Chiesa e colonialismo | UCCR

In passato, ma ancora oggi, la Chiesa cattolica riceve accuse e critiche per non essersi opposta energicamente al movimento colonizzatore europeo e alle brutalità commesse dai colonialisti, in particolare da quelli spagnoli e portoghesi nelle Americhe.

Mentre alcuni storici avanzano questa invettiva, molti altri sottolineano come in realtà la Chiesa sia stata l’unica istituzione ad aver alzato la voce in difesa degli indigeni. Parlando del colonialismo, ad esempio, il sociologo e storico Rodney Stark ha affermato: «lo spirito dei tempi era -con l’eccezione della Chiesa cattolica- favorevole alla tratta degli schiavi» (R. Stark, For the Glory of God, Princeton University Press 2003, pag. 359). Purtroppo la Riforma protestante (1517) indebolì fortemente la Chiesa, la quale non era più riconosciuta autorevole dagli Stati, dai re e dai poteri politici ed economici, così la sua condanna dello schiavismo fu ignorata ed esso dilagò divenendo un pilastro dell’economia mondiale (nella parte orientale del globo il commercio di schiavi era gestito dagli arabi-musulmani). Il grande storico americano, Eugene D. Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano, ha scritto: «Il cattolicesimo ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola»[1].

Le accuse a cui risponderemo in questo articolo sono queste: 1) La Chiesa avrebbe spinto le potenze coloniali nel movimento di scoperta di nuovi popoli, è riconosciuto che non rifiutasse lo sfruttamento della popolazione ma il suo obiettivo era l’evangelizzazione. 2) La diffusione del credo cattolico con ogni metodo fu a volte utilizzato come giustificazione per eccidi di indigeni inermi da parte dei colonialisti, alcune volte anche esponenti della chiesa stessa. [2]

 

 

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1. PRE-COLONIALISMO: LA CHIESA ABOLI’ LA SCHAVITU’ IN EUROPA

Occorre innanzitutto chiarire che il concetto di schiavitù sparì socialmente dopo l’avvento e la diffusione del cristianesimo. In particolare, come hanno spiegato due importanti storici francesi (di cui una, Andreau, direttrice dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), «è nel corso dell’alto medioevo che si sono prodotti i cambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista» (J. Andreau e R. Descat, “Gli schiavi nel mondo greco e romano”, Il Mulino 2006, p.222).

Sulla scomparsa dello schiavismo, grazie al cristianesimo, è possibile visionare un dossier specifico proprio su questo sito web. Per la fine del X secolo la Chiesa riuscì ad eliminare la schiavitù in gran parte d’Europa: estese a tutti gli schiavi i sacramenti e fece in modo di far proibire la schiavitù per cristiani ed ebrei, tanto da ottenerne un’abolizione totale nelle terre dei re cristiani[10].

 

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2. I COLONIZZATORI FURONO “STATI CATTOLICI”?

Molto spesso, il fatto che paesi colonizzatori come Spagna, Francia, Portogallo ecc.. fossero ritenuti “cattolici”, ha portato molti a rivolgere le accuse alla religione piuttosto che verso la politica dei sovrani laici. Eppure il XVI secolo fu un momento difficile per la Chiesa: buona parte del Nord Europa, dall’Olanda all’Inghilterra, la Chiesa era quasi distrutta dalla riforma protestante e anglicana. I grandi intellettuali del tempo, inoltre, dagli eretici come Wycliff che invitava ad impadronirsi dei beni della Chiesa, a Macchiavelli, a Tyndale ecc., erano “fautori di Cesare” e soltanto di lui, lo Stato cominciava ad essere assolutizzato, divinizzato (il “dio visibile” di Thomas Hobbes), ad accentrare la maggioranza dei poteri.

La corona inglese, di fronte ai mercanti di schiavi neri e alla politica aggressiva e tesa unicamente al guadagno e alla conquista delle terre dei coloni-cowboys inglese, che porterà al genocidio dei pellerossa, non farà mai nulla e non ci sarà quasi mai nessuno, sino all’Ottocento, ad ostacolarla, a ricordare i diritti di neri e indigeni. Del resto chi protestasse sapeva di rischiare la morte, come avvenne con Tommaso Moro e tutti i cattolici, e non solo, che non hanno voluto seguire Enrico VIII. Inghilterra e Olanda, due stati in cui la Chiesa cattolica e il suo potere religioso sono ridotti a zero, forniranno per secoli i colini più duri e spietati e i mercanti di neri più attivi: sarà l’assoluta mancanza di scrupoli e il triangolo degli schiavi a nutrire il capitalismo anglosassone e a fare dell’Inghilterra lo stato più forte d’Europa a partire dalla fine del Cinquecento. «A metà del Settecento», nota lo storico della filosofia Domenico Losurdo, «è la Gran Bretagna a possedere il maggior numero di schiavi (878.000)» (D. Losurdo, “Controstoria del liberalismo”, Laterza 2006, p. 16,37).

In Francia, dove il gallicanesimo diventava ogni giorno più forte, i sovrani si erano arrogati la gran parte delle nomine di vescovi, abati e alte cariche ecclesiastiche, e al Papa spettava solo il compito di ratificare decisioni già prese. Ad esempio il Concordato di Bologna (1516) concedeva al re francese Francesco I il diritto di designare tutte le alte cariche della Chiesa, ottenendo così il completo controllo delle propietà e delle rendite della Chiesa. Diversi storici, come ad esempio Rodney Stark della Baylor University o lo studioso britannico Owen Chadwick, hanno spiegato che dipingere i poteri politici sottomessi al volere dei vescovi è una classica falsità storica nata in ambito protestante.

