Cristianofobia a qualcuno proprio non piace parlarne

Il 13 marzo scorso, BQ pubblicava un editoriale di Massimo Introvigne che rispondeva a un articolo del mensile gesuita Popoli in cui si criticavano quanti parlavano con insistenza di cristianofobia, a cominciare dallo stesso Introvigne. L’editoriale ha suscitato una rispsota piccata da parte del direttore di Popoli, Stefano Femminis, che qui vi proponiamo, seguita da una nostra replica.“A Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e fino al 31 dicembre scorso rappresentante Osce per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, non è piaciuto un articolo pubblicato da Popoli.info, a firma di Michele Ambrosini, sulle informazioni false o distorte che circolano in rete a proposito dei cristiani perseguitati nel mondo.

Dispiace che Introvigne – che tra l’altro nel suo articolo riconosce a Popoli il merito di «pubblicare spesso notizie e testi di grande interesse» – non abbia creduto opportuno comunicare il suo disappunto direttamente alla redazione: avremmo pubblicato volentieri il suo contributo. Ha preferito invece scrivere un articolo sul blog La Bussola Quotidiana, dove da alcuni giorni fa bella mostra di sé la copertina di Popoli, sotto l’occhiello «Polemiche» e accompagnata dal titolo “Chi ha paura dei cristiani uccisi“. Polemico, e non poco, è anche il sommarietto dell’articolo di Introvigne: «Il mensile missionario gesuita Popoli obietta sulla cristianofobia. Ma 105mila morti all’anno non sono vittime per caso. Qualcuno li ha uccisi».

Le «polemiche» non ci appassionano, tuttavia alcune precisazioni sono doverose.

La prima «accusa» riservata a Popoli è di avere «attaccato» in modo «alquanto ingeneroso» l’Ong Open Doors. Non è così. Abbiamo semplicemente sollevato obiezioni sul modo in cui il concetto di cristianofobia, con le relative «classifiche» che ne derivano, viene applicato ad alcuni Paesi.
Ma ciò che sembra maggiormente infastidire Introvigne sono le nostre perplessità sulla stima secondo cui nel mondo ogni 5 minuti un cristiano viene ucciso in odio alla sua fede. Ambrosini scriveva: «Risulta difficile trovare sulla rete una spiegazione del metodo con cui è stata calcolata tale cifra». Introvigne dedica una lunga parte della sua piccata risposta a raccontare in quali convegni internazionali ha presentato tale stima, a spiegare da quali fonti l’ha tratta, a dare lezioni di giornalismo ad Ambrosini, senza affrontare il punto da lui sollevato, ovvero la difficoltà di reperire in rete – a fronte di una messe di denunce, appelli, statistiche – un’informazione adeguata e chiara sul metodo con cui si è arrivati a tale calcolo. Su questo Introvigne si limita a citare un volume del 2001 in cui l’autore «spiega con dovizia di particolari i criteri con cui calcola annualmente il numero dei martiri». Il volume è effettivamente disponibile anche online, ma solo chi avesse un’ottima conoscenza dell’inglese, molto tempo a disposizione e approfonditi studi di statistica e di storia alle spalle ci capirebbe qualcosa. A conferma di quanto scriveva Ambrosini: «Risulta difficile trovare sulla rete una spiegazione del metodo con cui è stata calcolata tale cifra».
A costo di fare nuovamente arrabbiare Massimo Introvigne, non possiamo poi non ribadire che la cifra ci appare inverosimile. Inverosimile non solo per la sua entità, ma perché siamo convinti che nessuna statistica (come quelle del sito di Open Doors, corredate da indici Paese per Paese, ranking e top ten dei persecutori) potrà mai misurare con tanta precisione un fenomeno così complesso come quello della cristianofobia. Sappiamo infatti quanto sia difficile ricostruire anche un singolo caso, considerando l’intreccio di motivazioni personali, politiche, economiche, etniche e certo anche religiose. Immaginiamo cosa possa voler dire, da un punto di vista puramente scientifico, monitorare a livello planetario un fenomeno così complesso e purtroppo così ampio.

Per questo, pensare di ridurre questa complessità a una cifra – e presentare questa cifra come certa e indubitabile – significa mancare di rispetto alle stesse vittime della cristianofobia, fenomeno di cui Popoli non intende certo negare la preoccupante gravità e la crescente diffusione.

Facciamo un’umile proposta a Massimo Introvigne. Oltre a dirci che nel mondo, ogni giorno, 288 cristiani vengono uccisi per la loro fede (è questa la media che si ottiene in base ai calcoli citati), ci racconti, ogni giorno, la storia di una vittima, una sola. Ci dica il suo nome, dove e come viveva, ci faccia vedere la faccia di questa persona, dei suoi familiari, dei suoi amici, ci racconti perché è stata uccisa e chi è accusato del suo omicidio. Non facile, anche nell’era delle nuove tecnologie, ma certo non impossibile per chi afferma di avere sotto osservazione con tanta precisione il fenomeno. Come Popolisaremo i primi a dare il massimo risalto a queste storie, e del resto spesso già lo facciamo.

Perché, per citare Paolo VI, il mondo ha bisogno di testimoni (e di chi ci racconta le loro storie) più che di maestri (e di studiosi che ci offrono stime, medie e calcoli logaritmici).

Una parola, infine, sulla «predica» finale del fondatore del Cesnur. Delle due l’una: o Introvigne è andato clamorosamente fuori tema (cosa inusuale per un consumato opinionista come lui) oppure dobbiamo pensare che il messaggio sia rivolto (anche) a Popoli. Se le cose stessero così, Introvigne non meriterebbe una replica, solo l’invito a leggere con più attenzione e rispetto le 800 pagine di articoli che Popoli pubblica ogni anno e le decine di contributi della nostra versione web.

