Donne senza giustizia: Meriam e Asia | Mondo | www.avvenire.it

Più forte di qualsiasi restrizione, la vita nasce anche dietro quelle sbarre che da mesi tengono prigioniera Meriam Ibrahim, la 27enne cristiana condannata a morte a Khartum per apostasia e adulterio. Pesa tre chilogrammi e si chiama Maya la piccola che la giovane ha dato alla luce con parto naturale nell’ala ospedaliera del carcere di Omdurman nella mattinata di ieri. La madre ha dovuto portare avanti la gravidanza in difficili condizioni, incatenata per le caviglie. «Madre e figlia stanno bene – ha assicurato ad Avvenire uno dei legali della donna, Mohamed Abdul Nabi – Purtroppo né al marito Daniel né a me è stato consentito di vederla».

Secondo Antonella Napoli, responsabile dell’associazione Italians for Darfur, tra le prime a mobilitarsi per Meriam, «è escluso», al momento, che la madre e i due figli (in prigione c’è anche Martin, il primogenito di 20 mesi) «possano lasciare la prigione. È per questo che la nostra battaglia continua e non si fermerà fino a quando Meriam e i suoi bambini potranno tornare a casa. Ma la nascita della bimba dà speranza». Meriam è stata condannata due settimane fa a 100 frustate ed alla pena capitale. La sentenza sarà sospesa fino al compimento dei due anni della nuova nata, ma intanto i legali hanno presentato appello ad una nuova corte.

Meriam – figlia di un padre islamico che abbandonò la famiglia quando lei aveva sei anni – è stata cresciuta dalla madre come cristiano ortodossa. È stata condannata per non aver accettato di abiurare la sua fede, secondo un sistema giudiziario basato sulla legge coranica. Dietro la denuncia mossa da un fratellastro il tentativo di impadronirsi di una fiorente attività che Meriam ha avviato in un centro commerciale di Khartum.

Per Human Rights Watch, la prigione in cui è rinchiusa è «sovraffollata» e soffre di «scarsa igiene, tanto che molti bambini che vivono con le loro madri detenute sono morti». Secondo i suoi legali, «anche se Meriam venisse liberata non potrebbe più vivere in Sudan. Ci sono molti islamici radicali che hanno già detto che se non sarà la corte a metterla a morte ci penseranno loro quando sarà rilasciata». Anche per questo è importante la mobilitazione internazionale sul caso, mobilitazione che prosegue anche sul sito di Avvenire con adesioni da tutto il mondo. Migliaia le mail giunte in redazione solo ieri.

 

Paolo M. Alfieri

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