Cristiani d’Egitto – Omnis terra

Cristiani d’Egitto

di Enrico Casale

I copti rappresentano la minoranza cristiana che da secoli vive lungo le sponde del Nilo e che, nonostante le discriminazioni, i diritti civili negati (in tutto o in parte), ha costruito l’Egitto moderno. Eredi della predicazione di San Marco, loro storia è ancora più antica.
Sono gli eredi della predicazione di San Marco. Ma la loro storia è ancora più antica e affonda le radici nell’antico Egitto. Sono i copti, minoranza cristiana che da secoli vive lungo le sponde del Nilo e che, nonostante le discriminazioni, i diritti civili negati (in tutto o in parte), ha costruito l’Egitto moderno.

Una storia di discriminazioni
La storia dei cristiani d’Egitto è antichissima. I copti sono infatti gli eredi degli antichi egizi che si convertirono al cristianesimo, a partire dal primo secolo, grazie alla predicazione di San Marco. Fino al VII secolo, la comunità è stata maggioritaria in Egitto. Con l’arrivo degli arabi e dell’Islam, per i copti è iniziata una difficile convivenza, fatta di periodi di relativa libertà, alternati ad anni di dure repressioni. La situazione non è migliorata con l’indipendenza dell’Egitto. Sotto i governi di Anwar Sadat e Hosni Mubarak, la Chiesa ha vissuto un periodo particolarmente difficile. Fu Anwar Sadat a inserire nella Costituzione la Sharia (legge islamica) come fonte del diritto egiziano. Una mossa fatta per ingraziarsi le frange più estreme dell’Islam politico (che però non lo risparmiarono, uccidendolo in un attentato nel 1981) e che penalizzava i copti. Con l’arrivo di Hosni Mubarak la loro situazione non è migliorata. Mubarak ha chiuso tutte le porte ai fondamentalisti impiegando i pirmi anni della presidenza fino agli anni Novanta a perseguitarli. La porta aperta era invece mantenuta nei confronti della fede islamica comune e per i copti la vita non era semplice. Era difficile, se non impossibile, costruire o anche ristrutturare una Chiesa perché era necessario il nullaosta della polizia, che non lo rilasciava facilmente. La stessa polizia arrestava i musulmani che si convertivano. Molti poliziotti erano coinvolti nei rapimenti di ragazze copte, organizzati per convertirle (andando contro la legge che prevedeva e prevede che qualsiasi conversione possa avvenire solo dopo i 18 anni). I musulmani che attaccavano le chiese restavano impuntiti. «Il presidente – osserva Girgis, un esponente della Chiesa copta che chiede di mantenere l’anonimato – lasciava quindi che i copti subissero le angherie e le discriminazioni più palesi soprattutto a livello sociale. Sono stati anni molto duri».

Speranza e delusione
Le Primavere arabe scoppiate nel 2011 hanno rappresentato una grande speranza per la comunità e la Chiesa copta ortodossa. Quando sono scoppiate le proteste contro il presidente Hosni Mubarak, i cristiani sono scesi in campo insieme ai musulmani. Entrambi chiedevano la caduta del raiss. «La parte migliore del mondo musulmano e di quello cristiano – ricorda Awad, giornalista cristiano – lottava per un cambiamento reale della società egiziana. Volevano un Paese in cui le componenti religiose convivessero senza dissidi, insieme come cittadini di un unico Paese, l’Egitto. Ma è arrivata subito la doccia fredda». Nel 2011 le forze di polizia hanno represso duramente una manifestazione di cristiani nel quartiere Maspero, uccidendo 26 dimostranti. In quella repressione molti hanno letto un tentativo delle autorità militari di spegnere il protagonismo degli egiziani di fede cristiana. Ma è con l’arrivo al potere di Mohammed Morsi che i copti hanno corso i rischi più grandi. Il progetto di riforma costituzionale promossa dal presidente li poneva in una posizione di subalternità rispetto ai musulmani, ma puniva anche i laici e i musulmani che non si riconoscevano nella visione totalizzante dell’Islam proposto dalla Fratellanza musulmana (che appoggiava Morsi). I copti così si sono uniti ai tanti egiziani scontenti che sono scesi in piazza per contestare Morsi.