Anche negli altri stati non riformati, come la Spagna, esisteva lo stesso problema: la Chiesa aveva poca voce in capitolo e i sovrani aderivano formalmente al cattolicesimo perché avevano già imposto al papa delle condizioni a loro molto favorevoli. Ferdinando I d’Asburgo (1503-1564) e Isabella di Castiglia (1451-1504), ad esempio, ottennero riuscirono a far concordare il papa sull’illegalità della pubblicazione delle sue bolle e dei suoi decreti senza il previo consenso reale o dei possedimenti del regno. Sotto Carlo V d’Asburgo (1500-1558), re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero, la subordinazione della Chiesa crebbe ancora di più e il re ottenne anche un terzo delle decime pagate alla Chiesa. «Questi accordi -scrive Rodney Stark- svolsero un ruolo fondamentale nel far rimanere cattoliche Spagna e Francia, ma resero la Chiesa dipendente dallo Stato. Ciò ebbe disastrose conseguenze quando il papa cercò di prevenire l’introduzione della schiavitù nel Nuovo Mondo»[7]. In ogni caso, le cifre dimostrano che la colonizzazione spagnola fu molto meno cruenta di quella inglese, «mentre i pellerossa superstiti nel Nord America si contano a poche migliaia, nell’America ex-spagnola ed ex-portoghese», ha spiegato Roberto Ivaldi, esperto in storia del colonialismo, «la maggioranza della popolazione o è ancora di origine india o è il frutto di incroci di precolombiani con europei e (sopratutto in Brasile) con africani». Se negli attuali Stati Uniti la popolazione indigena è quasi sparita, nel Sud America «quasi il 90% della popolazione o discende direttamente dagli antichi abitanti o è il frutto di incroci tra indigeni e nuovi arrivati […] i quali hanno creato una cultura e una società nuove, dalle caratteristiche inconfondibili» (R. Ivaldi, “Storia del colonialismo”, Newton 1997, p. 19-20). Il matrimonio misto tra spagnoli ed indigeni, all’epoca della Conquista, fu normale e frequente, cosa che non avverrà mai nelle colonie inglesi, dove la separazione razziale rimarrà sempre quasi assoluta, come lo è tutt’oggi. Secondo l’Enciclopedia Treccani, «la differenza è dovuta in parte al minor pregiudizio di razza, che permette agli Spagnoli più frequenti e relativamente cordiali rapporti coi neri, aiutati anche dall’opera dei preti cattolici, i quali assai più dei pastori evangelici favoriscono i battesimi, i matrimoni, le manomissioni dei neri».

Già all’epoca della scoperta dell’America, la regina cattolica Isabella di Castiglia, ben diversamente da Elisabetta (che si circondò di pirati e negrieri, come John Hawkins e Francis Drake), chiede rispetto per gli indigeni: il 16 settembre 1501 Isabella firma a Granada una Istruzione per il governatore delle Indie, Nicolas de Ovando, affinché protegga in ogni istante i diritti degli indigeni dai soprusi spagnoli, invitando poi a convertire quei popoli «senza esercitare su di loro alcuna costrizione» (J. Dumont, “La regina diffamata”, Sei 1992, p. 125). Il 30 ottobre 1503, in una lettera recentemente ritrovata, scrive: «sappiate che il re nostro signore e io […] abbiamo ordinato che nessuna delle persone da noi mandate a dette terre osino prendere o catturare alcun indios per essere portano nei miei regni, né per essere portato in nessuna altra parte e che non venga fatto nessun danno a persone o a beni, e chiediamo che tutti gli indios che sono stati catturati vengano rimessi in libertà» (citata in “30 Giorni”, aprile 1991). Simile la posizione di Carlo V si impegnò a fondo a impedire soprusi e violenze, confermando incarichi e onori, politici ed ecclesiastici, a Bartolomeo de Las Casas, emanando le Leyes Nuevas e invitando i suoi sudditi a rispettare la libertà degli indiani: «Le anime degli indiani non devono essere salvate con la forza. Bisogna evitare i sacrifici umani e il cannibalismo; le immagini degli idoli e i templi devono essere distrutti. Il Dio nostro Signore ha creato gli indiani come uomini liberi, non schiavi […]. Tra la Spagna e gli schiavi è permesso solo il libero scambio. E’ vietato, pena severe condanne, portare via agli indiani ciò che loro appartiene, niente deve cambiare di proprietario senza adeguato compenso. Dobbiamo andare loro incontro nello spirito dell’amore e dell’amicizia» (citato in O. von Hasburg, “Carlo V”, Ecig 1993, p. 253).

Esistono «tante disposizione destinate alla protezione degli indigeni che fanno onore alla legislazione coloniale spagnola» (M.M. Lot, Bartolomeo de Las Casas e i diritti degli indiani, Jaca Book 1985, p. 166). In generale, «l’amministrazione spagnola», ha scritto lo storico Eduard Fueter, «si manteneva neutrale e forse si mostrava persino incline a tutelare i discendenti degli abitanti indigeni contro i discendenti dei conquistadores», mentre nelle colonie inglesi, «i resti delle tribù indiane non avevano alcuna importanza numerica e gli schiavi neri, del tutto privi di libertà, non avevano alcun peso politico» (E. Fueter, “Storia universale degli ultimi cent’anni”, Einaudi 1947). In “Storia del mondo moderno”, della Cambridge University (Garzanti 1982, p. 759), si legge: «Bisogna rendere atto al rispetto spagnolo per la libertà e per la legge se ai tempi di Carlo Vi -un grande re e un grande autocrate-, circolavano liberamente, senza suscitare scandalo, trattati in cui si denunciavano gli eccessi dei conquistadores […], si criticava l’intera impresa delle Indie». E si definisce l’imperialismo spagnolo «equilibrato, coscienzioso, prudente».

 

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3. 1430, IMMEDIATE OPPOSIZIONI AL COLONIALISMO: EUGENIO IV E PIO II

Nel 1430, appena la schiavitù riemerse anche in Europa, papa Eugenio IV (1383-1487) indirizzò subito alle autorità religiose delle isole Canarie la bolla “Sicut Dudum” (1435) con la quale, in modo netto e senza ambiguità, condannò la schiavitù delle popolazioni indigene e, sotto pena di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello schiavismo, 15 giorni dalla ricezione della bolla, per «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette Isole Canarie, queste persone dovranno essere considerate totalmente e per sempre libere («ac totaliter liberos perpetuo esse») e dovranno essere lasciate andare senza estorsione o ricezione di denaro»[12].

Il 7 ottobre 1492, anche papa Pio II (1405-1464) attraverso la lettera “Rubicensem”, ricordò al vescovo della Guinea portoghese che la schiavitù è un «un grande crimine» («magnum scelus»)[13].

