Che cos’è la Manif pour tous | Tempi.it

dicembre 28, 2014Giuseppe Rusconi

“Abbiamo partecipato a uno slancio al di là della politica che coglie la sfida cruciale del nostro secolo: che cos’è l’uomo?”. Intervista a Tugdual Derville, portavoce dell’associazione francese”

manif-pour-tous-gay-franciaTratta da Rosso Porpora – Qual è stata in questi ultimi anni (ed è ancora) in Europa l’espressione più evidente e più massiccia del rifiuto – da parte di ampie fette del popolo – della cosiddetta “rivoluzione antropologica”, quella che mira a completare la destabilizzazione in corso della famiglia composta da uomo, donna e tesa a procreare? Quella che punta sull’imposizione nella scuola di un’ideologia, detta del gender, tipica di una società ‘liquida’ e dunque allo sbando? Quella per cui bene e male sono intercambiabili, così come vita e morte, e tutto è indifferenziato, senza far capo a una gerarchia di valori? La reazione più significativa e incisiva a tale ‘rivoluzione’ è venuta dalla Manif pour tous francese (con le sue appendici come i Veilleurs, le Sentinelle in piedi). Ma che cos’è stata, come si è sviluppata e come evolverà la Manif pour tous, manifestazione con una forte (anche se non esclusiva) impronta cattolica, nata anche per l’invito alla riflessione fatto nell’estate del 2012 dal cardinale Vingt-Trois, allora presidente dei vescovi francesi? Di tutto questo parliamo con Tugdual (nome bretone) Derville, uno dei principali portavoce della Manif, delegato generale dell’Alliance VITA (associazione co-fondatrice della Manif) e tra gli iniziatori anche del Courant pour une Ecologie Humaine, recentemente costituito. Abbiamo avuto la possibilità di incontrare il cinquantaduenne Derville, cattolico praticante, padre di sei figli, in occasione del convegno internazionale interreligioso “Humanum” sulla complementarietà tra uomo e donna, promosso a metà novembre in Vaticano dalla Congregazione per la Dottrina della fede. In quella sede, nell’aula sinodale, è stato proiettato anche un cortometraggio in cui si rievocano alcuni momenti delle grandi e appassionate manifestazioni pro-famiglia che hanno costituito negli ultimi due anni la colonna sonora della Francia, che, pur minoritaria a livello parlamentare, è riuscita a far tremare anche l’Eliseo, Palais de Matignon e Palais de Bourbon in nome dei valori umani e cristiani.

manifestazione-gay-franciaTugdual Derville, Lei dagli Anni Ottanta si è dedicato all’aiuto dapprima agli anziani, poi ai disabili mentali, successivamente in Alliance VITA (di cui è delegato generale) si è occupato del rispetto della dignità umana dei più deboli. Che cosa ha spinto Lei e Alliance VITA a cofondare nell’autunno del 2012 la Manif pour tous?
Più che come ‘cofondatore’ della Manif pour tous, mi considero uno degli esponenti principali di un movimento sociale immenso, che ha sorpreso i suoi iniziatori, andando molto al di là di quanto previsto… come figure di riferimento mediatico, non abbiamo fatto altro che canalizzare e dare visibilità a un’energia sopita della Francia profonda. Alliance VITA aveva deciso già dal luglio 2012, dopo l’elezione di François Hollande a presidente della Repubblica, di impegnarsi fortemente contro il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso per difendere i bambini minacciati dal progetto di legge annunciato. Tale progetto includeva la possibilità che un bambino fosse adottato da due uomini o da due donne, venendo così depauperato di ogni punto di riferimento materno o paterno. Il Governo era intenzionato ad agire molto in fretta, con l’aiuto dello slogan riduttivo mariage pour tous, che nascondeva agli occhi dei francesi la questione dell’adozione. Allora Alliance VITA è stata la prima a scendere in piazza, nell’ottobre 2012, in una cinquantina di manifestazioni simboliche che avevano come slogan: Un papa, une maman, on ne ment pas aux enfants ovvero mettevano il bambino al centro del dibattito. Il successo è stato tale (e anche l’eco mediatica) che numerosi gruppi e associazioni, premuti dalla loro base, volevano pure scendere in piazza. I due gruppi più importanti si sono così uniti, ciò che spiega il riscontro avuto dalla prima grande manifestazione regionale a Parigi del 17 novembre 2012.

