Cristiani in Iraq. Il racconto di don Georges Jahola | Tempi.it

agosto 15, 2014Matteo Rigamonti

 

All’incontro a Milano con i rappresentanti delle tre maggiori religioni, ha parlato il sacerdote della chiesa siro-cattolica nella diocesi di Mosul

 

 

don-georges-jahola-bis«L’identità di un popolo si rafforza e si radica quando è legata a un pezzo di terra. Un diritto oggi negato alle comunità cristiane perseguitate in Iraq, sia da parte degli attori delle violenze sia da parte di chi, in tutto il mondo ma soprattutto nel mio Paese, sta in silenzio di fronte a quanto accade». Lo ha detto don Georges Jahola, sacerdote della chiesa siro-cattolica nella diocesi di Mosul, nato a Qaraqosh (Niniveh), ora in Italia, in occasione di un incontro giovedì 14 agosto presso la Sala delle Colonne del Duomo. L’appuntamento è stato organizzato dalla Scuola della Cattedrale di Milano e dal Tribunale  Rabbinico del Centro Nord Italia.

 

UNA PRESENZA MILLENARIA. «La situazione – ha esordito Jahola – è drammatica in tutti i sensi: i cristiani, che dieci anni fa erano un milione, ora sono 300 mila». E di questi già 100 mila sono stati costretti a lasciare il Paese a causa della persecuzione perpetrata dalle milizie jihadiste dell’Isil, acronomio di Stato islamico dell’Iraq e dell Levante. «Stiamo parlando di una presenza che risale al primo secolo, di un popolo che custodisce la lingua parlata da Gesù, l’aramaico, forse purtroppo destinato a sparire, di seminatori di pace e civilizzazione che hanno dato un importante contributo in campo medico, scientifico e filosofico, facendo affidamento su una sola arma: la testimonianza della loro fede». Le persecuzioni, però, ha proseguito Jahola, «sono arrivate in città all’improvviso, come la morte, così che siamo stati costretti dall’oggi al domani a voltare le spalle alla nostra terra, alle nostre case e alle nostre chiese. Ed è quello che è accaduto anche ad altre minoranze». Come quella degli Yazidi, costretti a ripararsi sui monti.

 

incontro-cristiani-iraq«CHI ACCOGLIERÀ IL MIO POPOLO?» Don Georges Jahola ha parlato di una vera e propria «deportazione», di un «piano occulto e concordato a tavolino per la spartizione delle ricchezze delle città assediate; una grande perdita per tutti gli uomini», cristiani e non. Nelle mani dei miliziani, infatti, sono finite «chiese, monasteri, importanti luoghi di culto come la moschea di Giona e manoscritti che corrono il rischio di essere bruciati». È «un triste sentimento» lo stato d’animo di Jahola, che ha raccontato di aver perso anche i paramenti della sua prima messa: «Non sappiamo che cosa accadrà; per ora dalle autorità sono state pronunciate molte parole, ma di fatti no». E ha aggiunto, prima di congedarsi cantando il padre nostro in aramaico, «quali governi accoglieranno il nostro popolo? Il mio è un appello per alzare la voce a favore di tutti gli innocenti cristiani e di altre minoranza perseguitati in Iraq. L’Unicef ha stabilito che molti siti e città sono patrimonio dell’umanità, perché non lo fa con i cristiani della piana di Niniveh?».

 

pisapia-incontro-cristiani-iraqIL MEDIO ORIENTE COLLASSA. L’incontro, a cui ha assistito anche il sindaco di Milano Giuliano Pisapia con consorte, ha visto, poi, gli interventi di rappresentanti della comunità ebraica e di quella musulmana in Italia. Dopo che Mahmoud Asfa, presidente del consiglio direttivo della Casa della cultura islamica di Milano, ha «condannato da musulmano qualsiasi tipo di violenza e persecuzione in particolare quelle in Iraq», David Meghnagi, docente di Psicologia clinica presso l’Università Roma Tre, ha fatto una precisazione. Ricordando che è importante «evitare quello che in psicologia si chiama diniego interpretativo. Che avviene quando si riconosce un fatto», in questo caso le persecuzioni contro i cristiani, «ma lo si svuota di significato o lo si inserisce in un buco nero dove tutto è indifferenziato». La crisi del Medio Oriente, infatti, è grave, secondo Meghnagi, perché coinvolge già tutto il «bacino del mediterraneo», con il rischio che «la presenza dell’Isis, dopo la Siria, arrivi fino in Libano» e che «le tensioni si estendano anche a tutto il continente europeo». «Dopo quanto accaduto in Iraq – ha concluso –, ma anche in Pakistan, SomaliaNigeria, rischiamo di andare incontro a un collasso sistemico. Sono problemi seri e concreti».

 

PREGHIERA E RACCOLTA FONDI. La Chiesa di Milano, per decisione del suo arcivescovo Angelo Scola, intanto, ha promosso, oltre alla Giornata di preghiera per i cristiani vittime di persecuzione indetta, a livello nazionale dalla Cei, anche una raccolta fondi per aiutare i profughi della fede cristiana e della minoranza etnica degli Yazidi che verrà gestita dalla Caritas ambrosiana. I soldi così raccolti saranno inviati direttamente a Caritas Iraq che già sta assistendo nel Paese circa un milione e mezzo di profughi. Gli estremi per le donazioni si trovano sul sito www.caritasambrosiana.it.

Fonte: Cristiani in Iraq. Il racconto di don Georges Jahola | Tempi.it.

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