Cambogia, Alvargonzález: «La Chiesa in Cambogia è martire»

Intervista con mons. Enrique Figaredo Alvargonzález, prefetto apostolico di Battambang: «Tutti i nostri capi, i vescovi, i sacerdoti, le suore e molti catechisti sono stati uccisi».

(tratto da ZENIT.org) – Per il programma settimanale Where God Weeps (Dove Dio Piange), Maria Lozano ha intervistato in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) il prefetto apostolico di Battambang, in Cambogia, monsignor Enrique Figaredo Alvargonzález, S.I.

Mons. Kike, Lei è entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù all’età di 20 anni a Madrid. Perché e quando si è trasferito in Cambogia?
Ero alla ricerca di un incontro con Dio e l’ho avuto durante il mio noviziato, quando stavo studiando filosofia. Quando mi sono laureato in economia, volevo dare un volto ai numeri che avevo studiato, così ho detto al mio provinciale che volevo essere volontario per i rifugiati e imparare da queste persone. Egli è il Cristo sofferente nel mondo e pensavo che i profughi erano coloro che andavano ad insegnarmi come è questo Gesù. Ero pronto a qualsiasi cosa ed improvvisamente ho ricevuto una lettera da Bangkok, del Jesuit Refugee Service: “Ti aspettiamo qui il 1 settembre”. La lettera è arrivata a maggio, quando non avevo ancora dato gli esami per la laurea, non aveva ancora fatto i test per la carriera e questo mi ha reso molto nervoso.

Inoltre, la Cambogia era ancora in guerra.
Sì. Ho dovuto guardare la mappa per sapere dove si trovava. Le prime immagini che ho visto di cambogiani erano tutti con il cromà. Il cromà è una sciarpa, un foulard che in Cambogia è multiuso. Si usa sia per il sudore che per coprirsi dal sole, come asciugamano, come amaca per i bambini. Se dovessimo scegliere un simbolo della Cambogia per identificare il popolo cambogiano, dovremmo scegliere il cromà. Quindi, quando porto il cromà è un po’ come portare la Cambogia con me. In quelle prime foto che ho visto di rifugiati cambogiani, tutti avevano il cromà e mi ha incuriosito tantissimo.

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