Manif pour tous: una sfida piena di difficoltà. Quali le principali? Come è riuscita a mobilitare così tanta parte della società francese?
Il movimento che si è principalmente cristallizzato nel motto Manif pour tous è tipico dei veri movimenti sociali che rispondono a tre criteri: spontaneità, anarchia e fermento. Spontaneità: molte persone insorgono contemporaneamente, animate da una ragione comune. Anarchia: nessuno riesce veramente a padroneggiare tutto quanto succede. Fermento: c’è un continuo fermentare di iniziative che fioriscono e sfioriscono… Se in ogni caso c’è uno scoglio che siamo riusciti a superare in modo quasi miracoloso, nei primi dieci mesi, è quello della divisione. La Francia è celebre per le sue tribù galliche, connotata dalla guerra tra i capi ovvero dalla battaglia tra i narcisi. Come siamo riusciti a vincere tale tendenza nazionale e a unirci quasi tutti sotto una sola bandiera? Alcuni di noi hanno dato prova di umiltà. Altri di autorevolezza. Tutti di devozione. Certo Alliance VITA o le Associazioni familiari cattoliche hanno fornito molti quadri all’organizzazione unitaria. Un fattore importante di successo è stato internet e le sue diramazioni sociali, strumenti perfetti per organizzarsi molto in fretta senza soggiacere al boicottaggio di certi media…

In ogni caso internet non sarebbe stato sufficiente se fossero mancate motivazioni molto serie e sentite…
La Francia è un Paese particolarmente provato dalla rivoluzione liberale-libertaria del 1968, questo emergere di un individualismo e di un laicismo di cui la legge del mariage pour tous della Guardasigilli Taubira è una delle numerose conseguenze… Se tale legge ha scatenato un tale movimento di protesta è perché toccava qualcosa di molto intimo: il riferimento all’alterità sessuale nella generazione. In altre parole, il fondamento antropologico più radicato nella storia dell’umanità. Con la legge Taubira padre e madre diventano intercambiabili!
Poi: chi aveva pensato che tale legge non concernesse che una minoranza nella minoranza, cioè le rare persone omosessuali desiderose di sposarsi con una persona dello stesso sesso, ha fatto un errore enorme. Per noi non si trattava di ‘aprire’ il matrimonio, ma di snaturarlo e anche di distruggerlo. E in particolare di rompere il processo di filiazione.
Occorreva naturalmente che un popolo si ribellasse. Ciò fa parte della tradizione francese: quando i potenti abusano del loro potere il popolo insorge… Penso che il fuoco della ribellione covasse da anni sotto la cenere, ignorato completamente dai media dominanti e dal potere. Invece una rete di resistenza si è consolidata attraverso associazioni, comunità, pubblicazioni, avvenimenti, luoghi emblematici.. E’ questo tessuto umanitario, sociale, religioso, culturale che ha improvvisamente rivelato di esistere e di essere vitale. Davanti all’imborghesimento delle élites liberal-libertarie al potere si è parata una folla motivata dall’altruismo: ci è parso insopportabile che le generazioni future fossero private del prezioso punto di riferimento dell’alterità sessuale di cui tutti siamo figli. Un tale fatto richiama quella libertà che non si ama mai così tanto come quando è minacciata. Operando per far sì che la legge Taubira non fosse approvata, mi sono detto spesso che tale legge ingiusta ha animato in ogni caso un grande movimento sociale: la Francia si era risvegliata!

