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Siria, orrore sequestri: due preti tra gli ostaggi

​«Loro sono con noi». Quattro parole. Non hanno detto nient’altro i sequestratori di padre Michel Kayyal (armeno cattolico) e padre Maher Mahfouz (greco ortodosso), rapiti il 9 febbraio da un gruppo di ribelli sulla strada che da Aleppo conduce a Damasco. La telefonata è arrivata al fratello di uno dei due sacerdoti, e ha lasciato nell’angoscia le famiglie e un’intera comunità di fedeli.

È successo in Siria, Paese dove la piaga dei rapimenti è, ormai, male endemico ed “efficace” strumento di vendetta. Solo nelle ultime ore, un centinaio di persone sono state rapite in un’assurda catena di sequestri incrociati tra comunità islamiche rivali nel Nord: 70 sciiti sono stati prelevati da un mini-bus a Idlib da miliziani vicini al regime: di loro non si sa più nulla; 40 sunniti, nella stessa zona, sono stati catturati mentre viaggiavano a bordo di un autobus: stessa sorte. Il “contagio” tocca adesso anche i cristiani. E a preoccupare la comunità è la determinazione con cui i sequestratori sembrano aver scelto l’obiettivo. Padre Kayyal e padre Mahfouz stavano viaggiando a bordo di un autobus pubblico, diretti alla casa salesiana di Kafrun. A trenta chilometri da Aleppo, il commando ha fermato il mezzo, alcuni uomini sono saliti a bordo e hanno controllato i documenti dei passeggeri e hanno fatto scendere i due sacerdoti. Solo loro. Poi li hanno portati via. L’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, ha raccontato a Fides che «i sedicenti rapitori non hanno avanzato richieste», e ha comunque sottolineato che la zona in cui i due sacerdoti sono tenuti prigionieri è stata circoscritta, e che le autorità religiose stanno cercando di aprire un canale di trattativa attraverso i capi tribù di quella zona. Finora senza successo.

Nessuna indicazione sulla matrice del gruppo di sequestratori: potrebbero essere ribelli, o semplicemente banditi. «Ma ci domandiamo cosa significhi la scelta mirata di rapire due sacerdoti, tra i tanti passeggeri del bus assalito dai sequestratori», ha evidenziato monsignor Marayati. Senza peraltro confermare le indiscrezioni sulla richiesta di un riscatto di 160mila euro. Tutto è ipotizzabile in un Paese dove ormai nessun posto è sicuro. I combattimenti tra ribelli e lealisti continuano nelle aree centrale e in quelle di confine. E alimentano l’emergenza profughi. Secondo stime dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) il bilancio aggiornato al 6 febbraio dei siriani scappati nei Paesi confinanti è di 787mila persone. Ma aumentano a un ritmo impressionante: 5.000 al giorno.

Cifre da “esodo”, che interpellano con urgenza una comunità internazionale in totale stallo sugli altri fronti: diplomatico e militare. Ieri una delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con i Paesi del Mashreq, al termine di una visita in Libano, ha sottolineato che sinora la Ue ha stanziato 400 milioni di euro per aiutare i Paesi confinanti della Siria, ma che «tutti gli strumenti» saranno utilizzati per assicurare ulteriore assistenza. Continua a leggere

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«Dal Papa parole e gesti per la vita»