L’amico al Sisi
L’arrivo al potere di Abd al-Fattah al Sisi ha rappresentato un momento di svolta. Il generale ha teso subito la mano ai copti. La sera della deposizione di Morsi si è presentato in televisione affiancato da Ahmad al Tayyib, Imam di al Azhar, la massima istituzione del mondo islamico sunnita, e da Tawadros II, patriarca di Alessandria e guida della Chiesa copta ortodossa. È come se al Sisi volesse dire che lui intendeva unire il Paese e non voleva discriminazioni tra cristiani e musulmani. E, infatti, il nuovo presidente ha iniziato a varare numerose leggi, decreti e regolamenti per favorire la costruzione di chiese, luoghi di incontro. «Recentemente – spiega Alessia Melcangi, docente di Storia contemporanea del Nord Africa e del Medio Oriente alla Sapienza di Roma – al Sisi ha autorizzato la costruzione di decine di chiese cristiane. Un dato straordinario, un tempo impensabile. Questo è il chiaro segno della sua volontà di stringere i rapporti di amicizia con i copti. Lo stesso fatto che a Natale, da anni, presenzi alla messa di Natale è una cosa mai avvenuta con i suoi predecessori».
Al Sisi è intervenuto anche sul piano culturale, cercando di scardinare la visione wahabita dell’Islam, che è estranea alla tradizione egiziana ed è portatrice di intolleranza e violenza. Ha favorito quindi gli studi teologici islamici facendo pressioni su al Azhar affinché si approfondissero gli aspetti più aperti e tolleranti dell’Islam. La violenza nei confronti dei cristiani però non si è interrotta. Le chiese hanno continuato a essere attaccate, bruciate o demolite. L’11 dicembre 2016 un attentato alla cattedrale del Cairo ha fatto 25 morti. Il 9 aprile 2017 due attentati, il primo davanti chiesa di Mar Girgis a Tanta e il secondo davanti alla chiesa di San Marco ad Alessandria, hanno provocato 45 vittime. «Ciò dimostra – osserva Awad – che la violenza nei nostri confronti non è sparita. E che, nonostante al Sisi abbia promesso maggiori controlli e maggiore protezione, noi siamo ancora in balia dei fondamentalisti».

Copti in trasformazione
La Chiesa copta, però, sta subendo una profonda trasformazione nei suoi stessi fedeli. Da sempre i copti sono legati alla loro gerarchia (vescovi, monaci, sacerdoti). «È un legame solido, a volte fin troppo – sottolinea Youssef -. In passato, per i credenti, il clero era tutto. Dal clero dipendevano per qualsiasi cosa: chiedevano aiuti materiali, consigli e ascolto nei momenti difficili, direttive in campo politico ed economico. Oggi questo “totale affidamento” sta venendo meno. I copti partecipano ancora in massa alle funzioni religiose, ma molti di essi stanno tagliando il cordone ombelicale con la gerarchia».
A essere «insofferenti» alle direttive ecclesiastiche in campo politico ed economico sono soprattutto i più giovani. Si muovono da soli, rivendicando il loro essere cittadini egiziani che lavorano nella società per farla crescere. Si ispirano ai valori cristiani, ma senza legami vincolanti con la Chiesa. «Da tempo – osserva Alessia Melcangi -, la parte più giovane e attiva della comunità chiedeva alla gerarchia di limitare il suo raggio d’azione alla dimensione spirituale e di disinteressarsi delle questioni politiche. L’ascesa di al Sisi ha però sparigliato le carte. Tawadros II, il patriarca di Alessandria, ha sostenuto e sostiene il generale e ha ripreso su di sé il ruolo politico da sempre rivestito dai Papi copti. In al Sisi, Tawadros e la gerarchia vedono una protezione di fronte alle minacce del mondo musulmano più estremista». In questa posizione la Chiesa copta ortodossa non è così differente dalle altre Chiese cristiane in Medio oriente e in Nord Africa. Il leader politico, sia esso democratico o non democratico, è considerato una garanzia contro la scomparsa del cristianesimo nella regione. I giovani copti vogliono però liberarsi da questa condizione di protezione. Vedono nel legame diretto con il raiss una riedizione moderna della condizione di “dhimmi”, cioè di cittadini di serie B in una società islamica. «I giovani copti – conclude Alessia Melcangi – hanno come prospettiva futura l’affermazione di uno Stato di diritto nel quale cristiani, musulmani ed ebrei possano vivere insieme con eguali diritti. Lo stesso fatto che la Costituzione assicuri alla minoranza copta alcuni posti in parlamento è visto come una forzatura rispetto al concetto di Stato di diritto. Riusciranno nel loro intento? E’ difficile. Lo status quo va bene a tutti. Le gerarchie ecclesiastiche si sentono al sicuro. Il presidente offre amicizia, ma non osa portare a termine profonde riforme democratiche».

Sorgente: Cristiani d’Egitto – Omnis terra

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