 

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4. 1500-1900: LA CHIESA IN DIFESA DEGLI INDIGENI

Dal 1500 in poi la storia è costellata di uomini, pontefici, vescovi e sacerdoti cattolici che usarono la loro vita per difendere le popolazioni indigene e creare un’etica morale nei colonizzatori. Ne elenchiamo solo alcuni:

Paolo III. Il 2 giugno 1537, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi con le autorità laiche, emanò la memorabile bolla “Veritas Ipsa” (conosciuta anche come “Sublimis Deus”), con la quale spazzò via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che “Indios veros nomine esse” e scomunicando tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni (in realtà lo fece già nella lettera al Cardinale di Toledo del 29 maggio 1537). Condannò le tesi razziste, riconobbe agli indiani, cristiani o no, la dignità di persona umana, e avanzò il divieto di ridurli in schiavitù. Il papa definì i coloni dei “violenti” e i portatori di potenti interessi coloniali addirittura «manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, e costringere gli Indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti Indios, e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione, non si possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà fatta in contrario dichiariamo nulla e invalida alla detta fede in Cristo»[20]. Gli storici ritengono che la bolla abbia avuto un forte impatto sul “dibattito di Valladolid” e che questi principi divennero la posizione ufficiale di Carlo V del Sacro Romano Impero e re di Spagna[21]. Secondo molti studiosi la bolla di Paolo III servì ed ebbe l’effetto di annullare tre bolle precedenti, quelle di papa Niccolò V, la “Dum Diversas” (1453) e la “Romanus Pontifex (1455) e quella di papa Alessandro VI, la “Inter Caetera” (1493), attraverso le quali si autorizzavano formalmente le conquiste coloniali e la schiavitù[22]. Questi pontefici, comunque, fecero vergognare la Chiesa anche per molte altre azioni immorali, contro la tradizione cristiana, il celibato sacerdotale e la dottrina della Chiesa stessa. Vennero presto dimenticati e le loro tombe praticamente ignorate.

De Montesinos. Nel 1510, il frate domenicano Antonio de Montesinos (1475-1540), fu assieme a frate Pedro de Córdoba (1482-1521) uno dei primi religiosi ad essere spedito nel Nuovo Mondo, approdando sull’isola di Hispaniola. Ben presto venne a conoscenza della condizione degli indiani e del trattamento disumano ricevuto da parte dei coloni e decise così di denunciare immediatamente e pubblicamente tutte le forme di riduzione in schiavitù e l’oppressione dei popoli indigeni delle Americhe[14]. Sono rimasti famosi i suoi sermoni del 21 e 28 dicembre 1511: «Allo scopo di farvi conoscere i vostri peccati contro gli Indiani sono venuto su questo pulpito, io che sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola e perciò dovete ascoltarla. Questa voce dice che voi siete in peccato mortale, che voi vivete e morite nel peccato mortale, a causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nel trattare con queste genti innocenti. Ditemi, per quale diritto o giustizia tenete questi Indiani in tale crudeltà e orribile schiavitù? Sulla base di quale autorità avete dichiarato una guerra detestabile a questa gente, che viveva tranquillamente e pacificamente nella propria terra? Quanta conoscenza avete voi conquistatori sulla dottrina e sul Dio creatore? Sul battesimo, sul partecipare alla messa e santificare le feste e la domenica? Non sono uomini questi? Non hanno anime razionali? Non siete tenuti ad amarli come amate voi stessi?” State certi che in questo stato non potete salvare nessuno e nemmeno mantenere la fede in Gesù Cristo»[15]. Le forti accuse, il rimprovero verso un comportamento anti-cristiano e la rivendicazione della responsabilità cristiana causarono forte disagio nei conquistatori e nei funzionari che erano presenti, tra cui il governatore Diego Colombo. In molti reagirono contro i monaci, impedendo loro di pronunciarsi nuovamente su questi temi e chiedendo di ritrattare pubblicamente le dichiarazioni. Accadde anche, però, che uno dei più arrabbiati amministratori presenti, Bartolomé de Las Casas, venne così profondamente colpito da questi sermoni che optò per una vera conversione e divenne il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo. Las Casas diventò nel tempo uno dei più attivi difensori dei diritti dei popoli indigeni d’America[16], ma ne parleremo più sotto.

Il re Ferdinando II d’Aragona, invece, scoperto l’accaduto si lamentò duramente con la congregazione dei domenicani in Spagna e chiese sanzioni per i religiosi sull’isola, minacciando perfino di espellerli. Nel frattempo ai frati vennero negati i mezzi di sussistenza. Nonostante le intimidazioni i Domenicani non si fermarono, sostenendo che la loro dottrina era il risultato dello studio della verità e della lettura del Vangelo. Il re arrivò così ad annunciare che nessun religioso avrebbe più messo piede sull’Isola[17]. De Montesinos decise di tornare nuovamente in Spagna col proposito di informare le autorità reali sulla vera situazione dei popoli indigeni e sui motivi che lo avevano spinto a predicare così duramente. Re Ferdinando ordinò al suo Consiglio di esaminare approfonditamente le questione e convocò una commissione di teologi e giuristi (il “Consiglio di Burgos”). I frutti di questo studio furono la promulgazione della Leggi di Burgos (1512), primo codice di ordinanze per la protezione delle popolazioni indigene (verrà rispettato molto poco), nel quale si prevedeva che il re di Spagna aveva titoli di padronanza del Nuovo Mondo, ma senza il diritto di sfruttare l’indiano, il quale era un uomo libero e poteva possedere sue proprietà. Si limitarono inoltre le richieste lavorative che i coloni spagnoli potevano avanzare, le donne in gravidanza furono esentate dal lavoro, fu proibita ogni tipo di punizione, si obbligò al rispetto delle autorità locali, aumentarono le condizioni igieniche ecc. Si ordinò anche l’obbligo di catechizzare gli indios e venne condannata la bigamia. Come già detto, quest’obbligo era dovuto sopratutto a causa dei cruenti riti sacrificali che gli indigeni praticavano continuamente a causa della loro religione, con tanto di cannibalismo e incisione delle vertebre dei bambini[18]. Per perpetuare la memoria di frate De Montesinos e ricordare la sua lotta per la giustizia per gli indigeni del Nuovo Mondo, venne creata una grande statua in suo onore nella città di Santo Domingo (Repubblica Dominicana)[19]

Francesco da Vitoria. Frate Francesco da Vitoria (o Francisco De Vitoria) (1492-1546), conosciuto nel suo paese come il “Socrate spagnolo”, si preoccupò subito di elaborare le basi teologiche e filosofiche in difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate, divenendo così uno dei fondatori del “diritto internazionale” che regola i rapporti tra le nazioni[23] e fondatore della filosofia politica globale[24]. Lo storico Francesco Maria Feltri, dell’Università di Modena, ha scritto che Da Vitoria spinse «la Corona a prendere una serie di provvedimenti destinati a migliorare la condizione degli abitanti indigenti del Nuovo Mondo», con l’effetto che in Perù, «i coloni spagnoli arrivarono persino a ribellarsi al re, che cercava di porre dei limiti al feroce sfruttamento che essi praticavano nei confronti degli indios» (F.M. Feltri, “I giorni e le idee”, Torino 2002, Vol I, p.195). Vennero così consolidati i diritti degli indios, tra i quali la nativa libertà, la loro dignità umana, la capacità giuridica e il diritto di rifiutare la conversione. Le sue opinioni (e quelle del vescovo Las Casas) vennero ascoltate da un tribunale spagnolo nel 1542 e vennero così promosse le Leyes Nuevas (1542), che misero gli indiani sotto la diretta protezione della Corona (ne parleremo più sotto).

