DIBATTITO/ Mazzarella: preferisco la laicità di Scola a quella di Rodotà

Eugenio Mazzarella lunedì 17 dicembre 2012

Ma cosa avrà mai detto il Cardinale Scola celebrando, nel suo discorso in occasione della festa di Sant’Ambrogio, il XVII centenario dell’Editto costantiniano di Milano del 313, mi sono chiesto, leggendo l’animoso commento di un pur finissimo giurista come Stefano Rodotà qualche giorno dopo su Repubblica? Tanto da fargli affermare senza chiaroscuri che le parole del Cardinale sulle istituzioni che non garantirebbero la libertà religiosa in nome di una presunta neutralità della laicità dello Stato riaccendono antiche polemiche sulla separazione dei poteri, lesive della libertà di tutti?

E sì che, quando sono andato a leggerlo, il discorso del Cardinale voleva celebrare, riprendendo una definizione di Gabrio Lombardi, l’Editto di Milano come l’initium libertatis dell’uomo moderno, l’ingresso cioè della libertà religiosa, e con essa fondamentalmente della libertà di coscienza, fondamento di ogni altra libertà a venire, nella praticabilità pubblica dell’uomo “moderno”, secondo una cronologia storico-speculativa della “modernità” come legata alla predicazione cristiana, che si deve, su basi hegeliane, alla storia della metafisica di Dilthey; come legata al primato, sul “foro pubblico”, del “foro interiore”, che con l’esperienza cristiana della vita si affaccia nella dimensione etico-religiosa, da cui prenderà le mosse per conquistare con la modernità tradizionalmente intesa lo spazio politico.

Ma in sostanza, non cedendo a divagazioni storico-speculative, che cosa ha detto Scola? Che in effetti un ascolto dei movimenti profondi  delle società civili occidentali, soprattutto europee, vede le divisioni più acute “tra cultura secolarista e fenomeno religioso”, più che tra credenti di diverse fedi, come si tende comunemente a pensare. Fatto che a dir la verità mi pare di evidenza se non palmare, almeno a mani aperte, di cui mi pare difficile menare scandalo, quanto meno sotto il profilo dell’analisi.

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