Eutanasia: la confusione dei sentimenti

 

lunedì 30 giugno 2014

Corte di Assise di Pau, Francia, 24 giugno 2014. Il pm ha appena richiesto 5 anni di carcere per il Nicolas Bonnemaison. Nicolas è un medico che ha volontariamente posto fine alla vita di sette suoi pazienti. “L’ho fatto per compassione”, dichiara. Ha ucciso sette persone? Ha alleviato le insopportabili sofferenze di malati incurabili che non volevano più vivere? Sui media alcuni chiedono l’ergastolo, altri l’assoluzione.
La patata bollente è ora nelle mani della magistratura, mentre sulle pagine dei quotidiani scorre già il fiume di opinioni degli intellettuali di punta della République. Una nuova epidemia di febbre legislativa si diffonde inesorabilmente nel paese, il fronte pro-choix invoca la legalizzazione dell’eutanasia, pronto come al solito a consegnare nelle mani dello Stato un nuovo immenso potere: quello sulla morte.
L’Eliseo ha già istituito una commissione di riflessione. Hollande è favorevole, in teoria il suo programma elettorale del 2012 prevedeva una legge sul fine vita ma, dopo le sberle prese dai milioni di francesi scesi in piazza contro il matrimonio gay, vuole agire con cautela e tastare il polso dell’opinione pubblica.

Nel frattempo, a Reims, Vincent Lambert rischia di morire di fame e di sete. Vincent Lambert è in una situazione simile a quella di Eluana Englaro, per vivere deve essere nutrito. E qualcuno dice che dargli da mangiare e da bere è un accanimento terapeutico, un “irragionevole ostinazione”. Chi lo dice? 117 magistrati riuniti ad hoc. Sono quasi duemila i pazienti nella medesima situazione di Vincent all’interno degli ospedali francesi.

Il testo legislativo di riferimento in Francia è attualmente la Legge Leonetti, del 2005. La legge è semplice e complicata allo stesso tempo: dice no all’eutanasia e no all’accanimento terapeutico; manca però l’affermazione che mai e poi mai gli alimenti somministrati con il sondino (come succedeva per Eluana) possono essere considerati accanimento terapeutico, tantomeno “irragionevole ostinazione”. E in questo spazio vuoto la magistratura (lo Stato) prova ora ad insinuarsi.

Per capire meglio cosa stia succedendo occorre spostarsi in Belgio, paese all’avanguardia, tra i primi ad aver legalizzato l’eutanasia.

Nel 2002 il parlamento belga approva il suo “Codice della morte”. L’eutanasia è illegale, a meno che non ci si trovi in presenza delle seguenti tre condizioni:

1) il paziente che la richiede è in grado di ponderare la sua decisione e manifestare la propria volontà circa l’eutanasia
2) il paziente è in uno stato di sofferenza psicofisica insopportabile
3) il paziente è afflitto da patologia incurabile

Secondo i partigiani della legge, è tutto chiaro:
Philippe Mahoux, capogruppo al senato del Partito Socialista Belga: “Ognuno di noi è padrone della propria vita e ha il diritto di esprimere la propria volontà a riguardo della morte e del dolore”.
Jacqueline Herremans, presidente di ADMD, l’associazione per il diritto a morire nella dignità: “L’eutanasia è un atto di compassione. Ognuno ha il diritto di scegliere come morire. In base alle legge che noi abbiamo promosso, nessuno è costretto a subire o a partecipare ad un eutanasia”.

Ascoltando l’opinione dei politici e delle associazioni che più si sono battute per la legalizzazione dell’eutanasia si ha la netta impressione che la questione sia la seguente: malati terminali, che non hanno altra oltre a quella di continuare a vivere quotidianamente il dolore insopportabile causato da una malattia incurabile, esprimono la volontà di non voler più provare questo dolore, e preferiscono una morte dolce. E la compassione impone di tramutare questa volontà in diritto.

