ERDOGAN vs PAPA/ Il “sultano” minaccia Francesco, ma i musulmani lo ignorano…

giovedì 16 aprile 2015 – Souad Sbai

La storia non si può cancellare. Non si può deviare e nemmeno mandare indietro come se si riavvolgesse un nastro. Se la parola genocidio è quella riconosciuta e codificata dal diritto internazionale come sistematica distruzione di una popolazione, di una razza, di una comunità religiosa o di una nazionalità specifica, quello ai danni della popolazione armena è stato un genocidio. Nessuna discussione al riguardo. Furono deportati, uccisi, sepolti vivi nella storia, annullati seguendo un preciso piano d’azione.

Perché allora il “sultano” Erdogan, come lo chiamano ormai i cittadini turchi, e il suo governo si sono tanto inalberati verso Papa Francesco e la sua definizione di “genocidio” ai danni della popolazione armena? Perché la fiamma neoimperiale filo-ottomana che da sempre arde nel petto di Erdogan si è risvegliata davanti alle parole del Papa? Tanta è stata la rabbia scatenatasi ad Ankara che addirittura si è arrivati ad accostare la provenienza geografica di Bergoglio, argentina, al fatto che il Paese sudamericano dopo la guerra diede rifugio a molti gerarchi nazisti in fuga. E addirittura a minacciare il Pontefice: “Non ripeta più quell’errore”.

Molto conta, nonostante il governo turco tenti di mistificare la faccenda, il fatto che a breve ci saranno le elezioni e il malcontento verso Erdogan monta sempre più galoppante: la carta del nazionalismo esasperato non poteva non essere giocata in un’occasione così ghiotta, peraltro nemmeno cercata. Peccato che, come spesso accade, la toppa sia peggio del buco, soprattutto perché sta pian piano relegando il governo del “sultano” in un angolo sempre più angusto; il mondo arabo-musulmano sceglie la via dell’indifferenza e non sostiene le reprimende al Papa di Erdogan, del quale ha già imparato a conoscere le mire espansionistiche sui propri territori: non dobbiamo dimenticare l’accoglienza praticamente nulla che ricevette quando, agli albori della primavera araba, compì un viaggio in tutto il mondo arabo per porsi come padre della rivoluzione.

E gli arabi, a differenza degli europei, non dimenticano che dal territorio turco sono passati e continuano a passare i miliziani stranieri che vanno ad unirsi ad Isis in Siria e Iraq. Già, gli europei, le cui classi dirigenti e politiche di governo hanno fatto orecchie da mercante di fronte alle parole di quel Papa Francesco che in molte occasioni avevano fatto mostra di apprezzare. Solo quando ha detto e fatto cose che andavano in una certa direzione, ovviamente.

E l’Onu che fa? Dice che quello armeno non fu un genocidio ma un crimine atroce: allora cos’è genocidio, per gli strateghi dei diritti umani del Palazzo di Vetro? Non certo quello perpetrato in Algeria negli anni 90, dove persero la vita per mano del terrorismo della Jamaa Islamiya quasi 400mila persone, o quello degli yazidi che rischiano lo sterminio totale per mano degli jihadisti di Isis, o quello che stanno subendo i cristiani nel mondo che vengono spazzati via a forza di esecuzioni di massa e fosse comuni e per i quali non esisteranno mai cifre certe a cui aggrapparsi.

Potrei andare avanti citando mille altri esempi e spiegare quanto sia ormai politica ogni considerazione che viene dall’Onu, ridotto a mero notaio delle iniziative belliche di alcune grandi potenze. Tutti hanno paura della Turchia, delle sue reazioni. Tutti, dall’Italia agli Stati Uniti, dove il presidente Obama parla di massacro e non di genocidio degli armeni, hanno voltato lo sguardo dall’altra parte, hanno scelto di non dire e di non esprimersi a sostegno delle parole del Papa, che certo non necessita di altri per difendersi e lo ha dimostrato molto chiaramente.

Lo ripeto ancora una volta, perché in questo caso vale il gioco della chiarezza: se l’Europa vuole al suo interno la Turchia di Erdogan, siamo noi a non voler stare più in quell’Europa. Se ragioni economiche e politiche possono permettere che una nazione e un governo tenacemente negazionisti di fronte ad un genocidio compiuto e storicamente documentato entrino a far parte dell’Unione, allora coloro che voteranno sì all’ingresso turco si preparino a dichiararsi implicitamente corresponsabili di quel genocidio, che con il loro voto scomparirà definitivamente dai libri di storia e dalle coscienze di chi verrà dopo di noi.

E l’Onu che fa? Dice che quello armeno non fu un genocidio ma un crimine atroce: allora cos’è genocidio per gli strateghi dei diritti umani del Palazzo di Vetro? Non certo quello in Algeria negli anni ’90, dove persero la vita per mano del terrorismo della Jamaa Islamiya quasi quattrocentomila persone, o quello degli yazidi che rischiano lo sterminio totale per mano degli jihadisti di Isis, o quello che stanno subendo i cristiani nel mondo che vengono spazzati via a forza di esecuzioni di massa e fosse comuni e per i quali non esisteranno mai cifre certe a cui aggrapparsi. Potrei andare avanti citando mille altri esempi e spiegare quanto sia ormai politica ogni considerazione che viene dall’Onu, ridotto a mero notaio delle iniziative belliche di alcune grandi potenze.

Tutti hanno paura della Turchia, delle sue reazioni. Tutti, dall’Italia agli Stati Uniti dove il presidente Obama parla di massacro e non di genocidio degli armeni, hanno voltato lo sguardo dall’altra parte, hanno scelto di non dire e di non esprimersi a sostegno delle parole del Papa, che certo non necessita di altri per difendersi e lo ha dimostrato molto chiaramente. Lo ripeto ancora una volta, perché in questo caso vale il gioco della chiarezza: se l’Europa vuole al suo interno la Turchia di Erdogan, siamo noi a non voler stare più in quella Europa.

Se ragioni economiche e politiche possono permettere che una nazione e un governo tenacemente negazionisti di fronte ad un genocidio compiuto e storicamente documentato entrino a far parte dell’Unione, allora coloro che voteranno sì all’ingresso turco si preparino a dichiararsi implicitamente corresponsabili di quel genocidio, che con il loro voto scomparirà definitivamente dai libri di storia e dalle coscienze di chi verrà dopo di noi.

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