Un Papa che ha sempre messo al centro la questione della dignità umana, dal concepimento alla fine naturale, non come «attributo vago di rispetto», ma come realtà «ontologica». Come questione che interpella da vicino le scienze, che non possono limitarsi a descrivere i fenomeni, ma devono cercare di aprirsi a questa realtà fondamentale. E, infine, che investe il fondamento stesso della società. Il cardinale Elio Sgreccia, dal suo appartamento nel Palazzo del Sant’Uffizio – proprio sul terrazzo che guarda la piazza più famosa al mondo – ripercorre il filo rosso dei riferimenti ai temi bioetici fatti da Papa Benedetto XVI in tanti discorsi e scritti. Certo, non ha dedicato encicliche alla vita, come Giovanni Paolo II. Ma l’84enne presidente emerito della Pontificia Accademia per la vita ricorda subito come gran parte dell’elaborazione dei pronunciamenti di papa Wojtyla sia avvenuta tra queste mura, dove il suo principale collaboratore era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Anche da Papa, Ratzinger ha poi contribuito a far capire la posta in palio. Come nella Caritas in veritate.
Come ha vissuto l’annuncio della rinuncia?
La mia reazione, come quella di tutti i cardinali presenti, è stata di sgomento e trepidazione. Quasi di incredulità rispetto a quanto stavamo sentendo in un latino limpido, studiato in ogni parola. E che dava subito i riferimenti: bene della Chiesa, limitazione delle sue forze, libertà della decisione.
Nella giornata mondiale del malato è stata anche una lezione sulla fragilità?
Sì, di grande coraggio e umiltà. Un modo diverso di fare un’offerta a Dio, a spese proprie e per il bene degli altri. Non è un rifiutare la Croce, che c’è sempre.
Quando fu eletto, nel 2005, in Italia infuriava la polemica sulla legge 40. Temi allora poco noti, ma oggi alla ribalta mondiale. Cosa lascia alla riflessione in materia?
Il suo apporto può apparire meno clamoroso di quello del predecessore. Ma va ricordato che la prima istruzione sulla dignità della vita nascente e della procreazione, la Donum vitae del 1987, fu chiamata «Istruzione Ratzinger». Affronta le problematiche dell’embrione come persona umana, della sperimentazione, della procreazione artificiale e si accenna anche alla clonazione.
Un’attenzione anticipatrice.
Che è entrata nella visione della Chiesa, ma è stata anche fonte di scontro con ambienti laici europei e nei Comitati di bioetica (Sgreccia è stato a lungo membro di quello italiano, ndr). Vent’anni dopo, da Papa, sempre attraverso la Dottrina della fede, nella Dignitas personae ha portato novità su staminali e clonazione, messo paletti su ingegneria genetica e uso degli embrioni congelati. E ribadito il valore antropologico dell’embrione introducendo il concetto di dignità dell’essere umano. Non è un attributo vago di rispetto, ma è ontologico. La persona è al vertice dell’universo, è intangibile e porta una dignità cristologica piena.
Una visione, dunque, sempre aperta al futuro e alle novità. Con quale peculiarità?
In quasi tutti i suoi discorsi ha ricondotto il rispetto della vita alla fede nel Creatore. Quando cade il concetto di Dio, lo ha già detto il Concilio, l’uomo svanisce. Per questo davanti al processo di secolarizzazione, ha avuto a cuore fino all’ultimo la necessità di una nuova evangelizzazione. E ha auspicato il passaggio dalle scienze, che si limitano a descrivere i fenomeni, alla sapienza, che va al fondamento della vita e della società. È un lavoro della mente umana sostenuto e coadiuvato dalla fede.
Che cosa ha fatto per attualizzare l’importanza di questi temi?
Ha portato dei punti di unificazione. Nel capitolo 18 della Caritas in veritate, ha collegato l’accoglienza della vita umana – quindi la lotta all’antinatalismo istituzionale mondiale – allo sviluppo economico e sociale, che dipende anzitutto dal capitale umano. C’è stata spesso incapacità di vederlo, questo collegamento. All’applauso che Giovanni Paolo II riceveva a ogni enciclica sociale, corrispondeva un attacco quando parlava di aborto o contraccezione. Ma oggi constatiamo che, dove c’è crisi economica, una radice non secondaria è il crollo della presenza umana.
Quali altri nessi ha evidenziato?
Sempre nell’enciclica, al numero 48, quello tra rispetto della vita ed ecologia umana. Se si vuole difendere l’ecologia esterna – piante, animali, acque – bisogna legarla al rispetto di quella interna, di ciò che la creatura ha di più sacro. Ci accorgiamo, infatti, di come la crisi oggi non sia economica, ma morale.
Gli interventi sono stati tanti. Non s’è lasciato sfuggire un’occasione…
Discorsi ai vescovi, agli ambasciatori, a volte anche nei viaggi. Come quello in cui ha richiamato gli africani alla loro responsabilità per combattere l’Aids. Non bastano i soldi dell’Occidente e i preservativi, senza comportamenti adeguati. L’intervento, approvato dai vescovi d’Africa, a distanza ha ancora una sua portata. Quali altri ricorda?
Ha spesso sensibilizzato i governanti sulla necessità che i valori etici siano riconosciuti dal diritto. Perché quando questo si stacca dall’etica, cadendo nel dominio di volontà e spinte contingenti, la società perde i suoi fondamenti. Pensiamo al recente messaggio per la Giornata della pace. Operatore di pace, scrive, è chi ama e difende la vita nella sua integrità. E il matrimonio: la prima solidarietà è nella famiglia. L’accoglienza del fratello presuppone quella del nascituro. Se ci si abitua a sopprimere la vita, poi non si frena la violenza. Si abbassano i livelli politici, di giustizia e solidarietà. La biopolitica, insomma, presuppone la bioetica.
Questa visione sta facendo breccia al di là della Chiesa?
Sì. Almeno in settori del mondo culturale pensosi e preoccupati del futuro. Oltre che, ne sono testimone, nei consessi dove queste cose si studiano seriamente. La sua parola è stata sempre più attesa nei momenti di confusione. E anche nella Chiesa vanno assimilate nel tessuto pastorale.

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Eutanasia, primo sì dei medici francesi

 Il Consiglio Nazionale francese dell’ordine dei medici ha consentito, per la prima volta, alla “sedazione terminale” per pazienti in fine di vita che abbiano fatto “richieste persistenti, lucide e ripetute”. Invocando ‘un dovere di umanita”, riserva questa via a ‘casi eccezionali”:”agonie prolungate e dolori incontrollabili”.

“Per richieste insistenti, lucide e ripetute della persona, colpita da una malattia per la quale tutte le cure sono diventate inoperanti e sono state avviate le cure palliative, una decisione medica legittima deve essere
presa di fronte a situazioni cliniche eccezionali, a condizione che siano state identificate come tali, non da un solo medico, ma da una formazione collegiale”. È quanto scrive il Consiglio Nazionale francese dell’ordine dei medici in un testo dal titolo “Fine della vita, Assistenza a morire”.

Per la prima volta, i medici vi consentono l’eutanasia di pazienti in fin di vita, senza tuttavia utilizzare questo termine, ma parlando di “sedazione terminale” e invocando un “dovere di umanità”.
  
In Francia vige dal 2005 la legge Leonetti contro l'”accanimento terapeutico”, ma l’eutanasia resta illegale.
Questa legge, scrivono i medici, “risponde alla maggior parte dei casi di fine della vita. Tuttavia – continuano – la legge non offre soluzioni a certi casi di agonie prolungate o con dolori psicologici e/o fisici che, nonostante i mezzi applicati, restano incontrollabili”. Queste situazioni “benchè rare non possono restare senza risposta” scrive l’Ordine riconoscendo l’esistenza di “situazioni eccezionali non prese in conto” dalla legge attuale. “Una sedazione adatta, profonda e terminale – concludono – praticata nel rispetto della dignità
potrebbe essere immaginata, per dovere di umanità, da un collegio di cui bisognerebbe fissare  la composizione e le modalità di appello”.

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