Bartolomé de Las Casas. Il vescovo cattolico spagnolo Bartolomé de Las Casas (1484–1566) è stato ufficialmente nominato “Protettore degli Indios”[25]. Trascorse infatti 50 anni della sua vita a combattere attivamente la schiavitù e l’abuso violento dei colonizzatori verso le popolazioni indigene. In particolare cercò di convincere le autorità spagnole ad adottare una politica più umana di colonizzazione. I suoi sforzi hanno portato diversi miglioramenti dello status giuridico degli indigeni e una maggiore attenzione sull’etica del colonialismo. Las Casas è spesso visto come uno dei primi sostenitori dei diritti universali dell’uomo[26]. Subito dopo la conversione, avvenuta -come già accennato- ascoltando i sermoni di frate Antonio di Montesinos a favore della libertà e dignità degli Indios nel Nuovo Mondo, entrò nel 1515 nell’ordine domenicano ed iniziò immediatamente la sua instancabile battaglia a favore degli indigeni: condannò senza eccezioni il colonialismo, il sistema dell’encomienda e l’espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e attraversò molte volte l’oceano per portare in Spagna le sue proteste. Nei suoi testi, Las Casas offre una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell’umanità degli abitanti del Nuovo Mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, soprattutto di cultura umanista[27]. Condannò la violenza e l’imposizione, ma non la proposta, del cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo Las Casas trasse quella spinta universalistica e quell’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l’opera e che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d’Africa[28]. Il religioso riuscì ad influenzare l’imperatore Carlo V, il quale -lo abbiamo già detto- promulgò le Leyes Nuevas (1542): divieto di schiavizzare gli indiani e abolire l’encomienda, buon trattamento degli indiani, divieto di lavorare senza la propria volontà e senza il risarcimento dovuto ecc. Quando poi sostanziosi numeri di schiavi africani vennero introdotti nelle regioni spagnole del Nuovo Mondo -ha spiegato lo storico Anthony Gill dell’Università di Washington-, vescovi locali riuscirono a far accettare alla corte spagnola il Còdigo Negro Espanol (Codice Nero Spagnolo, o anche The Black Code), che mitigò in gran parte le effettive condizioni di schiavitù[29].. I successori di Las Casas, nominati “Protettori degli Indios”, furono: il frate domenicano Julián Garcés (1452-1542), il vescovo Francisco Marroquín (1499-1563), Hernando de Luque (1483-1532) ecc[30]. L’opposizione della Chiesa e dei suoi vescovi riuscì a porre fine all’impudente schiavitù dei nativi, anche se sopravvissero molte pratiche di sfruttamento.

Gregorio XIVI. In un decreto datato 18 aprile 1591, papa Gregorio XIV (1535-1591) ordinò che i nativi delle Filippine, costretti in schiavitù dagli europei, fossero lasciati liberi e, sotto pena di scomunica, comandò che si interrompesse la tratta degli schiavi[31].

Ordine della Santissima Trinità. Nel 1599, papa Clemente VIII (1536-1605) approvò la Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità, istituita per osservare la Regola di San Giovanni di Matha in tutto il suo rigore. Giovanni di Matha (1150-1213) fondò infatti nel XII° secolo un nuovo progetto di vita religiosa nella Chiesa, concentrandosi sull’opera di liberazione dalla schiavitù, in particolare il riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei mori (il nome per intero è Ordine della Santissima Trinità e redenzione degli schiavi). L’ordine esiste ancora oggi e da quando è stato fondato ha riscattato circa 900.000 schiavi. I trinitari nel XVI e XVII secolo riuscirono anche a costruire degli ospedali per gli schiavi a Tunisi e ad Algeri[32].

Battaglia di Mbororè: Gesuiti e Nativi contro i colonialisti europei. Dopo la fondazione del Collegio di San Paolo di Piratininga nell’attuale Brasile (1554), che originò il nucleo attorno al quale sarebbe sorta la città di San Paolo, arrivarono dall’Europa avventurieri, disertori e naufraghi per sfruttare a fondo il nuovo territorio. Il bisogno di manodopera a basso costo crebbe notevolmente e i coloni cominciarono ad organizzare delle bandeiras, cioè vere e proprie spedizioni per catturare schiavi indigeni. Si spinsero fino nell’attuale Paraguay, proprio mentre i padri Gesuiti iniziavano la loro opera di evangelizzazione degli indios guaraní. Lo scopo delle missioni, chiamate “riduzioni”, era quello di creare una società con i benefici e le caratteristiche della società cristiana europea, però priva dei vizi e degli aspetti negativi. In meno di tre generazioni gli indigeni delle “Riduzioni” si svilupparono enormemente (come abbiamo già detto all’inizio). I nativi erano liberi da ogni servitù, vennero create chiese, case per le vedove e gli orfani e scuole. Il governo civile era gestito dagli indigeni stessi, mentre l’amministrazione della giustizia restava a carico dei gesuiti. I reati erano rari e di conseguenza le pene minime. Non si ricorreva quasi mai alla prigionia o a condanne all’esilio, ritenuta la somma disgrazia. Ogni famiglia riceveva un terreno, ereditario, che forniva il sostegno principale, le altre aree erano “proprietà di Dio” i cui frutti spettavano alla comunità. Nei villaggi i missionari introdussero nuove tecniche di agricoltura e di allevamento del bestiame, insegnarono elementi di architettura, scultura, pittura, incisione, poesia, musica, teatro, oratoria e scienze. L’educazione laica e religiosa era considerata indispensabile. I Gesuiti migliorarono la lingua guaranì creando una scrittura con caratteri latini e produssero opere letterarie. Una buona parte degli indigeni fu alfabetizzata in guaranì, castellano e latino. Vennero stampati calendari, tavole astronomiche e spartiti[33].