manifestazione-per-tutti-parigi-gayQuali componenti della società francese hanno animato/animano la Manif pour tous? Quanto peso vi ha il mondo cattolico?
Se la matrice della Manif pour tous è stata cristiana (secondo le parole di uno dei nostri portavoce, il musulmano Caml Bechikh), essa ha attirato sempre più anche persone che si ritrovavano nella sua antropologia fondata sul reale. E’ del resto l’unione tra realtà che non si conoscevano che ha sconvolto il Governo. Penso in particolare all’accoglienza molto positiva ricevuta dai nostri militanti nei quartieri ritenuti difficili, a maggioranza musulmana. Certo i cattolici sono stati determinanti nell’emergere del movimento, perché erano coscienti, organizzati, formati ad essere sale della terra senza soggiacere al mondo. Anche diversi protestanti e israeliti erano con noi. Però il potere, ideologicamente anticristiano, si è sentito legittimato a disprezzarci e a reprimerci per il nostro cristianesimo.

E’ dura (anche) in Europa essere cristiani oggi…
E in Francia forse più della media. Da noi l’etichetta di ‘cattolico’ è utilizzata per denigrare, marginalizzare, svalutare. Non c’era ragione per rivendicare tale connotazione. Per prima cosa perché danneggia, dato che le élites ignorano la realtà del cattolicesimo; poi perché noi abbiamo agito in nome del diritto e della giustizia, senza dare connotazioni spirituali. E’ questo che ha permesso a molti francesi di unirsi a noi e a tanti altri di sentirsi d’accordo con noi… La ‘maggioranza silenziosa’ ci è sempre stata vicina: regolarmente, nei sondaggi, più del 50% dei francesi è risultato ostile all’adozione da parte di coppie omosessuali, anche dopo l’approvazione parlamentare della legge Taubira. Ci si deve forse meravigliare che il nostro movimento sociale sia stato lanciato e largamente animato da cristiani? Quando la maggior parte della popolazione perde i suoi punti di riferimento, sono le minoranze strutturate che guidano la Storia e provocano il cambiamento. Molti osservatori erano stupefatti per l’adesione alla Manif sempre di nuove categorie di francesi… E’ proprio in ragione di questa dinamica che il nostro movimento è una promessa per l’avvenire di una società smarrita.

A questo proposito: dopo l’approvazione parlamentare della legge Taubira e la sua messa in vigore, la Manif pour tous non si è dissolta. La gente è scesa di nuovo massicciamente in piazza a febbraio e a ottobre di quest’anno. Dapprima contro l’imposizione dell’ideologia del gender nelle scuole, poi per la difesa della dignità umana nelle questioni dell’utero in affitto e della procreazione medicalmente assistita. Come mai ancora tanti francesi per le strade?
La persistenza delle mobilitazioni massicce sfida i parametri abituali di giudizio e conferma la mia analisi della realtà di un vero movimento sociale che trova forza in radici impossibili da estirpare. Il potere, volendo ignorarci, umiliarci, cancellarci, ci ha paradossalmente rafforzati… Ad esempio il rifiuto della maggiore petizione ufficiale mai registrata in Francia (più di 730 mila le firme raccolte) – per una richiesta di referendum – ha provocato la nostra collera. L’esecutivo, non cessando di irridere, di ordinare repressioni sproporzionate, moltiplicando le accuse ingiuste, ha giocato con il fuoco. Nelle avversità i nostri militanti hanno però imparato in fretta i modi di organizzarsi, argomentare, comunicare…
L’anno 2013 è stato scuola di impegno per centinaia di migliaia di giovani. In Francia, più che in altri Paesi, la piazza è scuola di democrazia. Devo però insistere sul fatto che il nostro movimento sociale non si limita alle sole manifestazioni, avendo già prodotto i suoi frutti caratterizzati da motti nuovi. Francesi di ogni età si sono accorti che non sono più soli, che la protesta non era monopolio dei libertari, che valeva la pena sacrificarsi per il bene comune, che occorreva che ognuno si impegnasse per influire sul corso della Storia. Piuttosto che spaventarsi e tacere, sono ormai parecchi i francesi che acconsentono perfino a mettere in pericolo la loro carriera, liberandosi da paure e convenzioni…

