
(22/11/2017 Radio Vaticana di Gabriella Ceraso)

IRLANDA – Il “mercoledì rosso” dei cristiani

Il dramma dei cristiani perseguitati è un argomento di cui molti, spesso, non si occupano in modo costante. L’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”, ha organizzato il “Mercoledì Rosso”, cioè una giornata nella quale, mediante la colorazione degli edifici, l’opinione pubblica venga sensibilizzata sul tema.
La Chiesa irlandese – da sempre impegnata rispetto al dramma dei cristiani perseguitati – ha immediatamente aderito: “È scioccante rendersi conto che, nel XXI secolo, i cristiani continuano a essere perseguitati deportati, intimiditi, torturati e persino uccisi a causa della loro fede”, ha dichiarato – come riporta la Sir – il primate della Chiesa d’Irlanda, l’ arcivescovo Eamon Martin.
L’occasione per ribadire l’urgenza di intervenire a favore di quanti, solo a causa della loro adesione religiosa, vengono perseguitati, è stata l’illuminazione di rosso della cattedrale di San Patrick, ad Armagh: un gesto simbolico con il quale si è voluto “mettere in luce le ingiustizie perpetrate contro i gruppi e le minoranze religiose”. E ancora: “Gran parte di questa persecuzione prosegue senza essere riconosciuta, senza ricevere attenzione o senza che nulla di significativo venga fatto per impedirlo”, ha sottolineato l’arcivescovo di Armagh. Il #RedWednesday – ha aggiunto – si rende necessario per “fermarci, riflettere e sensibilizzare su questa realtà orribile nel nostro mondo”. Sono stati tre, poi, i punti sui quali il Monsignore si è voluto soffermare relativamente a questo dramma: “La persecuzione dei fratelli cristiani ci ricorda dell’importanza della riconciliazione e della costruzione della pace tra cristiani di tradizioni diverse”; “l’importanza di difendere la libertà di coscienza e di religione, sancita dall’articolo 18 della Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite”; e ancora “ci invita a riflettere su come noi stessi siamo testimoni della nostra fede nella società irlandese”.

Il numero dei cristiani perseguitati aumenta esponenzialmente di anno in anno. Il rapporto “World Watch List 2016″ ha evidenziato – come ha spiegato Roberto Vivaldelli in un articolo su Il Giornale – che “le persecuzioni a danno dei cristiani su scala mondiale siano cresciute in modo drammatico per il terzo anno consecutivo, raggiungendo “livelli senza precedenti”.

E così, in occasione del #RedWednesday, anche altri episcopati cattolici – tra cui quello filippino – si sono uniti al grido di dolore proveniente dalla penisola britannica .In occasione di questa iniziativa anche il Parlamento inglese si è colorato di rosso. Secondo il Catholic Herald, poi, sono state almeno 10 le cattedrali del Regno Unito a divenire rosse durante questa iniziativa: la Cattedrale di Westminster di Londra e altre a Ayr, Edimburgo, Paisley, Birmingham, Norwich, Wrexham, Derry e Armagh. Nel totale, era previsto che oltre 50 edifici pubblici aderissero al “Mercoledì rosso”.
(Gli occhi della guerra NOV 23, 2017)

TURCHIA – Si aggrava la crisi delle scuole delle minoranze religiose. Adesso sono soltanto 24

Le 24 scuole appartenenti a Fondazioni ed enti legati alle minoranze cristiane presenti in Turchia stanno vivendo di nuovo una fase critica, che mette a rischio la loro stessa sopravvivenza. L’inizio del nuovo anno scolastico ha fatto registrare per molte di esse un calo del numero degli studenti iscritti, che potrebbe spingere alcuni di quegli istituti scolastici verso la chiusura. A denunciarlo è Toros Alcan, presidente della Fondazione della scuola armena Sur Hac Tibrevank e rappresentante delle Fondazioni delle minoranze in seno alla Assemblea delle Fondazioni turche. In alcune dichiarazioni, riprese dalla stampa turca, Alcan ha indicato tra i fattori determinanti della crisi delle scuole delle minoranze, la legislazione che equipara tali istituti scolastici a quelli privati, riducendo notevolmente le forme di sostegno statale a cui possono accedere. Alcan ha ricordato che le scuole legate alle minoranze operano senza fini di lucro, i loro diritti sono garantiti nel Trattato di Losanna, e il loro statuto non può essere omologato a quello delle scuole private.
Negli ultimi anni dell’Impero ottomano, le scuole appartenenti alle comunità minoritarie nel territorio dell’odierna Turchia erano 6437. Il loro numero scese drasticamente a 138 nei primi anni seguiti alla fondazione della Repubblica turca, quando la politica nazionalista del Comitato Unione e Progresso, mirante a costruire e imporre il modello unico del «cittadino turco», iniziò a ispirare la politica di espulsione dei gruppi minoritari. La mentalità nazionalista vedeva anche le scuole delle minoranze come fattori di ostacolo a tale processo di omologazione.
In anni recenti, e precisamente tra il 2014 e il 2015 (vedi Fides 4/11/2014), si era registrata una sensibile crescita nel numero delle scuole appartenenti a Fondazioni e enti legati alle comunità cristiane presenti in Turchia e autorizzate a ricevere sostegno finanziario dallo Stato. In quell’anno scolastico, le scuole appartenenti a Fondazioni legate a diverse comunità cristiane erano diventate 55. Di esse, 36 appartenevano alla comunità armena, 18 alla comunità greca e una scuola materna apparteneva alla comunità siro-ortodossa. Già un anno dopo, il numero delle scuole legate alle minoranze cristiane aveva subito un brusco calo, attestandosi all’attuale quota di 24 istituti scolastici. Le difficoltà hanno provocato la chiusura soprattutto di scuole legate alla piccola minoranza greco-ortodossa. Già allora – riferivano fonti locali consultate dall’Agenzia Fides – l’avvocato turco Nurcan Kaya, Coordinatore del Gruppo dei diritti delle minoranze, sottolineava l’urgenza di definire un quadro normativo che precisi i diritti e i doveri di tali istituti scolastici, chiarendo i meccanismi di finanziamento statale ed eliminando l’obbligo di cittadinanza turca per gli allievi (clausola che riduce sensibilmente il numero di alunni potenziali).
(GV) (Agenzia Fides 24/11/2017).

