DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento): la frontiera del nulla

Autore:Giuliana Ruggieri

Curatore:Mangiarotti, Don GabrieleFonte:CulturaCattolica.it
Non appartiene alla cultura cristiana la separazione tra il corpo, la dignità e il bene dell’uomo, in ultima analisi tra corpo e persona, l’uomo, ontologicamente, è essere unico e irripetibile

Ho partecipato la scorsa settimana ad un incontro organizzato in Università sul fine vita a sostegno dell’Eutanasia e quindi dell’approvazione della legge sulle DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento), il punto che emergeva alla base degli interventi è stato:
“Le leggi sulla vita non possono essere anteposti alla libertà ed alla dignità della persona”Non appartiene alla cultura cristiana la separazione tra il corpo, la dignità e il bene dell’uomo, in ultima analisi tra corpo e persona, l’uomo, ontologicamente, è essere unico e irripetibile: «“Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (GS, 22). In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità non solo l’amore sconfinato di Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv3, 16), ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana. E la Chiesa, scrutando assiduamente il mistero della Redenzione, coglie questo valore con sempre rinnovato stupore e si sente chiamata ad annunciare agli uomini di tutti i tempi questo “vangelo”, fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo. È per questo che l’uomo, l’uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale via della Chiesa» (S. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitæ, 2).
Il mistero dell’Incarnazione e il mistero della Redenzione segnano il valore e la dignità ogni essere umano, rinnovando l’atto della Creazione: «Quale valore deve avere l’uomo per aver meritato un così grande Redentore» (S. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 10).
Con l’Incarnazione è entrata nella storia la suprema valorizzazione di ogni uomo, di ogni essere vivente, direi di ogni carnalità (altro che parametri di qualità della vita…) e acquista valore ogni gesto umano, ogni pensiero, ogni relazione, ogni evento, ogni circostanza, ogni momento che ci è dato da vivere, ogni dolore, ogni fatica, ogni malattia, ogni gioia.
Sono rimasta, in questo senso, davvero colpita da alcune opere d’arte, che abbiamo avuto la grazia di vedere durante il nostro pellegrinaggio Santiago-Fatima.
Un avvenimento che irrompe nella vita!
«Il Cristianesimo si presenta fin dal primo apparire nel mondo come un avvenimento. Lo è la nascita di un Bambino a Betlemme; lo è – fisicamente e storicamente – l’infanzia e la giovinezza di Gesù sotto gli occhi chissà come stupiti e commossi di Maria; lo è l’incontro con Giovanni e Andrea e tutti gli altri incontri che lo hanno comunicato agli angoli della terra e fino a noi» (Mons. Luigi Giussani, Alla Ricerca del volto umano, pag.16).
Anzi già da subito il sì di Maria è generativo, carnalmente e fisicamente ci porge il Mistero. Lo testimoniano queste splendide sculture dell’Annunciazione: appena l’angelo le reca l’Annuncio, Maria presenta un grembo gravido, il Signore del mondo già fra noi, con l’atteggiamento comune a tutte le madri del mondo.
(Immagine 1, 2, 3)

Non solo la fisicità, la carnalità evidente in Maria che allatta il suo Bambino, con la gestualità che accompagna ogni mamma di questo mondo.
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Ancora, Giuseppe, mentre aiuta Maria, a lavare i panni.
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La nonna, Anna, Maria e il Bambino.
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Continuando, ai lati dell’altare maggiore della Cattedrale di Santiago, ci sono il babbo dell’apostolo, Zebedeo, e la mamma, Maria Sàlome, a ricordarci da dove ha origine la grande e meravigliosa storia di San Giacomo il Maggiore, la carnalità di una storia che continua che genera, che segna irrimediabilmente la storia.
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In questo caso, l’evangelizzazione della Spagna e poi la Reconquista, la difesa della fede, “San Giacomo Matamoros”, la generazione di speranza, evidente nel grandioso portico della Gloria, che si può contemplare all’arrivo del cammino di Compostela. Il significato profondo del Cammino e della vita intera trova la risposta scolpita nella pietra del portico.
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Ancora la carnalità e direi la virilità del Cristianesimo: sempre a Santiago, nell’altare maggiore della Chiesa dedicata proprio alla madre di san Giacomo ci sono al centro l’apostolo, ai lati san Giuseppe e san Gioacchino, il nonno con il piccolo bambino Gesù.
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In alto, abbiamo ancora S. Anna, Maria e il Bambino: potremmo dire l’intera ascendenza umana del Redentore!
Anche la natura partecipa all’Avvenimento: ogni oggetto, fiore, pianta e frutto compartecipa alla gloria della venuta del Signore. Tutto questo evidente nel capolavoro che è la Finestra del Capitolo, la Janela do Capítulo, che s’affaccia sul piccolo chiostro di santa Barbara nel Convento de Cristo a Tomar, che abbiamo visitato: una fortezza dei Cavalieri dell’Ordine dei Templari, difensori del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che giunsero in Portogallo per partecipare alla liberazione del Paese nella guerra contro i Mori.
Nel più puro stile manuelino, presenta un aspetto sui generis, non solo per la ricchezza delle decorazioni e del simbolismo in essa racchiuso. ma anche per la particolare coloritura del calcare grigio attaccato nel tempo da colonie di licheni che le hanno conferito quella particolare patina bruno-giallastra, vi sono rappresentate corde, catene marittime, conchiglie e fiori esotici a segnare il legame del Portogallo col mare; le armi araldiche dei re portoghesi – la sfera armillare, i castelli strappati ai mori, le cinque piaghe di Cristo – culminanti nella croce dell’Ordine del Cristo, a sottolineare la profonda unità tra ogni aspetto della realtà.
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«L’avvenimento cristiano – come ogni avvenimento – è l’inizio di qualcosa che non c’è mai stato prima: un’irruzione del nuovo che mette in moto un processo nuovo» (Luigi Giussani, Un avvenimento di vita cioè una storia, p. 489).
«Nella linea di Charles Péguy: non-prevedibile, non-previsto, non-conseguenza di fattori antecedenti» (Ibid, p. 478).

