Egitto, adesso (forse) inizia la primavera

di Valentina Colombo  05-07-2013

Le folle oceaniche hanno accompagnato tutti i momenti cruciali della storia dell’Egitto contemporaneo. Nel settembre 1970 milioni di egiziani hanno accompagnato il feretro dell’allora presidente Gamal ‘Abd al-Nasser, nel febbraio 1975 quello della cantante Umm Kalthoum. In entrambe le occasioni si rendeva omaggio a un simbolo del passato, in generale, al mito del panarabismo, in particolare. Nel febbraio 2011 piazza Tahrir viene invasa da milioni di persone che chiedono la caduta del regime di Hosni Mubarak. Non si trattava più un triste commiato dal passato, bensì di una volontà di cancellare un passato per una presunta libertà e una presunta democrazia. Il 30 giugno 2013 con la discesa in campo del movimento dei ribelli si è avviato un processo volto ad allontanare Mohammed Morsi, primo presidente post-rivoluzionario, rappresentante dell’ideologia dei Fratelli musulmani. Il 3 luglio, con l’aiuto dell’esercito, è stato infine allontanato un presente deludente e inconcludente con lo sguardo rivolto al futuro.

In piazza non erano presenti solo gli oppositori storici dei Fratelli musulmani, ovvero i liberali, era presente l’Egitto intero fatto di donne velate, cristiani, laici che manifestavano in nome del proprio paese. Cittadini messi in ginocchio dalla crisi economica, dai black-out energetici, dalla mancanza di sicurezza nelle strade, in poche parole dall’impossibilità di vivere una vita normale. Ebbene, forse per la prima volta nella loro storia gli egiziani hanno sperimentato quella che Isaiah Berlin definiva la libertà positiva ovvero “non la libertà da, ma la libertà di”. Quella libertà che non è, come nell’ideologia dei Fratelli musulmani, contrario di schiavitù, bensì deriva dalla volontà dei singoli di prendere in mano le redini della propria vita. Se nel 2011 gli egiziani si sono liberati da Mubarak e dalla sua tirannide, nel 2013 si sono sentiti liberi di cacciare Morsi.

A questo punto si pone la questione del rispetto dell’elezione democratica di quest’ultimo nel giugno 2012. Se è vero che Morsi ha ottenuto più voti rispetto al rivale Shafiq, è pur vero che a vincere è stato l’astensionismo. Se Morsi è stato eletto con più di tredici milioni di voti, la petizione del movimento Tamarrud contro di lui è stata firmata da almeno quindici milioni di egiziani. Il 9 giugno 2009, il presidente americano Obama al Cairo rivolse un discorso al mondo islamico. Qui, affrontando il tema della democrazia, sottolineò che “nessun sistema di governo può o deve essere imposto in una nazione da un’altra nazione” facendo esplicito riferimento all’Iraq, che “tutte le persone desiderano certe cose: la possibilità di esprimere la propria opinione sul modo in cui si è governati, la fiducia nello stato di diritto e nell’equa amministrazione della giustizia, un governo trasparente che non rubi alla popolazione, la libertà di vivere nel modo che si sceglie”. Non solo, Obama sottolineò altresì che “i governi che tutelano questi diritti sono di fatto più stabili, hanno più successo e sono più sicuri. Reprimere le idee non conduce mai al loro allontanamento”. E’ proprio quello che è accaduto in Egitto. Stupiscono quindi le dichiarazioni e le preoccupazioni del presidente statunitense: “Gli Stati Uniti stanno monitorando la situazione estremamente fluida in Egitto e crediamo che il futuro dell’Egitto possa essere determinato in ultima istanza solo dal popolo egiziano. Ciononostante siamo preoccupati dalla decisione delle Forze Armate Egiziane di rimuovere il presidente Morsi e di sospendere la costituzione egiziana.”

Chiunque conosca la storia dell’Egitto contemporaneo e l’ideologia e la concezione della democrazia dei Fratelli musulmani sa perfettamente che l’unico modo per convincere Morsi a lasciare era la forza e la forza in Egitto è sinonimo di esercito. Un’altra novità della nuova, forse della prima vera, rivoluzione egiziana è che l’esercito, fatto che non dovrebbe essere sfuggito a Obama, non ha agito arbitrariamente. Le dichiarazioni del Fronte di Salvezza Nazionale, guidato da al-Baradei, non lasciano adito a dubbi: “Vorremmo confermare che quanto sta accadendo ora in Egitto non è un colpo di Stato, ma una decisione necessaria presa dalla guida delle Forze Armate per proteggere la democrazia, mantenere l’unità e l’integrità della nazione, ristabilire la stabilità e ritornare sul cammino che conduce alla realizzazione degli obiettivi della rivoluzione del 25 gennaio.” A tutto ciò si va ad aggiungere il benestare sia del Grande imam di al-Azhar sia del Papa copto Tawadros II. Il quadro è chiaro: il paese si sta compattando per costruire un futuro che si preannuncia più responsabile e veramente democratico. Nonostante il fermo dei principali esponenti dei Fratelli musulmani, il Fronte di Salvezza Nazionale riconferma il diritto di tutti i partiti politici a esprimersi liberamente, compresi i partiti islamici.

Quanto alla sospensione della costituzione, potrebbe trattarsi di una occasione da non perdere. La sconfitta dei Fratelli musulmani potrebbe fare comprendere ai legislatori l’opportunità di riformare l’articolo 2 della Costituzione che vede l’islam religione di Stato e la sharia come LA fonte principale della legge, mantenendo la prima parte e abolendo la seconda o per lo meno riportandola alla formula, non gradita ai Fratelli musulmani, che vede la sharia una delle fonti della legge.

Riassumendo, quanto accaduto il 3 luglio in Egitto potrebbe essere la Rivoluzione che conduce a uno Stato democratico nel vero senso della parola. D’altronde il sostantivo arabo dawla che indica lo Stato significa “mutamento, capovolgimento” è stato usato per la prima volta a indicare il capovolgimento di potere che portato al passaggio dalla dinastia omayyade a quella abbaside.   Quindi potrebbe diventare la Rivoluzione da esportare, in primo luogo in Tunisia, e diventare un paradigma per il mondo arabo. Non si può certo negare che la strada sia ancora in salita: i Fratelli musulmani e i loro seguaci non molleranno facilmente la presa. Tuttavia è iniziata una nuova epoca per l’Egitto e soprattutto per gli egiziani. E siccome l’economia non è un’opinione, anche il fatto che il 4 luglio la Borsa del Cairo abbia segnato un progresso del 7,3% dell’indice EGX-30 conferma il trend positivo per la terra dei Faraoni.

Fonte: La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – Egitto, adesso (forse) inizia la primavera.

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