Il viaggio del Papa in Myanmar
Un articolo di Avvenire racconta i martiri in quella terra

Le storie. Dal missionario al catechista Testimoni del Vangelo fino al martirio
Numerosi i cattolici uccisi in odio alla fede nei 500 anni di storia cristiana della nazione. Già beati

Cinquecento anni di evangelizzazione del Paese, celebrati nel 2014, ma non è mai stata facile la vita dei cattolici del Myanmar, sottoposti a persecuzioni, soprattutto a partire dagli anni ‘50 e ‘60, quando la giunta militare al potere decide la nazionalizzazione delle istituzioni religiose della Chiesa di Roma e allontana 239 missionari. Inizia così un periodo difficilissimo, con diversi martiri, due dei quali proclamati beati il 24 maggio 2014, nella Cattedrale di Aversa, dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato.

Si tratta di padre Mario Vergara, missionario del Pime, e di un suo amico catechista, Isisdoro Ngei Ko Lat, uccisi all’alba del 25 maggio 1950 a Shadaw.

A fucilarli furono i guerriglieri perché ingiustamente accusati di convivenza con il governo centrale e rei di tenere viva l’eredità dell’antico governo coloniale. Isidoro è tra l’altro il primo birmano ad essere beatificato. Un giovane semplice, onesto e umile, così lo descrivono gli atti del processo di beatificazione. Nel suo villaggio di Dorokhò apre una scuola privata gratuita, in cui insegna ai bambini il birmano e l’inglese, impartisce lezioni di catechismo, musica e canzoni sacre. È in buon rapporti con tutti e tutti gli vogliono bene.

Anche la vita di padre Vergara è stata interamente spesa per l’annuncio del Vangelo a queste latitudini. Nato a Frattamaggiore (Aversa) nel 1910 e ordinato sacerdote nel 1934, parte l’anno seguente per la Birmania, dove gli viene assegnato il distretto di Citaciò sulle montagne dei Sokù.
Tra quelle popolazioni affronta prove durissime, tra le quali una grave carestia, e durante la seconda Guerra mondiale viene internato con tutti i missionari italiani nei campi di concentramento in India. Tornerà in Birmania solo nel 1946 fortemente indebolito nel fisico e subisce anche l’asporta- zione di un rene. Ma non si dà per vinto. Il suo zelo apostolico non diminuisce. Trova il martirio nel tentativo di chiedere la liberazione, insieme con Isidoro, di un altro catechista arrestato, Giacomo Coléi. Purtroppo la missione non ha esito e i due, dopo essere stati uccisi, vengono gettati nel fiume Salween. I loro corpi non sono mai stati ritrovati. «Abbiamo molti altri martiri in Myanmar, che meritano la santità – disse all’epoca della beatificazione l’arcivescovo di Yangon, Charles Bo, poi elevato da Francesco alla dignità cardinalizia –. Lavorerò con impegno perché siano riconosciuti al più presto».

Tra questi spicca la figura don Stefano Vong, il primo sacerdote locale della diocesi di Kengtung, ucciso da un bonzo buddhista nel 1961 all’età di 47 anni. Le circostanze della sua morte rimandano a una stagione di attriti con i buddhisti che fortunatamente oggi è alle spalle, come testimonia anche l’incontro con il Papa in programma a Yangon durante questo viaggio. I missionari buddhisti erano infatti impegnati a convertire la tribù Akhà, tra le quali lavorava donVong. Perciò lo uccisero a fucilate mentre stava visitando i villaggi in vista della Pasqua del 1961.

Ci sono poi quattro altri missionari del Pime, che hanno pagato con la vita la loro opera di evangelizzazione.

Si tratta di padre Pietro Manghisi, originario di Monopoli, anch’egli attivo nella diocesi di Kengtung, ucciso dai soldati irregolari cinesi il 15 febbraio 1953; di padre Alfredo Cremonesi, del quale è in corso il processo di beatificazione, accusato di favorire i ribelli e perciò ucciso dai militari birmani il 7 febbraio 1953; di padre Pietro Galastri, compagno di missione di Vergara nel villaggio di Shadaw e ucciso insieme con lui e Isidoro; e infine di padre Eliodoro Farronato, che trovò la morte a Mongyong, per mano dei guerriglieri cinesi l’11 dicembre 1955.
(Mimmo Muolo martedì 28 novembre 2017 Avvenire)

 

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