C’è anche una Chiesa che non sta in silenzio

di Matteo Matzuzzi

Incontrando giovedì scorso in Vaticano una delegazione della University of Notre Dame dell’Indiana (ne aveva già riferito Massimo Introvigne), il Papa si è soffermato sull’identità cattolica del campus: «Auspico che l’Università Notre Dame continui ad offrire la sua indispensabile ed inequivocabile testimonianza a questo aspetto della sua fondamentale identità cattolica, specialmente di fronte ai tentativi, da qualsiasi parte essi provengano, di diluirla. E questo è importante: l’identità propria, come è stata voluta dall’inizio. Difenderla, conservarla, farla andare avanti».

Parole dirette sì all’università dell’Indiana, ma anche a tutti i campus che, da secoli cattolici nel nome, spesso approvano statuti che poco hanno a che fare con quanto prevede il Magistero romano. Rimanendo negli Stati Uniti, le battaglie tra abortisti e anti abortisti alla Loyola Marymount di Los Angeles e alla Georgetown di Washington sono solo due tra i più recenti e rilevanti esempi.

Le parole del Papa vengono dunque spese in uno di quei “determinati contesti” di cui lo stesso Francesco parlò nell’intervista estiva alla Civiltà Cattolica, quando invitò a non insistere troppo su aborto, nozze omosessuali e contraccezione, se non – appunto – quando necessario.

Qualche giorno fa, però, l’arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, ha respinto in un’intervista al quotidiano Boston Herald ogni accusa di ossessionare i fedeli con prediche dai pulpiti delle chiese tutte centrate su aborto e nozze omosessuali: «Un cattolico sentirà forse una volta all’anno un’omelia contro l’aborto. Ma se date un’occhiata al New York Times, in una settimana su quel giornale ci saranno almeno venti articoli su omosessualità, aborto e nozze gay. Chi è allora l’ossessionato?». Il punto, ha chiarito il porporato cappuccino membro della speciale consulta incaricata dal Pontefice di rifondare la Curia romana e di consigliarlo nel governo della Chiesa universale, è che «quando lo stato comincia a decidere chi è degno di vivere e chi no, a quel punto gli stessi diritti dell’uomo sono messi in pericolo».

La battaglia contro l’eutanasia non fa parte di quella triade, ma è comunque uno di quei princìpi su cui la Chiesa non ammette negoziazione. In Belgio è ormai prossimo all’approvazione da parte del Parlamento il disegno di legge che la legalizza anche per i minori, senza alcun limite d’età (il che fa del provvedimento il più “estremo” al mondo in tema di fine vita). Le condizioni per la concessione della cosiddetta “dolce morte” prevedono che il richiedente sia malato terminale, che la sofferenza patita sia insopportabile e che uno psichiatra attesti che il soggetto interessato sia consapevole di ciò cui sta andando incontro.

Davanti a questa prospettiva, ha alzato la voce l’arcivescovo di Bruxelles, mons. André Léonard, che ha chiamato a raccolta i fedeli cattolici belgi. Convocate veglie di preghiera in tutto il Paese, cattedrali e piccole chiese aperte, sit-in, marce. Il tutto corredato da una giornata di digiuno. Giovedì prossimo, la veglia a Bruxelles sarà presieduta dall’arcivescovo in persona e avrà inizio alle ore 20.00. L’obiettivo, ha spiegato il presule, è di estendere ai santuari e alle altre chiese periferiche il programma che sarà attuato nella capitale e a Lovanio. Quella di Léonard è una vera chiamata a scendere in strada: «Bisogna avere il coraggio di dire ai nostri concittadini che non è troppo tardi, il momento è ora! Dobbiamo agitare le nostre coscienze e anche quelle dei nostri fratelli e sorelle. E’ giunto il momento di agire. Contiamo su di voi».

E’ il segno che qualcosa si muove. In Spagna, dove il presidente uscente della locale conferenza episcopale, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela ha chiuso il Consiglio permanente di gennaio schierandosi a difesa del progetto di legge del ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón che limita la possibilità di abortire a pochi casi ben definiti. In Italia, dove merita attenzione la Nota pastorale dei vescovi del Triveneto in cui è ribadita all’unanimità ogni contrarietà al tentativo di accantonare le parole «padre e madre in luogo di altre meno discriminanti e allo stravolgimento del valore di famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna».

Ma soprattutto qualcosa si muove in quei contesti che poco hanno da invidiare alle periferie esistenziali extraeuropee così tanto citate da Papa Francesco. Il Belgio è una delle vittime principali del laicismo esasperato e di cattolico, in quel paese ci sono ormai solamente le chiese intese come edifici di culto. Nella gran parte dei casi vuoti. Mons. Léonard, che in passato si è preso in faccia le torte delle attiviste di Femen senza reagire in alcun modo, ha l’obiettivo di far risvegliare la fede in quella terra. E i «criteri della fede – ha detto ieri Francesco al termine dei lavori della plenaria della congregazione per la Dottrina della fede ¬– devono sempre prevalere nelle parole e nella prassi della Chiesa». Prendersi cura dell’integrità della fede, ha aggiunto il Pontefice, «è un compito che serve a salvaguardare il diritto di tutto il Popolo di Dio a ricevere il deposito della fede nella sua purezza e nella sua integralità». Inoltre, «la verità esige la fedeltà, questa cresce sempre nella carità e nell’aiuto fraterno per chi è chiamato a maturare o chiarire le proprie convinzioni».

AVANZA LA DITTATURA. NEL SILENZIO,
di Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio

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