Albania Athleta Christi. Alle radici della libertà di un popolo | Tempi.it

Intervista a Teodor Nasi, curatore della mostra che sarà presentata al prossimo Meeting di Rimini. L’eredità del comunismo, la cultura anticristiana, il vuoto identitario. Ma anche alcuni “esempi luminosi”

Tratto da Zenit.org. Per quella che è stata la sua vicenda, l’Albania rappresenta un capitolo a sé nella storia d’Europa. Difficilmente incasellabile secondo i parametri di Europa occidentale o orientale, questo paese, seppur piccolo per dimensioni territoriali, è grande per la forza della sua tradizione cristiana.

Sebbene sia stato oppresso da una dittatura comunista, sarebbe un errore analizzare la storia dell’Albania in base a quanto avvenne in Unione Sovietica e nel paesi satelliti. Anche in ciò, questa nazione conserva la sua peculiarità.

Pur essendo luogo d’origine di una delle più numerose comunità di immigrati sul suolo italiano, dell’Albania sappiamo molto poco. La mostra Albania Athleta Christi. Alle radici della libertà di un popolo, in programma al prossimo Meeting di Rimini (19-25 agosto), intende contribuire a colmare questa lacuna.

Per conoscere i contenuti dell’esposizione, Zenit ha incontrato Teodor Nasi, giovane avvocato trapiantato in Italia, curatore dell’iniziativa, assieme a Felice Crema, Bardha Karra, Florenc Kola, Zhirajr Mokini Poturljan, Miranda Mulgeci Kola, Giorgio Paolucci e Denis Spahaj.

Come avete conosciuto il Meeting, voi curatori albanesi, e come è nata l’idea di questa mostra?

Ho conosciuto il Meeting poco dopo aver incontrato il cristianesimo. È la più importante tribuna culturale italiana. Ho iniziato a lavorarvi come volontario nel 1997, a 17 anni. Avvicinandoci all’occasione del centenario dell’indipendenza dell’Albania, diventando sempre più forte l’urgenza di dare una risposta a quelle domande che la mostra solleva, ecco che nel 2010 abbiamo iniziato a parlarne ed oggi pare che ci siamo.

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