manif-pour-tous-vignettaDalla Manif pour tous sono nati anche i Veilleurs, che vegliano in silenzio e immobili, un libro in mano, una candela ai piedi, davanti ai Palazzi del potere… come giudica tale tipo di manifestazioni?
I Veilleurs, poi le Sentinelle, sono nati dopo la manifestazione del 24 marzo 2013, la più massiccia e la più repressa. Abbiamo sfiorato in tale occasione gravi disordini di piazza. Personalmente avevo esortato la folla a essere non-violenta. Ma alcuni gruppi sostenevano che il governo non avrebbe ceduto che alla violenza. Io la penso al contrario: il governo intendeva dimostrare che eravamo un ostacolo alla democrazia… voleva macchiare l’immagine della Manif. Dopo il 24 marzo, mentre le manifestazioni dilagavano nel Paese, alcuni giovani che erano stati abusivamente fermati dalla polizia si sono interrogati sui modi di proseguire l’azione. Sono loro che hanno deciso di costituire i Veilleurs, fondati sulla pratica della non –violenza: il movimento si è diffuso con la rapidità del fuoco in tutta la Francia. E’ molto promettente. Non è nell’agitazione che nascono le vocazioni autentiche, ma nella riflessione, nella meditazione. Non c’è vita spirituale senza vita interiore né vita interiore senza il silenzio. Che dei giovani abbiamo attirato le folle in questo silenzio è semplicemente meraviglioso. Noi abbiamo così rotto il cerchio vizioso della violenza che connota troppo spesso i movimenti sociali nel nostro Paese. Checché se ne dica, resta un fatto: il nostro movimento dura già da due anni senza aver bruciato nessuna vettura, senza aver sfondato nessuna vetrina, senza aver eretto nessuna barricata…E’ la nostra forza. Antitesi alle barricate del maggio 68.

manif-pour-tous15L’atteggiamento della Chiesa di Francia verso la Manif pour tous: dapprima – soprattutto con i card. Ving-Trois e Barbarin, alcuni vescovi, molti parroci – un appoggio chiaro, pur restando in seconda linea; poi – in particolare con il cambio alla testa dell’episcopato francese – una certa presa di distanza da parte dello stesso episcopato. E tuttavia, rispondendo a una nostra domanda in occasione di una delle conferenze-stampa per il Sinodo, il 18 ottobre in sala stampa vaticana, il neo-presidente della Conferenza episcopale francese mons. Pontier ha riconosciuto tra l’altro che il 5 ottobre “è stata una felice sorpresa vedere delle giovani generazioni impegnarsi per difendere valori cui credono, che sono importanti per loro e che per molti manifestanti – ma non per tutti – vengono dalla loro fede cristiana”. Ecco qual è oggi il vostro rapporto con la Chiesa di Francia nella sua espressione gerarchica?
Mi sembra che la Chiesa cattolica abbia giocato il ruolo che le competeva. Chi potrà mai misurare i frutti spirituali della preghiera del 15 agosto 2012 proposta dal cardinale Vingt-Trois, allora presidente della Conferenza episcopale? Qualche settimana più tardi le autorità morali unanimi hanno contestato la legge Taubira davanti a parlamentari particolarmente irridenti e aggressivi che le ascoltavano. Ignorando completamente la nostra vitalità associativa, il Governo ha sempre sospettato la Chiesa cattolica di aver organizzato le manifestazioni. E’ fantasioso. Ognuno è sempre restato nel suo ruolo. E io credo di poter aggiungere che le manifestazioni non sono mai state nella logica culturale dei vescovi. Sono i laici che hanno agito, rifiutando ogni idea di confessionalizzare il dibattito. L’incoraggiamento (misurato) dei vescovi e la partecipazione alla Manif di diversi tra loro – sull’esempio del cardinale Barbarin – come semplici cittadini, corrispondono esattamente a ciò che è giusto in Francia, dove c’è un forte rifiuto dell’irrompere di autorità morali in questioni di società. Tale discrezione – o tale umiltà – ha permesso ai laici di ogni età di assumere il loro ruolo.
Su questo argomento come su altri penso che sia abituale il nascere di una tensione tra l’istituzione e i carismi. E’ sempre molto complicato per un’istituzione ribellarsi al potere. Può temere di dare un’immagine di opposizione sistematica, di incitamento a disordini e violenza, di appiattimento su una sola parte politica. Può anche temere una divisione interna tra i fedeli. Può infine temere di essere vessata dal potere costituito.
In ogni caso i principali dignitari della Chiesa di Francia hanno più volte avuto il coraggio di parlare con chiarezza. E di farlo accanto a confratelli di altre confessioni e religioni.
In generale evidenzierei la necessità di due virtù: lucidità e tenacia. La lucidità è indispensabile per non giudicare un movimento sociale attraverso le lenti deformanti dei media. La tenacia può ugualmente indisporre chi vorrebbe il ritorno della calma piatta. Di fronte a un’ingiustizia, mi chiedo, è legittimo arrendersi oppure è più giusto mantenere l’opposizione? Nella nostra società mediatizzata le ondate emotive si susseguono al punto che la tenacia viene considerata come un’ossessione.
Da parte mia trovo che in Francia le relazioni tra laici e vescovi sono assai equilibrate. Ed è quello che ci ha permesso di unire una larga parte del popolo francese.

