Donazione organi: perché non espiantarli dai vivi? | Tempi.it

Perché aspettare la morte di un donatore di organi per prenderglieli? È questa, in estrema sintesi, la domanda che un bioeticista canadese si fa sull’ultimo numero del Giornale di etica sanitaria della prestigiosa università di Cambridge.

NON CONTA ESSERE VIVI O MORTI. Analizzando il caso di un paziente che ha subito gravi lesioni cerebrali, Walter Glennon, bioeticista dell’università di Calgary, scrive: «Ciò che importa non è se il donatore sia morto o meno, o quando la morte deve essere dichiarata, ma che il donatore o chi per lui acconsenta [a donare gli organi], che il donatore si trovi in una condizione irreversibile senza speranza di un significativo miglioramento, che il modo in cui gli si prende gli organi non gli causi dolore e sofferenza e che le intenzioni del donatore vengano portate a compimento con un trapianto di successo».

 

BASTA LA VOLONTÀ. Glennon si spinge oltre: non prelevare gli organi di un paziente nelle condizioni sopra descritte quando è ancora vivo vorrebbe dire danneggiarlo, dal momento che vengono disattese le sue volontà. Molti organi, infatti, dopo la morte non sono più utilizzabili ma se la volontà del paziente è quella di donarli, non espiantarli da vivo significherebbe contravvenire alla volontà del donatore. «Non è giusto dire che un donatore è fuori pericolo solo quando è stato dichiarato morto e che un espianto operato da vivo danneggia il paziente».

 

COMPRAVENDITA DI ORGANI. La proposta di Glennon potrebbe avere effetti indesiderati, come la legalizzazione di fatto della compravendita di organi o del suicidio attraverso la donazione di organi da vivi. Secondo Glennon, però, è molto difficile che questo accada, perché di solito è solo «l’esperienza di una condizione irreversibile e senza speranza a indurre una persona che la vita non è più degna di essere vissuta».

Fonte: Donazione organi: perché non espiantarli dai vivi? | Tempi.it.

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