CRISTIANI RAPITI/ Dietro la liberazione di padre Jallouf, la strategia di Al-Nusra |IlSussidiario.it

Souad Sbai

La notizia del rilascio del parroco francescano Hanna Jallouf, rapito da un gruppo di terroristi nel nord della Siria, a Knayeh nella valle dell’Oronte, ha fatto tirare un enorme sospiro di sollievo. Anche quattro donne sono state liberate ieri, ma rimane la paura per gli ostaggi uomini che assieme a lui erano stati presi. Il rapimento era avvenuto proprio laddove la comunità cristiana, da sempre presente in quel quadrante, ha una storia lunghissima di convivenza e di pace.

Un parroco scomodo, Jallouf, perché da tempo denunciava le scorribande e le violenze di Al Nusra nel territorio e aveva tentato più volte di mettere un freno ad una situazione che velocemente sfuggiva di mano. Cosa fare allora, con chi oltre ad essere amato dalla sua comunità ha avuto anche l’ardire di obiettare sugli sgozzamenti e sulle esecuzioni sommarie? Lo si rapisce, insieme ad un gruppo di parrocchiani, utilizzando la stessa metodologia di Isis che ormai è forza dominante nella regione siriana al confine con l’Iraq e ha sostanzialmente messo d’accordo le varie anime del jihadismo, da sempre in conflitto per il predominio.

Il coraggio della fede, in queste ore, ha accompagnato Jallouf nel percorso e nella preghiera, nell’attesa di sapere cosa sarebbe stato di lui e di quelle persone. A chi conosce la storia del mondo arabo degli ultimi decenni, facilmente sarà tornato alla mente il massacro dei monaci di Tibhirine nel 1996, quando in Algeria i padri storici dei terroristi di oggi incendiavano il Paese con le fiamme della morte e della sopraffazione. Le loro teste vennero recapitate al governo francese in altrettante bare.

Ma tutto questo non è avvenuto per Jallouf, e non certo per una questione di buona sorte o di buona volontà; sono terroristi, sequestratori ma di certo non sono stupidi e hanno fatto una scelta nel rilasciare il sacerdote, che avrebbero facilmente potuto trattenere a scopo estorsivo o uccidere a scopo dimostrativo, e nel tenere invece sequestrati i venti fedeli. Hanno preferito tenerlo prigioniero, nel suo convento, ma sempre prigioniero. Ma a quale scopo?

Con ogni evidenza, uccidere un sacerdote avrebbe reso un effetto troppo grande e forse controproducente, mentre tenerlo prigioniero in casa sua e tenere sequestrati i suoi fedeli è un atto di ricatto nel silenzio, potente e gestibile. Un ricatto che comunica all’Occidente la sua debolezza e la fragilità di ogni suo avamposto in territorio musulmano. Ora il timore è per la sorte dei cristiani nelle mani di Al-Nusra: che ne sarà di loro e soprattutto chi alzerà la voce per liberarli, visto che l’attenzione su questi fatti pare essersi affievolita con la “liberazione” di Jallouf?

Il rischio è che, diversamente dal sacerdote, facciano la fine dei rapiti di questi mesi, decapitati o giustiziati in maniera sommaria.

Occorre fare in modo che l’attenzione non cali, che il mondo non si dimentichi di loro e della loro sorte, nelle mani di un movimento, Al Nusra, che vorrebbe distanziarsi agli occhi di tutti da Al Qaeda e da Isis pur rimanendone una sorta di filiale territoriale. Ormai, da fatti come questo, si capisce che il territorio è a tutti gli effetti a guida del movimento integralista, che si comporta come uno Stato vero e proprio. Verranno uccisi? Verranno tenuti prigionieri per lungo tempo? Oppure per loro è stata decisa una sorte che ancora non conosciamo e dobbiamo aspettarci un’azione di comunicazione ancora più complessa e articolata?

Perché per chi ancora non avesse capito, al terrorismo non interessa la morte in senso assoluto ma l’immagine di essa che nutre l’Occidente e il suo vuoto culturale divenuto abisso di inerzia suicida.

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