È singolare che il pensiero di Benedetto Croce, che negli anni del ventennio fascista espresse la resistenza liberale al regime, ci appaia oggi così datato. Paradossalmente il suo fratello-nemico Giovanni Gentile, filosofo di Mussolini e del fascismo, risulta (negativamente) essere più “attuale”, al punto da influenzare, come bene ha mostrato Augusto Del Noce, la stessa cultura antifascista del dopoguerra.
Ciò non significa che l’opera e il pensiero di Croce non siano stati di prima grandezza. Il filosofo è al centro dei passaggi salienti della cultura italiana dalla fine dell’800 al 1945: dal dibattito, con Sorel-Labriola-Gentile, sul nascente marxismo in Italia; alla critica neoidealistica al positivismo; alla valutazione, positiva, prima, e poi critica verso il fascismo. Nonostante ciò appare oggi come pensatore legato al passato. La filosofia crociana sorge nella sintesi tra storicismo e idealismo, tra relativismo storico e assolutizzazione dei valori di un’epoca: l’età liberal-borghese 1871-1914. Quell’età inizia con la sconfitta della rivoluzione, nella Comune di Parigi, e con la caduta del potere temporale dei Papi, nel 1870. Il pensiero crociano, scrive del Noce, «vive nell’impressione di due definitivi crolli, quello dell’utopia rivoluzionaria, e quello del cattolicesimo. Ora, l’accettazione di queste due esclusioni, del pensiero rivoluzionario e della religione trascendente, caratterizza appunto il pensiero di Croce»
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