Un saluto cordiale

Stefano Femminis


 

Direttore di Popoli


 

Caro Femminis,


 

la ringrazio della sua lunga lettera, a cui mi permetterà di rispondere con alcune osservazioni.


 

1. Lei rimprovera Introvigne di non aver scritto direttamente a Popoli riguardo alle critiche nei suoi confronti. Devo dire che trovo questo appunto francamente curioso: visto che in Italia la famosa statistica del “cristiano ucciso ogni 5 minuti” è stata pubblicata per primo su La Bussola Quotidiana, dovrei essere io a chiedere a lei come mai non avete scritto alla nostra redazione invece di farci un articolo su “Popoli”.

2. Lei poi sostiene che Introvigne non affronta il punto sollevato da Ambrosini riguardo alla difficoltà di reperire in rete un’informazione chiara sul come si arriva a calcolare certe cifre. Forse dovrebbe rileggersi l’editoriale di Introvigne, perché elenca gli articoli (in italiano) dove ha già spiegato il tutto. Comprendo il desiderio di verificare le fonti da parte di Ambrosini, sicuramente meritorio, ma non si può affermare che certi dati sono inverosimili solo perché per capire le fonti è richiesta un’ottima conoscenza dell’inglese e dei metodi statistici. Non è certo obbligatorio conoscere l’inglese, ma nel 2012 se non si ha una buona conoscenza di questa lingua è meglio astenersi dallo scrivere su questioni internazionali. Né è consigliabile spiegare come si fanno le statistiche a chi di statistica vive, come i sociologi. Screditare le fonti solo perché non si conosce la lingua e il metodo statistico fa anche cadere nel ridicolo, perché con questo criterio non potremmo neanche più leggere il Vangelo (a meno di non avere un’ottima padronanza del greco e dei metodi di esegesi).
Resta però vero che Ambrosini non aveva scritto che sulla rete le informazioni sulla fonte della statistica c’erano ma lui non era in grado di capirle perché non legge l’inglese e non si intende di statistica. Aveva scritto che le informazioni non c’erano, il che semplicemente non è vero.

3. Comprendo che a Popoli piacciano i casi individuali di cristiani uccisi per la loro fede, debitamente certificati. Per questo le consiglierei una collaborazione stretta con Open Doors o con l’Aiuto alla Chiesa che Soffre, sicuramente saranno lieti di aiutarvi. Più semplicemente, se ogni giorno voleste raccontare la storia di un cristiano ucciso potreste seguire le notizie che arrivano dalla Nigeria, dove nel 2012 (così come nel 2010 e nel 2011) troveranno purtroppo ben più di un morto al giorno.

Però mi permetta di notare una stranezza. Proprio nei giorni scorsi è stato ricordato il primo anniversario della morte di Shabhaz Bhatti, sul cui martirio per la fede credo che neanche lei abbia dubbi, tanto che gli stessi vescovi pakistani vogliono aprire una causa di beatificazione. Ebbene, mi sono detto, visto che a Popoli piacciono i casi individuali sicuramente troverò sul sito abbondanti particolari su questa straordinaria figura di cattolico ucciso. Ho perciò scritto Pakistan sul motore di ricerca, e dal vostro archivio mi sono usciti 30 articoli, in molti dei quali il Pakistan era soltanto citato all’interno. In ogni caso solo uno riguardava Bhatti, ed era in inglese, ripreso dalla rivista gesuita americana “America”, neanche tradotto (peraltro è del 21 marzo 2011 e raccoglieva perciò soltanto le prime reazioni all’assassinio). In compenso però ho trovato un articolo della vostra redazione sicuramente più interessante dal titolo “Pakistan: perché i sufi sotto attacco?”, in cui ci si chiede: “Ce la farà il sufismo a opporsi ai talebani?”.
Certamente, pensando al Pakistan, questa sarà sicuramente la domanda più urgente a cui rispondere, così come notare che “grazie alla passione di tanti immigrati dell’Asia meridionale, il cricket si fa strada anche nel nostro Paese” (è l’argomento di un altro articolo presente nell’archivio del vostro sito).
Per quanto ci riguarda, noi riteniamo invece che la sorte dei cristiani, in tutto il mondo, sia il problema fondamentale e non solo per la fratellanza nella fede, ma perché laddove non c’è libertà per i cristiani non c’è libertà per nessuno e laddove i cristiani vengono scacciati c’è guerra. Ed è per questo che noi ci interessiamo sia dei casi singoli sia del fenomeno in generale.

4. Sul tema dei casi individuali mi permetta un’ulteriore osservazione. La nozione secondo cui interessano solo i casi individuali, e le statistiche sono irrilevanti, è assolutamente da respingere. Le testimonianze sono certamente importanti, ma ciò non toglie che il dato statistico sia fondamentale per chi deve impostare risposte politiche. Sapere se i cristiani uccisi sono dieci, cento o centomila non cambia di uno iota il dramma della singola vittima, ma cambia molte cose sul tipo di risposta politica e diplomatica da dare (un po’ come per i preti pedofili: ce ne fosse anche uno solo sarebbe uno di troppo, ma sapere se sono cento o centomila è importante per capire le cause del fenomeno e la risposta che la Chiesa deve dare).

5. Citare poi Paolo VI per “colpire” i sociologi è un’operazione decisamente rischiosa. Come mostrano gli studi, tra gli altri, di Émile Poulat, fu proprio il servo di Dio Paolo VI a “sdoganare” la sociologia nella Chiesa, servendosi di sociologi e tenendo in gran conto i loro numeri.

Cordiali saluti

Riccardo Cascioli

Fonte: La Bussola Quotidiana.
Chiesa – Mai più cristianofobia

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