Do le dimissioni da giornalista. #IostoconMagdi | L’intraprendente

Con questa mia, do le dimissioni da giornalista. D’ora in poi, diffido chiunque dal chiamarmi così, come dal ricondurmi a qualsiasi Politburo, conventicola, setta che parli in nome di quest’entità vuota e acefala, il “Giornalista”. Soprattutto, comunico ufficialmente a lorsignori, dall’ultimo delegato sindacale ai vertici dell’associazionismo, e in particolar modo a quel Soviet medievale chiamato Ordine dei Giornalisti, che mai, per nessun motivo e in nessun caso, possono parlare a mio nome.

Il suddetto ritrovo di ayatollah, l’Ordine nazionale (perché nel Belpaese fioriscono anche tutte le sotto-burocrazie locali, ovviamente), sta mettendo a processo Magdi Allam, uno che nella vita rischia qualcosina in più del funzionario medio di qualsiasi Ordine italiota, perché ha delle idee. Nella fattispecie, perché ha delle idee non politicamente corrette e beceramente buoniste sull‘Islam. Delle idee che sono confermate ogni giorno dalla cronaca, dai bambini crocifissi dagli assassini dell’Isis (e assassini in nome di Allah, lo scriviamo a maggior ragione oggi) alla rete di jihad che si espande sotto casa nostra, nel Veneto profondo e fin nella Milano pisapiana. Per l’Ordine, invece, queste idee costituiscono reato, nella fattispecie il reato di “islamofobia”. Lorsignori, in genere gente che non si mette di fronte a un foglio bianco da decenni, hanno accolto il ricorso dell’associazione Media&diritto, patrocinata legalmente dall’avvocato Luca Bauccio, difensore tra l’altro dell’Ucoii, Unione delle Comunità islamiche d’Italia. Magdi Cristiano (si può ancora scrivere, senza offendere qualcuno?) Allam dovrà rispondere di una serie di pezzi, pubblicati su Il Giornale tra il 22 aprile e il 5 dicembre 2011, in quanto vi compaiono «affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano». È la differenza tra cronaca e commento, esimi esecutori dell’Apparitik pennivendolo. I nostri pensieri migliori, di più, le cose per cui vale la pena di vivere sono “di carattere generale”, altrimenti non si potrebbe affermare nulla sul mondo, ma solo stendere il bollettino dei borseggi di ieri notte. I bollettini staranno bene a voi, noi vogliamo punti di vista, scarti del pensiero, dibattiti anche feroci. Siam mica sotto la Sharia, d’altronde. O no? Perché, chiariamolo, uno ha il diritto anche di essere “islamofobo”, e di scriverlo, tantopiù in un Paese di vile e ipocrita “Occidentofobia”, un Paese pieno di Gianni Vattimo, di Massimo Fini, di Vauro, di Gino Strada, di Di Battista. Perché nessuno è chiamato mai a rispondere sulle “affermazioni di carattere generale” contro l’America omicida, contro la nostra civiltà corruttrice, perché sull’Occidente si può tranquillamente sputare accomodati su un divano occidentale di un salotto occidentale con remunerazioni occidentali? Perché siamo liberi, prima che liberali, certo. Fateci criticare anche gli altri, però, i fanatici, i terroristi, i reclutatori di disperati e gli infibulatori di donne, non costringeteci al Pensiero Unico masochista e infine alla Morte Cerebrale. Se questo è giornalismo, per voi, questo scodinzolare attorno ai dogmi servili di una casta serva, Dio ci salvi dal giornalismo (e non intendo Allah). Sentite cosa rimproverano, a Magdi, quali sono i capi d’imputazione di questa farsa tardostalinista. Gli rimproverano di «aver violato l’obbligo di esercitare la professione con dignità e decoro». Cosa vuol dire, è bis-linguaggio allo stato puro, perché questa casta sacerdotale dovrebbe avere in mano i criteri oggettivi della dignità e del decoro, e soprattutto perché mai io dovrei essere obbligato a perseguirli? Propongo articoli, me li comprano, li scrivo, nel libero e agonico mercato delle idee, dove spesso i pezzi pregiati sono in-decorosi rispetto al sentire comune e ai bigini consolidati, altrimenti non avreste sentito parlare di Oriana Fallaci, ma solo di Beppe Severgnini. Gli rimproverano «di non aver rispettato la propria reputazione e di aver compromesso la dignità dell’Ordine professionale». Manca l’accusa di deviazionismo, e la puzza di archivio sovietico sarebbe completa. Gli rimproverano «di non avere rafforzato il rapporto di fiducia tra la stampa e i lettori». Fatelo decidere ai lettori, non permettetevi mai di parlare in loro nome, lasciatelo stabilire a chi ogni giorno cammina fino all’edicola o accende il computer, non arrivate a queste forme inaudite di violenza.

Per tutti questi e mille altri motivi, non chiamatemi mai più giornalista, è qualcosa che non riconosco, anzi in cui non voglio riconoscermi, anzi che mi offende. Perché sì, #iostoconMagdi.

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Fonte: Do le dimissioni da giornalista. #IostoconMagdi | L’intraprendente.

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