Tra il 1628 e il 1631 i capi bandeirantes ordinarono diverse incursioni nelle missioni del Guayrá catturando migliaia di schiavi (vennero uccisi o schiavizzati almeno 60.000 indios battezzati). Le incursioni lasciarono una scia di esodi di intere città, migliaia di morti, famiglie distrutte, orfani, vedove e carestie e per i padri gesuiti e i principali cacique (capi tribù dei nativi) non poteva esistere altra soluzione che quella di organizzare una resistenza armata[34]. Nel 1638 i padri Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Díaz Taño partirono per la Spagna con l’obbiettivo di informare re Filippo IV dei drammatici eventi accaduti nelle missioni. Il sovrano rispose inviando una Cedola Reale (21 maggio 1640) con la quale permise ai guaraní di usare armi da fuoco per la propria difesa. I Gesuiti fornirono anche istruzione militare agli indigeni, grazie a religiosi ex militari (Juan Cárdenas, Antonio Bernal e Domingo Torres), formando così un vero e proprio esercito “missionario” di 4.000 elementi armati ed addestrati. Le truppe guaraní attaccarono i bandeirantes a Caazapaguazú, facendoli fuggire precipitosamente[35]. Intanto padre Francisco Díaz Taño, reduce dalle sue ambasciate a Madrid e a Roma, tornò con la bolla pontificia Commissum Nobis (1639) di Urbano VIII, che condannava duramente le bandeiras e il traffico di indigeni (ne parleremo sotto). Ciò comportò la reazione della Camera Municipale di San Paolo, che espulse tutti i gesuiti della città ed organizzò un’ulteriore spedizione contro gli Indios. I missionari crearono un esercito ancora più numeroso, attrezzato ed organizzato. Le forze bandeirantes attaccarono l’11 marzo 1641, nella cosiddetta battaglia di Mbororé, ma si trovarono di fronte un esercito enorme. Si ritirarono definitivamente e la vittoria consolidò le riduzioni gesuite e frenò l’avanzata colonialista portoghese[36].

Questi fatti portarono all’espulsione violenta dell’ordine dei Gesuiti in Portogallo (1759) e in Spagna (1767), quando divennero primi ministri il marchese di Pombale, Carvalho, e il conte di Aranda, entrambi illuministi e massoni. Quest’ultimo addirittura fece rinchiudere nelle carceri portoghesi, lasciandoli morire, «circa 180 gesuiti provenienti dalle missioni» (V. Bangert, “Storia della compagnia di Gesù”, Marietti 2009, pp. 370-396). Lo storico italiano Franco Cardini ha scritto: «l’esperimento delle “reducciones” non si chiuse per naturale esaurimento». Nel 1750 parte di esse della “repubblica dei guarani” passarono dal dominio spagnolo a quello portoghese, ma «il Portogallo non riconobbe le prerogative dei “papisti” gesuiti, che la Spagna aveva rispettato: l’economia schiavista aveva bisogno di nuova braccia. Così, dopo il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, il primo ministro portoghese – l’illuminista marchese di Pombal – additò al suo paese un facile capro espiatorio, la Compagnia di Gesù, che nel 1759 fu espulsa dai confini dell’impero e nel 1773 soppressa. La porta in gioco era ricca e ghiotta. Ci vollero diciannove anni, dal 1750 al 1768, per eliminare del tutto la “repubblica di guaranì”, che i “caccicchi” indios difesero sino all’ultimo. Contro i padri gesuiti si scatenò una ridda infernale di calunnie, appoggiate e finanziate dai coloni spagnoli e portoghesi d’America che avevano interesse a razziare schiavi e dalla potenza britannica che combatteva così il “papismo” e favoriva (ebbene, si!) lo sviluppo dell’economia moderna: che ha anche queste vergognose origini. Non stupisce che il signor di Voltaire ne difendesse i paladini, tra cui gli illuministi francesi, spagnoli e portoghesi: anche lui aveva investito in azioni della “Compagnia del Maranhao” appoggiata dal Pombal» (F. Cardini, Le «riduzioni» in Paraguay? Non erano lager, “Avvenire” 04/05/2000).

Urbano VIII. Nel 1639, come abbiamo già detto, papa Urbano VIII (1568-1644), su richiesta dei gesuiti del Paraguay, emise la bolla Commissum Nobis (1639), riaffermando la scomunica che Paolo III aveva imposto a coloro che erano coinvolti nella tratta degli schiavi e proibendo di «di ridurre in schiavitù gl’Indiani occidentali o meridionali; venderli, comprarli, scambiarli o donarli: separarli dalle mogli e dai figli; spogliarli dei loro beni; trasportarli da un luogo ad un altro; privarli in qualsiasi modo della loro libertà; tenerli in schiavitù; favorire coloro che compiono le cose suddette con il consiglio, l’aiuto e l’opera prestati sotto qualsiasi pretesto e nome, o anche affermare e predicare che tutto questo è lecito, o cooperare in qualsiasi altro modo a quanto premesso»[37]. La bolla suscitò nei governanti e negli schiavisti una tale reazione da spingere all’espulsione dei Gesuiti dal Paese. Nel Nuovo Mondo, i vescovi locali tutti designati dal re di Spagna (come si è detto all’inizio) non appoggiavano la posizione di Roma ed inoltre era diventato illegale pubblicare bolle antischiaviste, come qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re (che non arrivò mai). Quando i gesuiti lessero illegalmente in pubblico la bolla di Urbano VIII, a Rio de Janeiro si scatenò una rivolta che provocò il saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti. A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal Nuovo Mondo per aver continuato a opporsi alla schiavitù e aver dato vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate[38].

Benedetto XIV. Nel 1741, papa Benedetto XIV (1675-1758) emanò la bolla Immensa Pastorum, contro l’asservimento dei popoli indigeni delle Americhe e di altri paesi[39].

Pio VII (1742-1823). Al Congresso di Vienna del 1815, papa Pio VII chiese la proibizione del commercio di schiavi.

Gregorio XVI. Nel 1839, papa Gregorio XVI (1765-1846) emanò la bolla In Supremo Apostolatus, ricollegandosi ai suoi predecessori nella condanna verso la schiavitù e la tratta degli schiavi. Affermò che sia gli Indiani sia i Negri erano creature umane, e che presso Dio non esiste discriminazione: «Con la Nostra Apostolica autorità ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato»[40].