Ma è davvero così? No. Le cose non stanno così.
Basta osservare la realtà di questi ultimi dodici anni in Belgio.

Se leggiamo attentamente la legge, questa parla di pazienti (persone sofferenti che richiedono cure mediche) afflitti da patologie incurabili che causano una sofferenza insopportabile.
Ora, sembrerebbe ovvio il binomio patologia incurabile=malato terminale. Invece, dalle informazioni pubblicate da varie fonti, in Belgio vengono puntualmente “eutanasiate” persone non afflitte da alcuna malattia terminale. Come è possibile? Interpretando la legge, la sofferenza psicofisica è diventata una “semplice” sofferenza psicologica insopportabile, e a quel punto la patologia incurabile diviene – per il “paziente” – la vita stessa.

Coloro che soffrono a livello psichico, che hanno paura del dolore, paura di morire, di soffrire, di perdere il controllo, di perdere autonomia, e di conseguenza paura di perdere la propria dignità, oppure le persone malate, non di malattie terminali ma che impediscono loro di lavorare, di essere attive, autonome. Che fare delle loro richieste di dolce morte?

“Bruxelles, 4 gennaio 2008

Caro signore,

Come sapete, vostra madre voleva morire dignitosamente, tramite eutanasia, senza disturbare nessuno.
Come desideravate, la data della sua eutanasia stessa è rimasta a voi sconosciuta.
Oggi vostra madre è deceduta dignitosamente e serenamente, nel rispetto delle condizioni della legge sull’eutanasia.
Potete utilizzare il formulario allegato per far registrare il decesso. Se desiderate ulteriori informazioni non esitate a contattarmi.
Le più sentite condoglianze.

Questa lettera è arrivata a casa di Marcel de Ceuleneer il 5 gennaio 2008, poche ore prima un’infermiera aveva chiamato dall’ospedale per informarlo della morte di sua madre, Jeanne Werner.
Marcel è un sindacalista, di sinistra, ateo, sostenitore della legge sull’eutanasia.
Sua madre non era afflitta da alcuna patologia incurabile. Era depressa, aveva manifestato più volte la volontà di voler morire al figlio, ma la cosa era sempre rientrata. Questa volta Jeanne è andata all’ospedale e al suo posto è tornata a casa la lettera che ho tradotto testualmente.
Cos’è successo?
Marcel ragiona: “i casi sono due, o si è trattato di eutanasia o di un assassinio. Mia madre non aveva alcuna malattia terminale, quindi secondo me è un assassinio, almeno stando al testo della legge”.
E allora Marcel si rivolge al tribunale.

E arriviamo così al punto secondo. Come si svolge un’eutanasia? Qual è la procedura?
Nel caso di Jeanne Werner, al figlio Marcel è stato mostrato un documento del medico che l’ha praticata, in cui c’è scritto che lui il 4 gennaio l’ha visitata, lei ha chiesto l’eutanasia e lui l’ha fatta. Fine.

Ok, certo, ma chi controlla?

In Belgio esiste una Commissione di Validazione e Controllo dell’Eutanasia.
Una commissione che, appunto, controlla e convalida. Piccolo problema, controlla e convalida ex post, a cose fatte, e sulla base dei soli documenti redatti dal medico stesso che l’ha praticata!
In altre parole lo Stato si accontenta delle autocertificazioni dei medici.
Per chi ancora non avesse capito: nessuno controlla. La commissione si raduna una volta al mese, legge i vari dossier, e per ogni singolo caso il presidente domanda ai membri: qualcosa da obiettare?
Indovinate in dodici anni quanti dossier sono stati deferiti all’autorità giudiziaria? Zero, la commissione non ha mai rinvenuto irregolarità.
“E come potremmo rilevarne?” domanda stupefatto il presidente Marcel Englert. Piccolo dettaglio, oltre la metà dei membri di questo, quantomeno ambiguo, organo di controllo sono anche membri dell’ADMD, l’associazione dei partigiani dell’eutanasia.