francia-manif-poliziaLe nuove mobilitazioni popolari di piazza promosse con successo dalla galassia della Manif pour tous contro l’imposizione a scuola dell’ideologia del gender, contro possibili norme legislative per ‘liberalizzare’ l’”utero in affitto” e la procreazione medicalmente assistita sono riuscite a incidere sui comportamenti della maggioranza parlamentare e dell’esecutivo nazionale?
Come l’antico Faraone, davanti a Mosè e ad Aronne che gli chiedevano di liberare il popolo ebraico, i responsabili politici di maggioranza e di opposizione nella loro larga maggioranza sono restati sbalorditi: non hanno capito un granché del nostro movimento… Sono troppo abituati a rapporti di forza conflittuali per motivi di interesse spicciolo. Il potere attuale, dapprima esterrefatto, si è progressivamente sempre più spaventato per aver generato una tale resistenza, che ha danneggiato gravemente la sua reputazione nell’opinione pubblica. Come il potere può essere in grado di spiegare di aver speso un sacco di energie politiche per soddisfare la piccola nicchia elettorale interessata al mariage pour tous in tempi in cui sono i gravi problemi economici e sociali ad essere prioritari per i francesi?

Non a caso la popolarità del presidente Hollande ha toccato minimi storici, addirittura poco più del 10%…
Il calo di popolarità del Presidente della Repubblica è largamente legato alla crescita del nostro movimento.  Il Primo ministro Manuel Valls sembra averlo compreso: a più riprese – dopo averlo represso e tacciato di estremismo – ha cercato di spegnere, allettandolo con contentini, il nostro movimento. Dapprima indietreggiando sulla nuova legge riguardante la famiglia dopo la manifestazione del 2 febbraio 2014, poi facendo lo stesso sull’“utero in affitto” (GPA) alla vigilia della manifestazione del 5 ottobre 2014. Si può ben dire che quelle di Valls siano state quasi delle reazioni di panico..

papa-francesco-manif-pour-tousSicuramente delle mosse tattiche…
Anche se non fossero state che dei ripiegamenti di natura tattica, hanno confermato che il nostro movimento – che è di carattere non violento – è nel giusto. E’ noto tra l’altro che oggi il Governo, scottato dalla vasta galassia della Manif pour tous, vuole evitare un nuovo grande movimento sociale contro l’eutanasia: è dal Vaticano che Manuel Valls ha addirittura promesso, su questo argomento, una legge che in Parlamento raccolga i più ampi consensi. E il progetto di legge che si sta abbozzando tenta di ingannare, non impiegando “i termini che suscitano ira” (come eutanasia e suicidio assistito).