Charles Lavigerie e Leone XII. Nel 1888 il cardinale Charles Lavigerie (1825-1892) fondò a Bruxelles, con l’appoggio di papa Leone XII, l’associazione Anti-Slavery Society per fornire un sostegno economico agli antischiavisti e in particolare finanziare quattro spedizioni militari per combattere i commercianti di schiavi arabi che operavano nel territorio orientale del Congo[41]. Sempre nel 1988, Papa Leone XII (1760-1829) scrisse inoltre a tutti i vescovi del Brasile affinché eliminassero completamente la schiavitù dal loro paese.

Giovanni XXIII. Una chiara e definitiva posizione contro il neocolonialismo venne infine offerta anche da Giovanni XXIII (1881-1963) attraverso l’enciclica Mater et Magistra (1961), diventata poi un pilastro della Dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Nonostante tutte queste iniziative la Chiesa venne poco ascoltata. L’effetto di queste battaglie non riuscì ad eliminare il male, ma lo limitò. I documenti papali, molto spesso vennero occultati e boicottati. «Molti vescovi locali», ha spiegato Rodney Stark in “La vittoria della ragione” (Lindau 2006, p. 299-300), «designati dal re di Spagna, non appoggiavano la posizione di Roma». Altre volte la pubblicazione di questi documenti di condanna della schiavitù portarono a tumulti e all’assalto di chiese e monasteri, da parte di coloro che vedevano nella Chiesa un ostacolo ai loro lucrosi traffici. Tuttavia «la continua pressione della Santa Sede portò almeno all’emanazione nel XVIII secolo di codici sul modo di trattare gli schiavi, come il Code Noir francese e il Còdigo Negro Espanol», i quali mitigarono in gran parte le effettive condizioni di schiavitù. Lo storico Rosario Romeo ha scritto: «l’elemento religioso contribuì all’ampliamento della coscienza europea con l’appello all’immediato sentimento cristiano della carità e della giustizia contro gli orrori perpetrati dai conquistadores nelle terre americane […]. Anche nella stessa Spagna non mancarono, fin dall’inizio, scrupoli religiosi: e ne fanno fede, ad esempio, i dubbi della regina Isabella nella questione della vendita di indiani come schiavi; l’impegno della maggioranza del clero in difesa degli indigeni, che diede luogo a vivaci conflitti nelle colonie; le perplessità, persino, di Hernàn Cortés, che nel suo testamento raccomandava ai propri eredi di liberare gli schiavi […]. Interventi non mancarono neanche, com’è noto, da parte dell’autorità pontificia» (R. Romeo, “Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento”, Laterza 1989, p. 39-53).

 

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5. EVANGELIZZAZIONE FORZATA NEL NUOVO MONDO?’

E’ sicuramente vero che la Chiesa, constatando di non essere particolarmente ascoltata, tentò perlomeno di condizionare il colonialismo per creare un’etica di aiuto e sostegno, invece che di depauperamento dei territori e delle popolazioni colonizzate. Però, troppo spesso purtroppo, è anche corretto ricordare che il messaggio cristiano venne imposto e non proposto da parte di molti coloni. Un torto, comunque, in parte giustificato dal fatto che i colonizzatori europei trovarono popolazioni totalmente sottomesse al capriccio dei loro pretenziosi e crudeli dèi: è stato dimostrato, ad esempio, che il popolo Azteco smise di praticare sacrifici umani e altre violente forme autoctone di culto proprio grazie alla conversione cristiana di molti dei suoi membri (inizialmente, forzata o meno che fosse)[3]. Lo stesso si può dire degli Incas e dei Maya: «Ad insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi era quest’ansia ossessionante di non lasciare finire il mondo, un’ansia che raggiungeva il suo culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia delle catastrofi si faceva più concreta ed imminente» (dalla prefazione a B. Diaz del Castillo, “La conquista del Messico”, Longanesi 1968). Le cerimonie con sacrifici umani di massa duravano anche giorni, venivano sacrificati donne, schiavi, bambini e prigionieri per placare gli dèi, per propiziare il raccolto: «I prigionieri di guerra erano l’offerta più stimata e avevano tanto più pregio più erano valorosi […]. Talvolta in occasione dei riti di fertilità furono uccisi donne e bambini, per assicurare la crescita delle piante. Saltuariamente si ebbero casi di cannibalismo cerimoniale. Infliggersi ferite a sangue era un altro modo di assicurare il favore divino. La popolazione faceva orribili penitenze, mutilandosi con lame o trapassandosi la lingua di spaghi cui erano annodate spine» (G.C. Vaillanti, “La civiltà Atzeca”, Einaudi 1962, p. 184-188).

Il condottiero spagnolo Hernán Cortés, nel 1519, sbarcò sulle terre dell’impero atzeco, in Messico e trovò subito l’alleanza di moltissime tribù che decisero di sostenerlo contro la sanguinaria tirannia atzeca, senza il loro appoggio non avrebbe mai vinto alcunché. Cortés fu sì avido di ricchezze, ma nello stesso tempo disgustato dai sacrifici di massa praticati dagli atzechi, sentendosi davvero un liberatore. Per questo predispone il divieto ufficiale di sacrificare i bambini, prima, e poi quello di sacrificare chiunque, sotto minaccia di pena di morte. Che non abbia avuto alcuna preclusione di tipo “razzista” verso gli indigeni lo segnala il matrimonio con Marina, un’indigena, e come lui faranno molti suoi soldati.

In Paraguay, l’arrivo dei missionari permise ai Guarani, di progredire civilmente e abbandonare l’Età della Pietra, le carestie e le guerre pressoché ininterrotte con conseguente sterminio degli abitanti del villaggio sconfitto: si praticava infatti il cannibalismo rituale. In meno di tre generazioni gli indigeni, grazie al cristianesimo, passarono da un livello di vita estremamente primitivo ad uno stadio di civiltà piuttosto elevato[4]. Anche in Messico i missionari fornirono benessere alle popolazioni mediante l’istituzione di scuole e ospedali ed insegnarono agli indiani metodi di allevamento migliori, aumentando l’aspettativa di vita[5]. In California diffusero la dottrina cristiana tra gli indigeni locali ed introdussero il bestiame europeo, frutta, verdura e l’industria. Migliorarono anche la modalità di trasporto e crearono reti sociali decisamente civilizzate[6]. La conversione cristiana, anche forzata, era dunque vista -e infatti si rivelò tale- come la condizione essenziale per abbandonare comportamenti disumani e raggiungere un più alto livello di civiltà.

