«Blasfemia strumento di controllo sociale»

Le critiche internazionali non hanno fermato finora la “legge nera”. Che negli ultimi trent’anni è stata usata per rinchiudere nelle celle pachistane oltre 4mila persone. E che settori del mondo islamico pakistano continuano a “brandire” come un feroce strumento di repressione delle minoranze. Migliaia di cattolici, evangelici, ahmadi, indù, islamici sciiti e – anche – sunniti sono finiti dietro le sbarre senza prove. Per venire stritolato dagli ingranaggi alla cosiddetta norma “anti-blasfemia”, è spesso sufficiente una denuncia.

«Il provvedimento, però, non colpisce in tutto il Pakistan allo stesso modo – spiega Mobeen Shahid, esperto della Pontificia Università Lateranense –. Nelle aree più remote, dove le discriminazioni nei confronti delle minoranze sono nette e l’emarginazione più evidente, le accuse di blasfemia sono limitate. Invece, man mano che ci avviciniamo ai centri metropolitani, a quelle periferie di Lahore, Islamabad, Karachi, dove cristiani e indù stanno riuscendo a ritagliarsi uno spazio economico e sociale, i casi di asserita “blasfemia” si moltiplicano». Eppure, timidamente, qualcosa sta cambiando anche in Pakistan. Dopo la vicenda di Rimsha – la ragazzina cristiana e disabile accusata ingiustamente di aver bruciato le pagine del Corano e poi liberata –, l’opinione pubblica «sta iniziando a prendere coscienza degli abusi a cui tale normativa si presta», aggiunge Shahid che oggi sarà all’Università di Foggia per presentare la sua ricerca su “Religione e libertà in Pakistan”.

Professore, che cosa è mutato nel sentire della gente dopo il caso Rimsha?

I cittadini sono più consapevoli dell’utilizzo improprio della legge anti-blasfemia. Rimsha, infatti, è stata denunciata dall’imam del quartiere per una vendetta personale e le prove sono state manipolate. Il caso, inoltre, costituisce un precedente giuridico: a finire sotto processo per falsa testimonianza è stato l’accusatore. Tant’è vero che dopo Rimsha è stato scagionato anche un insegnante di Lahore. Al suo posto, è finito in prigione il nipote che lo aveva falsamente incolpato. <+nero>Attivisti e associazioni internazionali hanno espresso da tempo forti perplessità sulla legge anti-blasfemia. Eppure in Pakistan si fatica a capire quanto sia strumentalizzabile. Come mai?

<+tondo>In realtà, è in corso una riflessione per evitare gli abusi connessi alla norma. Non c’è, però, una volontà di cancellarla: quest’ultima è stata formulata nel dettato attuale nel periodo della guerra tra i mujaheddin afghani e l’Armata Rossa. Il Pakistan era coinvolto nella preparazione dei combattenti musulmani a cui occorrevano norme forti a difesa dell’islam. La legge sulla blasfemia è un simbolo di questa volontà di tutelare la religione islamica.

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