Lei pensa che l’opposizione parlamentare di centro-destra riesca stavolta ad essere più incisiva?
Per quanto riguarda l’opposizione, la metterei in guardia dall’ingenuità caratteristica di alcuni dei nostri amici: la maggior parte dei leaders che hanno manifestato con noi l’hanno fatto perché considerano di loro interesse scendere in piazza a fianco delle folle più massicce degli ultimi vent’anni francesi. E’ però anche vero che alcuni parlamentari hanno agito spinti dalla loro coscienza (e con costanza): ciò è emerso durante il dibattito legislativo propriamente detto. Penso soprattutto che – come dopo il maggio 68 – sono nate alcune belle vocazioni politiche che fioriranno a tempo debito. Chiedo che si abbia una certa pazienza: non si può sognare un raccolto troppo rapido. Dobbiamo lavorare… Il cambiamento politico deve passare per un cambiamento culturale e quest’ultimo può prendere del tempo.

parigi-bordeaux-manif-francia-utero-affitto1Lei l’anno scorso è stato co-iniziatore anche del “Courant pour une écologie humaine”. Che significa questa espressione: “ecologia umana”?
Quando il 13 gennaio 2013, davanti alla Tour Eiffel, ho illustrato alla folla la nascita di un grande movimento di ecologia umana, ho fatto un parallelo con l’emergenza dell’ecologia ambientale. Quest’ultima è nata quando dei visionari ci hanno avvertito: l’umanità, con la sua potenza distruttiva, non sta segando il ramo su cui è seduta? Non dobbiamo forse cambiare i nostri modi di vita per lasciare alle generazioni future un pianeta abitabile? Stavolta, con gli straordinari progressi biotecnologici e le rivendicazioni prometeiche in materia di procreazione, non stiamo in procinto di snaturare l’identità stessa dell’umanità? Non dobbiamo forse canalizzare i nostri desideri e regolamentare la nostra tecnica perché l’umanità futura possa beneficiare a sua volta delle caratteristiche antropologiche ereditate dai nostri avi?

Dicendo questo, a che cosa pensa?
Penso ai tre limiti della condizione umana: un corpo sessuato, il tempo contato, la morte ineludibile. Ho in testa il fantasma dell’uomo ‘evoluto’ che non cessa di alimentare la lobby della ‘trans-umanità”… La logica potentissima della Legge Taubira – molti non ne sono ancora ben coscienti – ci porta verso la commercializzazione della procreazione, verso la riduzione a cosa dell’embrione e verso l’utero artificiale. Destrutturando la famiglia – ecosistema di base di ogni essere umano – si accelera l’atomizzazione della società. C’è un qualcosa di totalitario nella negazione della famiglia come origine di ogni potere legittimo. Infatti un uomo sradicato non è libero.

manif-pour-tous-legoChe cosa si propone di fare l’ecologia umana?
In risposta a tale situazione l’ecologia umana pone l’uomo al cuore della creazione: una persona con il suo corpo, la sua psiche, la sua spiritualità, nel suo ecosistema familiare, sociale, culturale, in un pianeta abitabile… si deve proteggere l’uomo, non agire contro o senza di lui. Il nostro gruppo è stato fondato poiché noi tre co-iniziatori ci siamo ritrovati a fare le stesse constatazioni nei rispettivi settori d’attività: l’economista Pierre-Yves Gomez ci ha saputo spiegare che la finanziarizzazione dell’economia trattava l’uomo come un oggetto, una “variabile congiunturale” e che bisognava promuovere un’organizzazione economica “all’altezza della persona umana”; Gilles Hériard Dubreuil, specialista di ricostruzioni e di crisi ambientali, ci ha mostrato che la deriva attuale conduceva a una sensazione di impotenza e di deresponsabilizzazione dell’uomo, schiacciato da norme disumanizzanti: bisogna dunque ricostruire insieme in base a ciò che ci unisce, riappropriarci del nostro destino… Agricoltori, architetti, artisti, ecc… tutti coloro che si sono uniti a noi per costruire questo “Courant pour une écologie humaine” condividono lo stesso sentimento: sta a noi costruire una società che lega piuttosto che dividere, fondata sulla fiducia, le relazioni di interdipendenza, il radicamento nella storia. Non ci si può attendere tutto dai politici. In ottocento hanno partecipato al nostro primo incontro all’inizio di dicembre 2014, posto sotto il motto: La révolution de la bienveillance: changer le monde par nos initiatives.

