Condanna a morte per Asia Bibi. Bhatti: giustizia non esiste per i deboli « il Quintuplo

22 ottobre 2014 by Redazione il Quintuplo

In Pakistan l’Alta Corte di Lahore ha confermato la sentenza di condanna a morte per Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia e condannata in primo grado nel 2010. La notizia è stata data all’agenzia Fides dall’avvocato della donna. Il giudice ha accolto come valide e credibili le accuse delle due sorelle musulmane che hanno subito testimoniato contro di lei. Ora resta l’appello alla Corte Suprema.

E’ il 14 giugno 2009, nel Punjab, quando due colleghe di Noreen Asia Bibi le chiedono di andare a prendere dell’acqua e poi la rifiutano: “è acqua impura – dicono – toccata dalle mani di un’infedele cristiana”. E’ il banale pretesto da cui ha inizio il calvario di questa donna di 45 anni, madre di cinque figli che viene subito accusata di aver risposto insultando Maometto e quindi di blasfemia e di essersi rifiutata di convertirsi all’Islam. Subito il carcere, che dura ormai da 1943 giorni, periodi lunghissimi di isolamento in cui Asia ha sempre pregato confidando – ha detto lei stessa – nel grande amore di Dio, e ancora un processo viziato da irregolarità, tra cui l’assenza di un avvocato per lei e deposizioni dei teste, intessute di contraddizioni e discrepanze. In primo grado la condanna a morte, l’8 novembre 2010, la seconda condanna è arrivata oggi, perché il giudice ha ritenuto valide le testimonianze di quelle due sorelle. Il caso di Asia è diventato una questione internazionale  e molti Paesi si stanno adoperando per modificare la legge sulla blasfemia, adesso però la parola passa alla Corte Suprema. “Assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste” questo chiedono i suoi avvocati che oggi hanno ribadito: la giustizia in Pakistan è sempre più in mano agli estremisti. Subito dopo la notizia, Cecilia Seppia ha sentito Paul Bhatti, leader dell’Apma All Pakistan Minorities Alliance che da sempre si batte in difesa delle minoranze religiose e fratello dell’ex ministro pakistano per le minoranze, Shabbaz, ucciso dagli estremisti:

 

  1. – È una notizia molto triste e dolorosa. È una notizia che ci fa pensare che la giustizia per i più deboli non c’è, non esiste. In ogni modo, questa notizia era un pò prevista, in quanto tutte le volte i processi venivano deviati e magari, in qualche modo, non venivano presi in considerazione; poi tutta la pressione da parte degli estremisti … Già questo indicava che probabilmente la giustizia non sarebbe fatta perché una volta il giudice non c’era, un’altra l’avvocato non si presentava … C’erano tutte queste scuse per prolungare o per deviare questo processo. In ogni modo, io ho comunque ancora speranza, in quanto questa non è una fase definitiva; ci sono altre fasi in cui si può fare ricorso.

 

  1. – L’avvocato di Asia, il crisitano Naeem Shakir, ha detto che la giustizia in Pakistan è sempre più in mano agli estremisti. Lei condivide questa posizione?

 

  1. – Sì, non tutta la giustizia, ma spesso questa è molto influenzata dai gruppi estremisti: purtroppo questo è un problema. Io ho scritto recentemente un articolo su questo, dicendo che in Paesi come questo la giustizia spesso viene negata ai deboli, perché influenzata da queste ideologie così forti, estreme, che sono molto potenti e hanno molto seguito in Pakistan come in altre parti.

 

  1. – Il caso di Asia Bibi è emblematico comunque di tanti cristiani che in Pakistan, come in altri Paesi, vengono perseguitati a causa della loro fede e spesso non sono soggetti a processi equi …

 

  1. – Sì, è così. Vengono bersagliati. Poi spesso le persone sono più deboli, e sono facili vittime di queste accuse anche per motivi personali a volte. Abbiamo visto ad esempio quella chiesa che è stata bruciata a Peshawar, il quartiere di Lahore dato alle fiamme, prima ancora. Queste sono state vittime di un’ideologia estrema mossa da motivi personali e non perché avevano commesso qualcosa. (Radio Vaticana 19 10 2014)

 

Asia Bibi: parroco Lahore, “non è detta l’ultima parola”

“Bisogna continuare a pregare e sperare per Asia Bibi. Lo dice all’agenzia Fides padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione nazionale giustizia e pace dei vescovi pakistani e parroco a Lahore. “La conferma della condanna – prosegue – è una brutta notizia per tutti noi. Gli avvocati hanno fatto del loro meglio e tutta la comunità cristiana attendeva con fiducia. Domenica pregheremo nelle nostre chiese per la vita di questa donna innocente”. Il sacerdote assicura comunque che “la speranza vive: ci sarà un ricorso alla Corte suprema”, ricordando i casi in cui la Corte ha ribaltato le sentenze emesse nei gradi precedenti di giudizio, come ad esempio il caso “di Ayub Masih, un cristiano anch’egli condannato a morte per blasfemia e salvato proprio grazie al verdetto assolutorio della Corte suprema”. Padre Emmanuel riafferma la vicinanza, la solidarietà e la preghiera della Chiesa cattolica pakistana “ad Asia, alla sua famiglia e a tutti coloro che soffrono per un’ingiustizia e sono in carcere da innocenti: sono immagine del Cristo sofferente”.

(Radio Vaticana 20 10 2014)

 

Troppi interessi dietro al caso di Asia Bibi: coperta la verità dei fatti

“Ci sono troppi interessi in gioco dietro al caso di Asia Bibi. Troppi poteri forti e troppe pressioni che, alla fine, coprono e finiscono per calpestare la verità dei fatti”, dice in un colloquio con l’Agenzia Fides, Haroon Barkat Masih, direttore della “Masihi Foundation”, impegnata in Pakistan per il miglioramento della vita dei cristiani e anche nella difesa di cristiani ingiustamente accusati di blasfemia. All’indomani della sentenza di appello che ha confermato il verdetto di morte per la donna cristiana accusata di blasfemia, il Direttore nota a Fides: “Continuiamo a sperare perché, da cristiani, la nostra fede alimenta la speranza. Continuiamo a pregare per Asia Bibi e per il suo rilascio, perché il Signore la protegga e la consoli”, dice Masih. “Ma ci sono molti elementi che non inducono all’ottimismo. Basti ricordare che sulla testa di Asia pende ancora una taglia, promessa da un imam, che premia chi la ucciderà”.

Secondo Barkat, “le pressioni e la mobilitazione internazionale possono essere utili”, ma soprattutto “è necessaria la volontà politica del governo e delle massime autorità pakistane” se si vuole porre fine a un storia segnata da evidenti ingiustizie. Ma il Premier attuale, Nawaz Sharif, “in passato ha dato ampio spazio a gruppi estremisti e approvato la legge sulla blasfemia per calcolo politico: dunque non sembra quello più adatto a prendere posizione contro tali pressioni”. “La corruzione e il desiderio di sfruttare il caso per fini economici è un altro aspetto presente” aggiunge Haroon Barkat. Il direttore ricorda infine che alla Corte Suprema la sentenza di condanna può essere ribaltata e che, anche in caso di condanna, il Presidente del Pakistan avrebbe sempre potere di concedere la grazia. (Agenzia Fides 21/10/2014)

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