Arabi cristiani, il cruccio delle Primavere

​Nei Paesi del Medio-Oriente parlare della diversità dell’altro è all’ordine del giorno. Diversità di religione ma anche diversità all’interno di una stessa religione. Per un arabo cristiano vivere il diverso è un’esigenza pratica prima ancora di essere una vocazione. Un cristiano arabo che nasce in un Paese musulmano cresce con una mentalità “minoritaria”. In questo c’è del buono (solidarietà all’interno del gruppo religioso, serietà sul lavoro, formazione intellettuale avanzata, dovere di testimonianza), e del meno buono (tentazione di ripiegamento identitario, paura, sensibilità, instabilità…).

Si finisce per acquisire inconsciamente una mentalità minoritaria di chiusura nello status quo, che teme il cambiamento e porta a una certa complicità con il potere politico per paura del futuro. In effetti, nella lunga storia delle Cristianità orientali si nota come queste il più delle volte si siano piegate piuttosto di combattere, siano scese a patti piuttosto di resistere. Non è un giudizio ma una costatazione. Le reazioni e le posizioni della maggior parte delle Chiese del Medio Oriente in merito ai recenti avvenimenti che hanno scosso il mondo arabo riflettono questa realtà. Si preferisce ciò che esiste e che protegge a ciò che potrebbe succedere e non garantire la stessa protezione, soprattutto se, come minoranza, si è “protetti” da un’altra minoranza. È il caso della Siria.

Detto questo, un arabo cristiano del Medio Oriente non è necessariamente infelice. Non parlo delle situazioni economiche (generalmente è più agiato a livello economico tranne, forse, in Egitto) o politiche (è generalmente meno avvantaggiato, soprattutto in Egitto), mi colloco al livello della vita di un cristiano in terra d’Islam. Ci sono dei punti che aiutano il cristiano arabo a sentirsi più o meno “a casa sua”. Innanzitutto una lunga storia. Sono più di quindici secoli che gli arabi cristiani vivono con gli arabi musulmani. Sarebbe ingenuo pensare che questi quindici secoli siano trascorsi senza scontri, senza alti e bassi (i tempi più duri sono stati la fine del regime abbaside e poi il periodo mamelucco e ottomano). Ma è altrettanto vero che una coesistenza così lunga ha forgiato, negli uni e negli altri, la convinzione che l’altro (cristiano o musulmano) sia parte integrante della propria storia, cultura e civiltà.

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