Su quali punti precisi e ineliminabili si deve fondare una società che si caratterizzi per la sua umanità?
Noi dobbiamo scegliere subito il tipo di antropologia su cui basare la nostra cultura. Da una parte c’è quella che fa riferimento all’uomo “come lupo all’uomo”: è una cultura del rapporto di forza e dello scontro di classe con – ormai ciascuno lo sa – una prospettiva totalitaria di eliminazione dei dissenzienti. Dall’altra, al contrario, c’è quella che riferimento all’uomo “che è fatto per donarsi all’uomo”. Affermare questo è una scelta, una constatazione lucida, un progetto ambizioso. Su tali basi il “Courant pour une écologie humaine” si è fondato su tre criteri: la benevolenza – ognuno si sente chiamato a “vegliare al bene” là dove vive e lavora; ciò che è comune – ognuno si sente chiamato a co-costruire la vita in società; la vulnerabilità – nessuno è a sé, siamo tutti interdipendenti e anche i nostri limiti sono dei valori preziosi che spingono alla solidarietà. Questi principi antropologici, concretizzati nell’azione quotidiana, pongono evidentemente le persone “più povere” al centro della società, in ragione della loro intrinseca dignità, di cui ognuno può fare esperienza: esse apportano uno stupore che è luce di consolazione per tutti noi.

Lei pensa che tra i giovani questo messaggio possa trovare un ampio consenso? Qual è la sua esperienza in materia?
Se mi riferisco a “A bras ouverts”, l’associazione che ho fondato e che in 28 anni ha visto più di 20 mila giovani che l’hanno accompagnata, ho potuto misurare quanto l’amicizia con persone disabili è stata fonte di maturità e –oso dire – di felicità. Il nostro movimento sociale non è sbocciato per caso: penso che il risveglio di cuori e anime l’abbia preceduto. Il terreno insomma era già ben radicato nell’esperienza dell’ecologia umana per ragioni spirituali e non solo. I giovani e i meno giovani che hanno manifestato in massa per le strade di Francia avevano, in molti casi, già una bella esperienza di impegno associativo presso i senzatetto, i disabili, i giovani dei quartieri ‘difficili’… anche tra gli scout, scuola di servizio e di aiuto reciproco. Tutto questo il potere dominante non l’ha visto. Con disprezzo ha immaginato una massa di ideologizzati sconnessi dalla realtà. Invece tutto è accaduto come se un mondo sotterraneo, ripiegato sulla propria identità, avesse preso coscienza della sua forza, della sua capacità di cambiare il mondo. Ed anche della vacuità dell’ideologia libertaria. Le dimostrazioni di piazza hanno portato in misura rilevante la coscienza spirituale e umanitaria a divenire coscienza politica.