 

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6. ILLUMINISTI E ANTICLERICALI UNICI FAVOREVOLI AL COLONIALISMO E ALLA SCHIAVITU’

Mentre la Chiesa era così impegnata contro il neocolonialismo e la schiavitù, dal 1600 in poi il popolo illuminista, ateo e anticlericale (qui vedremo l’opinione di alcuni principali esponenti) si distinse particolarmente nella promozione della cultura razzista. Ovviamente trovarono linfa vitale nella strumentalizzazione riduzionista e anti-cristiana del pensiero darwinista (darwinismo sociale), creando la gerarchia delle «razze» (razzismo, eugenetica, nazionalsocialismo, antisemitismo) e delle «classi» (marxismo, comunismo). Alcuni di questi argomenti sono stati affrontati più approfonditamente in: “Razzismo ed eugenetica nascono nell’ateismo materialista“.

Voltaire. Il paladino della “tolleranza” Voltaire (1694-1778), profondo anticlericale e illuminista, ebbe a scrivere: «Sbarco nel paese della Cafraria, e comincio a ricercare un uomo. Vedo macachi, elefanti e neri. Tutti sembrano avere un baleno di una ragione imperfetta. Tutti hanno un linguaggio che non capisco e tutte le loro azioni sembrano ugualmente essere relazionate con qualche causa. Se dovessi giudicare le cose per il primo effetto che mi causano, crederei, inizialmente, che tra tutti questi enti l’elefante è l’animale ragionevole. Però, per non scegliere futilmente, prendo i piccoli di queste vari bestie. Esamino un piccolo di nero di sei mesi, un piccolo di elefante, un macachetto, un leonetto, un canetto. Vedo, senza dubbio, che questi giovani animali hanno incomparabilmente più forza e destrezza, più idee, più passioni, più memoria del negretto ed esprimono molto più sensibilmente tutti i loro desideri che quell’altro. Però, dopo un tempo, il negretto ha tante idee quante tutti loro. Mi dò questa definizione: l’uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione. […] Vado alle regioni marittime dell”India Orientale. Adesso sono uomini d’un bel tono giallastro, non hanno lana, ma hanno la testa coperta da grande criniere nere. […] Incontro una specie ancora più singolare che tutte queste. È un uomo vestito bene con un lungo abito nero, che si dice fatto per istruire agli altri [un prete, N.d.A.] Tutti questi uomini che vedi, mi dice lui, sono nati da uno stesso padre. E, allora, mi racconta una lunga storia. Però, quello che questo animale dice mi pare molto sospetto. Mi informo se un nero e una nera, di lana nera e naso piatto, gerano qualche volte bambini bianchi, di capelli biondi, naso adunco ed occhi blu. Mi hanno risposto di no, che i neri trapiantati, per esempio, alla Germania sono rimasti a generare neri»[42].

David Hume e John Locke. Il filosofo illuminista, precursore dell’ateismo scientista, David Hume (1711-1776), scriveva nel 1754: «Non è mai esistita una nazione civilizzata che non fosse bianca: sono portato a sospettare che i negri, e in generale tutte le altre specie umane, siano per natura inferiori ai bianchi». Decise poi di investire i suoi risparmi, come John Locke (1632-1704), nel commercio degli schiavi[43]. Locke fu maestro del liberalismo anglosassone, simbolo dell’illuminismo inglese e azionista della Royal African Company che trafficava schiavi africani, per lui l’indiano d’America era assimilabile alle «bestie selvagge», per cui «potrà essere distrutto come un leone o una tigre» (citato in D. Losurdo, “Controstoria del liberalismo”, Laterza 2006, p. 25-26).

Arthur de Gobineau e Napoleone. L’illuminista Arthur de Gobineau (1816–1882) è l’autore del «Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane» (1853-1855), nel quale interpreta la storia umana affermando che la purezza della razza determina la capacità di sopravvivenza e di dominio sulle popolazioni inferiori. Concetto poi ripreso dall’ideologo del nazismo Rosemberg e dagli assertori dell’eugenetica. E mentre i re cristiani del Medioevo riuscirono ad eliminare la schiavitù, fu Napoleone Bonaparte (1769-1821), ateo, anticlericale e materialista, a ristabilirla nelle colonie francesi (1802)[44].

Karl Marx. L’ateo materialista Karl Marx (1818-1883) aveva anch’egli le idee chiare sulla schiavitù: «La libertà e la schiavitù costituiscono un’antagonismo. Mi riferisco alla schiavitù diretta, alla schiavitù dei neri in Suriname, in Brasile, nelle regione del Sud dell’Ameria del Nord. La schiavitù diretta è il pivot sopra il quale il nostro industrialismo quotidiano fa girare il macchinaio, il credito, ecc. Senza la schiavitù non ci sarebbe nessuno cotone, senza cotone non ci sarebbe nessuna industria moderna. È la schiavitù che dà valore alle colonie, furono le colonie ad aver creato il commercio mondiale, e il commercio mondiale è la condizione necessaria per l’industria di macchina in grande scala. Senza schiavitù, l’America del Nord, la nazione più progressista, si sarebbe trasformata in un paese patriarcale. Abolire la schiavitù sarebbe spazzare l’America del Nord fuori dalla carta»[45].

Friederich Nietzsche, Il capostipite dell’ateismo moderno, Friedrich Nietzsche (1844-1900) non esitava a rivendicare la permanente validità dell’istituto della schiavitù quale fondamento della civiltà. I suoi testi contengono riferimenti sprezzanti a Beecher-Stowe, l’autrice della “Capanna dello zio Tom”, il celebre romanzo abolizionista che tanto eco suscitò in Europa e nella stessa Germania. In “Umano troppo umano” (1878) il filosofo scrisse: «Tutti desiderano l’abolizione della schiavitù, eppure bisogna ammettere che gli schiavi sotto ogni riguardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio e il lavoro degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell’operaio». Nietzsche risentì molto chiaramente dell’influenza della nuova “scienza”, l’eugenetica, inventata in Inghilterra dall’antropologo ateo Francis Galton, cugino di Darwin. Così scrisse: «La vita stessa non riconosce nessuna solidarietà, nessuna “uguaglianza di diritti” fra le parti sane di un organismo e quelle degenerate: queste ultime devono essere amputate. Avere compassione dei decadentés, concedere uguaglianza di diritti anche ai falliti, sarebbe la più profonda immoralità, sarebbe l’antinatura posta come morale»[46].

