Degli atei devoti e della dittatura del politicamente corretto – [ Il Foglio.it › La giornata ]

Atei devoti ovvero “laici che riconoscono che la ragione moderna è strettamente imparentata con il cristianesimo, e che cercano nella chiesa cattolica un rafforzamento dell’identità occidentale” (Carlo Galli, “Abbiccì della cronaca politica”, il Mulino). Stavo leggiucchiando il buon saggio introduttivo di Galli al “Leviatano” di Thomas Hobbes (Rizzoli), quando sono incappato in una sorpresa datata 2005. Per la prima volta, sebbene orientandosi tra mescolanze onorevoli ma improprie (Ferrara, Fallaci, Pera), uno studioso e giornalista definiva sine ira ac studio gli “atei devoti”, dopo tante scemenze da me provocate, apposta, con quella definizione, appunto, provocatoria. Ricordo che la usai in un teatro milanese quasi dieci anni fa, mentre concionavo in difesa del diritto di Rocco Buttiglione, filosofo cattolico nominato commissario ai Diritti dal governo italiano presso la Commissione di Bruxelles, di accedere alla carica nonostante un interdetto laicista di tipo genuinamente illiberale. Infatti, salva la distinzione tra peccato e reato, da Buttiglione esplicitamente affermata nell’audizione o esame per la nomina, Pannella, Cohn-Bendit e altri gli rimproverarono la sua libertà di coscienza di cattolico, il fatto di considerare il comportamento omosessuale come un “intrinseco disordine”. Lo definii un processo a una strega cattolica, e feci campagna su questo giornale e ovunque possibile contro una simile versione integrista, totalitaria e non laica del laicismo. Gregorio XVI aveva delle ragioni per definire nell’Ottocento la libertà di coscienza un “delirio”, ma che si comportassero nello stesso modo e subdolamente, a parti rovesciate, i giudici della Santa Laica Inquisizione che su quel “delirio” fondano tutto intero il loro potere intellettuale e politico, mi sembrò non bello e molto paradossale, forse anche surreale e certamente inquietante.

Siccome il compianto Beniamino Andreatta considerava “atei devoti”, stigmatizzandoli, coloro che fiancheggiano la chiesa per motivi anche politici, rovesciai il senso della definizione polemica, bella ed efficace, e mi proclamai un “ateo devoto”, non essendo notoriamente né ateo né devoto (sono un teista razionalista, e amo la devozione e la pietà religiosa ma non pratico né l’una né l’altra). Fiancheggiare la chiesa di Ratzinger in difesa della libertà di coscienza mi sembrava e mi sembra buona norma per un laico.

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