Però in genere i giovani ‘impegnati’ sono caratterizzati sì da entusiasmo, ma anche da impazienza…
E’ questo il solo rischio che ho riscontrato tra loro. Amare il bene comune, esserne coscienti non basta. Bisogna lavorare ed entrare nella prospettiva del ‘lungo termine’. Una volta che la cappa di piombo che soffoca la coscienza è stata tolta, il popolo si ritrova nel deserto e vuole raggiungere la Terra promessa. Ma deve camminare più di quanto non preveda. Quando la legge Taubira è stata votata nell’aprile 2013, con il “matrimonio per tutti” e l’adozione (una legge ingiusta, ma non del tutto corrispondente alle speranze dei promotori, che avrebbero voluto legalizzare da subito anche le tecniche di procreazione artificiale per le persone omosessuali), troppi giovani hanno creduto che il voto fosse semplicemente una sconfitta. Sono entrati così nello stato d’animo tipico del lutto: rifiuto, collera, depressione… senza capire che il nostro cammino di liberazione e di ricostruzione continuava.
Bisogna essere chiari, riferirsi alla realtà: il nostro movimento si situa nel cuore di una lotta culturale e ha in sé le premesse di un successo che arriverà con il tempo. Alcuni hanno creduto che la nostra vittoria culturale (attestata dagli osservatori più seri) si potesse tradurre presto in una vittoria politica. Da parte mia ho sempre detto che questo straordinario movimento sociale, che era germinato “nessuno sa come”, doveva consolidarsi e inseminarsi dappertutto piuttosto che immaginare di incassare una vittoria politica. Si deve dunque avere pazienza…

bandiera-manif-pour-tous-matrimonio-gaySi può dunque dire che la “Manif pour tous” sia stata e sia la parte più evidente e iniziale di un grande movimento sociale, una grande riscoperta da parte dell’uomo dei valori dell’antropologia umana che alcuni poteri costituiti vorrebbero sovvertire e imporre ai popoli per ragioni ideologiche e interessi commerciali? Lei pensa che l’esperienza fatta e in corso possa varcare i confini francesi e si possa estendere a tutto l’Occidente? Quali riscontri in tal senso avete avuto fin qui?
Penso che abbiamo partecipato a uno slancio al di là della politica che coglie la sfida cruciale del nostro secolo: che cos’è l’uomo? Che riferimenti antropologici dobbiamo lasciare a chi ci seguirà?
Viaggiando al di fuori della Francia, ho misurato la sorpresa derivata dal successo del nostro movimento… I nostri amici d’Italia, del Québec, del Belgio ci hanno chiesto la nostra ricetta. Come Le ho detto, la dinamica storica – alcuni la definiscono provvidenziale – che ha condotto a questo movimento ci conduce a vedere le cose diversamente. Perché la Francia? E per che cosa? Penso che la Francia sia un Paese particolarmente provato e la sua anima storica abbia reagito a un’aggressione ‘di troppo’, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La Francia è il Paese della persona, dove la dignità intrinseca di ogni essere umano è riconosciuta dalla legge, dove le tecniche di commercializzazione della procreazione e del corpo sono rifiutate da ogni sensibilità politica (lo si constata a proposito di ‘utero in affitto’). La Francia è un Paese di culture (agricoltura, patrimonio, letteratura) che si irradiano. E’ anche un Paese che aspira all’universalità. Sebbene si possa essere comprensibilmente disturbati dall’arroganza dei francesi, credo che essa certifichi anche una generosità. Ad esempio nel 1900 i due terzi dei missionari cattolici nel mondo erano francesi. Così come il nostro movimento sociale è nato in Francia da un grande desiderio, molto profondo. Così come la Francia desta grandi attese negli altri Paesi. A ognuno di prendere il testimone, che siano le ‘Sentinelle’ in Italia o le manifestazioni di Taiwan. Abbiamo anche constatato un risvegliarsi del Belgio su un altro argomento che riguarda la società… Ognuno potrà trovare le condizioni per ricostruire, non in una imitazione di ciò che è accaduto in Francia, ma in una emulazione, in forza di una propria radice culturale. Spero proprio, per concludere, che il risveglio francese riesca a incoraggiare ogni Paese a cercare nella propria storia e alle sorgenti dell’antropologia universale gli argomenti per contestare la tirannia libertaria ed economica così da valorizzare quelle norme miranti a far sì che ogni persona umana sia considerata un tesoro senza prezzo.

 L’intera intervista appare in versione inglese nel numero di gennaio 2015 del mensile cattolico statunitense ‘Inside the Vatican’

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