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7. CONCLUSIONE

Abbiamo contribuito a dimostrare che i paladini nella difesa dei colonizzati furono quasi esclusivamente uomini di Chiesa, religiosi e veri cristiani, al contrario di quel che sostengono i teorici della cospirazione. Le accuse comunque hanno una base di verità, poiché è vero che i sovrani, spagnoli, inglesi, portoghesi ecc.., usurparono fortemente il potere religioso per sottometterlo al potere politico, incoraggiando lo schiavismo e la colonizzazione, anche tramite interpretazioni personalistiche e forzate dell’Antico Testamento (in particolare rispetto alle teorie secondo cui gli indigeni non avevano l’anima, passaggi comunque che non andrebbero mai interpretati letteralmente). Per amore alla verità occorre anche dire che nel corso dei secoli purtroppo le turpitudini coloniali furono perpetrate anche da alcuni uomini di Chiesa, che assumeranno sempre (distaccandosi dalla stessa istituzione che avrebbero dovuto rappresentare) atteggiamenti e posizioni opposti ai pronunciamenti solenni dei Pontefici e dei numerosi religiosi che abbiamo elencato. Inoltre, questo sarà fatto in netta contrapposizione all’insegnamento del Vangelo («Non c’é più giudeo né greco, non c’é più schiavo né libero, non c’é più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal, 3, 28) e dell’autorità ecclesiale. Il cardinal Ratzinger scrisse correttamente: «Tutti i peccati dei cristiani nella storia non derivano dalla loro fede nel Cielo, ma dal fatto che non credono abbastanza nel Cielo».

 

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Note
1^ E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179
2^ Wikipedia/Colonialismo/NelCattolicesimo
3^ Koschorke, A History of Christianity in Asia, Africa, and Latin America 2007, pag. 31–32; McManners, Oxford Illustrated History of Christianity 1990, pag 318
4^ Wikipedia/RiduzioniGesuite/Sviluppo
5^ Samora, A History of the Mexican-American People, 1993, pag. 20
6^ Wikipedia/RomanCatholicChurchAndColonialism, Wikipedia/SpanishMissionInBajaCalifornia
7^ R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 296-298; O. Chadwick, The reformation, Penguin 1972, pag. 26
10^ Wikipedia/SchiavismoNelMedioevo
11^ Wikipedia/OrdineDiSantaMariaDellaMercede
12^ R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 299,300, Wikipedia/SicutDudum e Wikipedia/PapaEugenioIV/Biografia
13^ J.M.d. Serna, The Historical encyclopedia of world slavery, pag. 153 e Wikipedia/PioII/Papa
14^ H. Lewis, The Hispanic American Historical Review, 1946, pag 142; Warner Carl, “All Mankind Is One”: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, pag. 295, Wikipedia/CatholicChurchAndTheAgeOfDiscovery e Wikipedia/PedroDeCordoba
15^ B.D. Las Casas, Historia de las Indias, en Obras Completas e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/PrimeroSermon
16^ W. Carl, “All Mankind Is One”: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, pag. 299; Wikipedia/AntonioDeMontesinos/SeguendoSermones e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Life
17^ Wikipedia/AntonioDeMontesinos/DefensaDelIndio
18^ Wikipedia/SacrificiUmaniNellaCulturaAzteca e alcune immagini del film “Apocalipto” di Mel Gibson
19^ Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Biografia e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Life
20^ Papa Paolo II, Sublimis Deus, 1537; Panzer, The popes and slavery, Alba House 1997, pag. 8
21^ J. F. Maxwell, “Slavery and the Catholic Church,The history of Catholic teaching concerning the moral legitimacy of the institution of slavery”, Chichester Barry-Rose 1975, pag. 68-70
22^ P. Thornberry, “Indigenous peoples and human rights”, Manchester University Press 2002, pag. 65
23^ T. Woods, Come la Chiesa cattolica costruito la civiltà occidentale, Regenery 2005, pag. 5-6; Wikipedia/FranciscoDeVitoria e Wikipedia/CatholicChurchAndTheAgeOfDiscovery
24^ Johannes Thumfart, Die Begründung der globalpolitischen Philosophie. Zu Francisco de Vitorias “relectio de indis recenter inventis”, Von 1539 2009, pag. 256 e Wikipedia/FranciscoDeVitoria
25^ Wikipedia/BartolomèDeLaCasas e Wikipedia/NewLaws/Origins
26^ M. Beuchot, Los fundamentos de los derechos humanos en Bartolomé de las Casas, Anthropos Editoria 1994 e Wikipedia/BartolomèDeLaCasas
27^ B.D. Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Mondadori, 1997 e Wikipedia/BartolomeoDeLasCasas/Biografia
28^ Wikipedia/BartolomeoDeLasCasas/Opere
29^ A. Gill, Rendering unto Caesar: the catholic church and the state in Latin America, University of Chicago Press 1998, pag. 22 e R. Stark, For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1
30^ Wikipedia/ProtectoríaDeIndios
31^ Wikipedia/PopoGregoryXIV/Papacy
32^ Wikipedia/OrdineDellaSantissimaTrinità
33^ Wikipedia/RiduzioniGesuite
34^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/PrimiAttacchiAlleMissioniGesuite
35^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/LoScontroDiApóstolesDeCaazapaguazú
36^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/Conseguenze
37^ Wikipedia/CommissumNobis
38^ R. Stark, For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1
39^ Wikipedia/PopeBenedictXIV/Life
40^ Wikipedia/InSupremoApostolatus
41^ Wikipedia/SociétéAntiesclavagisteBelge
42^ Voltaire, Trattato di Metafisica, 1978, pag. 62-63
43^ Wikipedia/Schiavismo/Abolizionismo
44^ Wikipedia/Abolizionismo/Francia e Wikipedia/NapoleoneBonaparte/GuerraInEuropaEAscesaAll’Impero
45^ Lettera di Karl Marx a Pavel Vasilyevich Annenkov, Parigi 28 dicembre 1846, citata in Marx Engels Collected Works, International Publishers (1975), vol. 38, pag. 95
46^ F. Nietzsche, La volontà di potenza, af. 734

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