E tanti in bocca al lupo a coloro che come Marcel cercano ancora di capire cosa sia successo ai loro cari ormai defunti.

La realtà è evidente, l’eutanasia diventa suicidio assistito. In Belgio dalle cinque alle otto persone al giorno la richiedono e ottengono, mentre il parlamento lavora già per estenderla anche ai minorenni (o meglio ai maggiori di dodici anni), e ormai ci siamo.

Parere ufficiale della Commissione: la percezione della sofferenza dipende anche dai valori, dai principi e dalle idee del paziente.

Il caso di riferimento è quello del celebre scrittore Hugo Claus. Nel 2008 gli viene diagnostico un principio di Alzheimer, lavorare diviene per lui praticamente impossibile. Claus decide che non poter più scrivere significa non poter più vivere. Eutanasia praticata regolarmente. Anche qui, nulla da obiettare secondo la commissione.

Punto terzo: l’alternativa.
Perché in così tanti paesi c’è questa pressione per deviare la funzione della professione medica verso il suicidio assistito?

La sofferenza e il dolore sono cose assolutamente ingiustificabili, su questo non c’è dubbio, il male è il male punto. E va combattuto.
Ma davvero l’eutanasia è l’unico modo, o il modo auspicabile, per combattere il dolore dei malati? No, non lo è. Ci sarebbero in teoria le cure palliative.

Il dottor Sylvain Pourchet, dell’unità di cure palliative dell’ospedale Paul Brousse di Parigi, uno dei più all’avanguardia al mondo nella terapia del dolore, afferma:
“Oggi in Francia solo il 10% dei malati muore in terapia del dolore, una percentuale bassissima, se si considera che le cure palliative possono ormai alleviare con risultati importanti il 90% delle sofferenze causate dalle patologie più pesanti da sopportare. Ogni anno in Francia oltre trecentocinquantamila persone richiedono cure palliative, magari prima e dopo un intervento chirurgico molto pesante, ma di queste oltre il 50% se le vede negate. Noi medici delle unità di cure palliative di tutto il paese ci chiediamo: perché lo Stato non investe un soldo in questa direzione?”.

Una domanda interessante, perché lo Stato si dichiara favorevole a legalizzare l’eutanasia “perché è una questione di compassione”, ma nello stesso tempo non investe nelle cure palliative? Al punto che, continua il dottor Pourchet: “molte delle persone che lavorano accanto ai malati terminali qui al Paul Brousse sono volontari. Persone che dopo il lavoro vengono qui per stare accanto a chi soffre, aiutandoli ad esempio a mangiare. Considerate che un solo pasto può prendere anche più di un’ora di tempo. Lo Stato abbandona le nostre unità di cura”.

Dove sta la vera compassione per quelli che soffrono? Nel curarle e combattere il loro male? O nel consegnare allo Stato l’ennesimo potere al di la di ogni potere?

“Aldilà dell’intelligenza, c’è un’altra legge di vita che domina anche la ragione. È l’affetto per il proprio simile, la difesa del debole, la compassione per quelli che soffrono, e il rispetto senza limitazioni per gli sconosciuti, per coloro che sono lontani, e per coloro che ci sopravviveranno su questa terra.
Oggi, il vero pericolo per l’uomo è nell’uomo… nello squilibrio sempre più inquietante tra la sua potenza che aumenta, e la sua saggezza che regredisce…”
J. Lejeune

Fonti dell’articolo: Francia
– “Euthanasie, la confusion des sentiments”, diretto da Frédéric Jacovlev. Film documentario realizzato da KTO, televisione cattolica francese. Il film è disponibile su youtube.

– lemonde.fr
– lefigaro.fr
– lexpress.fr

Belgio

– http://archives.lesoir.be/-ma-mere-ne-repondait-pas-aux-criteres-pour-etre- euthan_t-20110115-01783D.html

Fonte: Eutanasia: la confusione dei sentimenti.

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