L’antropologia dualista, la separazione del corpo dalla persona, fondamentalmente è frutto della diffusione dello gnosticismo nella forma attuale del relativismo.
Le conseguenze di questo sono drammaticamente evidenti, per esempio la protestantizzazione che si sta diffondendo nella Chiesa, riduce il Cristianesimo a sentimento e a “Parola” (“Parola di Dio”, “Evangelo”, o semplicemente “la Parola”).
Separando il corpo dalla persona, anche la sessualità perde il proprio valore.
«Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell’amore, ossia del dono di sé e dell’accoglienza dell’altro secondo l’intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti. Così si deforma e falsifica il contenuto originario della sessualità umana e i due significati, unitivo e procreativo, insiti nella natura stessa dell’atto coniugale, vengono artificialmente separati: in questo modo l’unione è tradita e la fecondità è sottomessa all’arbitrio dell’uomo e della donna. La procreazione allora diventa il «nemico» da evitare nell’esercizio della sessualità: se viene accettata, è solo perché esprime il proprio desiderio, o addirittura la propria volontà, di avere il figlio «ad ogni costo» e non, invece, perché dice totale accoglienza dell’altro e, quindi, apertura alla ricchezza di vita di cui il figlio è portatore» (S. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitæ, n.23).
Si genera così sessualità senza responsabilità, generazione senza sesso e sessualità sterile (tra coppie omosessuali o uso di anticoncezionali meccanici o chimici) [Cfr. Nicoletta Tiliacos, Nascite creative. Piccolo catalogo del mondo nuovo, Il Foglio 1 Maggio 2015 (http://www.ilfoglio.it/articoli/2015/03/01/news/nascite-creative-piccolo-catalogo-del-mondo-nuovo-81369/)].
Da questo gnosticismo velato di relativismo, prende origine anche l’esaltazione e divinizzazione della natura, da qui la diffusione di tanto “ambientalismo” (vedi la recente conferenza in Vaticano: “Health of People, health of planet and our responsibility – Climate Change, air pollution and health“). Il problema dell’uomo oggi è visto nel disastro climatico, nell’estinzione delle specie, nella distruzione degli ecosistemi, e nessuna sorpresa se arrivati in fondo al lungo e dettagliato elenco di disastri e di vittime di cui sarebbero responsabili le attività umane si viene presi dal desiderio di sterminare il genere umano. È esattamente il sentimento che si vuole ingenerare con questo catastrofismo, di cui oggi la guida della Chiesa cattolica – per la prima volta nella sua storia – si fa paladina. E non può dunque sorprendere che gli “esperti” relatori della Conferenza organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze siano tra i massimi sostenitori delle politiche di controllo delle nascite.
Inoltre, togliendo il riferimento all’Infinitamente Grande che si fa carne, o si esalta lo spirito umano, che plasma liberamente il mondo materiale della corporeità come libera creazione dell’io innalzato a Dio (l’uomo è la persona e non il corpo, etica di Rahner, etica dell’idealismo, del soggettivismo, del primato della coscienza di Sosa) o si esalta la sola corporeità (marxismo) che rende difficile affrontare e sopportare la sofferenza acuendo la tentazione di risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla radice con l’anticipare la morte al momento ritenuto più opportuno.
Ma il risultato è lo stesso. In entrambi i casi l’uomo – o come singolo nell’idealismo o come collettività nel marxismo – si ritiene padrone della vita e della morte.
«In tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte perché decide di esse, mentre in realtà viene sconfitto e schiacciato da una morte irrimediabilmente chiusa ad ogni prospettiva di senso e ad ogni speranza. Riscontriamo una tragica espressione di tutto ciò nella diffusione dell’eutanasia, mascherata e strisciante o attuata apertamente e persino legalizzata» (S. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitæ, n.15).

«Si scosta nel sentiero, passa un funerale, una donna singhiozza dietro il feretro e Lui domanda: “Cosa succede?”. “È una donna vedova. Le è morto l’unico figlio”. Fa un passo avanti e dice: “Donna, non piangere”. O ancora: “Che importa se ti prendi tutto quello che vuoi e poi perdi te stesso?” Che cosa darà l’uomo in cambio di sé? Così è sorto nel mondo il senso del rispetto, della venerazione, dell’attaccamento, dell’amore, della fiducia, della responsabilità verso la persona» (Mons. Luigi Giussani, Dio ha bisogno degli uomini, Intervento al Meeting 1985).
Riconoscere il valore della vita umana, la sua dignità: “Gloria Dei vivens homo” (sant’Ireneo, l’uomo che vive è la Gloria di Dio); questa è la condizione che permette realmente di non praticare l’accanimento terapeutico.
Separare il corpo dalla persona, dal bene della persona, apre strade molto pericolose verso l’eutanasia.
(Immagine 15)

È ormai da qualche tempo che l’uomo occidentale ha dimenticato lo zaino e il bastone, il suo commovente atteggiamento di domanda. La dimora dell’uomo non è più l’orizzonte, ma il solitario nascondino nel quale ha cominciato pure a dubitare della sua esistenza. (A. Tarkovskij)

Sorgente: DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento): la frontiera del nulla

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