Exodus International la vera storia della sua fine

di Massimo Introvigne

Da qualche settimana in Italia organi di stampa e blog favorevoli alla legge contro l’omofobia e al riconoscimento legale delle unioni omosessuali cantano vittoria e sbandierano come grande successo la chiusura dell’organizzazione protestante statunitense Exodus International, che per anni ha promosso la cosiddetta terapia riparativa, cioè l’aiuto terapeutico offerto a omosessuali che vivono la loro condizione come un disagio e vogliono provare a cambiarla. Il 19 giugno scorso il presidente di Exodus International, Alan Chambers, ha annunciato la fine dell’organizzazione – e la sua trasformazione in gruppo che promuoverà la riconciliazione con il mondo omosessuale – in un messaggio dove chiede scusa alla comunità gay per avere promosso forme di omofobia e le terapie riparative, che ora giudica dannose, e si dichiara anche favorevole all’adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso.

Evidentemente, per gli attivisti gay, questa è la sconfitta finale delle terapie riparative. “Vedete? Lo dice persino Exodus”. Ma le cose non stanno proprio così. Exodus International non era un’associazione o un movimento ma una di quelle che in America si chiamano “umbrella organizations”: una coalizione, che metteva insieme, forniva servizi comuni e promuoveva con campagne pubblicitarie nazionali circa centoventi gruppi che offrivano la terapia riparativa e la loro assistenza spirituale a omosessuali che cercavano di modificare la propria condizione. Le “umbrella organizations” non vivono di vita propria: esistono finché riescono a mettere insieme un numero sufficiente di associazioni che operano sul territorio.

Exodus International ha avuto momenti di grande successo grazie alle sue campagne pubblicitarie nazionali sulla possibilità per i gay di cambiare, ma ha sempre avuto anche qualche problema. Nel mondo protestante americano è stata a lungo accusata di promuovere, a posizioni di leadership, piuttosto rapidamente, persone che si presentavano come omosessuali che avevano cambiato il loro orientamento, senza troppo indagare sul carattere solido o duraturo di certe conversioni. Sono così cominciati per tempo incidenti e infortuni. Uno dei fondatori, Michael Bussee, è stato il primo nel 2007 a pubblicare una lettera di scuse per avere promosso le terapie riparative. Nel frattempo, Bussee – che si era, a suo tempo, sposato – aveva divorziato dalla moglie, aveva ripreso il suo stile di vita omosessuale e aveva anche organizzato una pubblica “cerimonia d’impegno” – il matrimonio omosessuale all’epoca non esisteva ancora negli Stati Uniti – con il suo compagno.

Lo scandalo peggiore aveva riguardato uno dei più popolari portavoce di Exodus, John Paulk. Riconosciuto in un bar per gay di Washington, aveva dapprima negato di essere John Paulk, poi affermato di essere entrato nel bar per errore e infine ammesso di essere lì in cerca di avventure. Escluso da Exodus vi era poi rientrato, e – dentro o fuori dall’organizzazione – ha continuato a mantenere buoni rapporti con il presidente Chambers, che ha preceduto nel 2013 con la solita lettera di scuse per avere promosso le terapie riparative, accompagnata da una chiara dichiarazione secondo cui oggi Paulk è un omosessuale praticante.
Per una qualunque associazione questi scandali sarebbero devastanti, ma per una “umbrella organization” significano semplicemente non potere continuare a esistere. I primi scandali risalgono a venticinque anni fa, ma negli ultimi anni, alle cadute morali, si sono accompagnate cadute teologiche, dal momento che il presidente Chambers ha provato a giustificare i protagonisti degli scandali con vaghi appelli alla misericordia e alla bontà di Dio, che tutto perdona (ma, evidentemente, non tutto giustifica). La più diffusa rivista evangelica americana, Christianity Today – dove Chambers ha tuttora i suoi difensori – ha dato spazio a critiche secondo cui il presidente di Exodus promuove una «teologia antinomica» simile a quella degli antichi gnostici, ed è anche – con le sue tirate contro l’omofobia in interviste a giornali come il New York Times e a trasmissioni televisive – alla ricerca di una facile popolarità “politicamente corretta”.

La stessa Christianity Today, nel corso degli ultimi anni ha anche documentato puntigliosamente come, uno dopo l’altro, i gruppi che aderivano a Exodus se ne siano andati. Nel dicembre 2012 la rivista riportava che «i principali leader e dozzine delle organizzazioni affiliate» erano uscite dalla «umbrella organization», un vero «esodo da Exodus», a causa delle posizioni filo-gay di Chambers e della rinuncia alle terapie riparative. La più grande delle associazioni che aderivano a Exodus International, Desert Stream Ministries, era fra quelle che avevano abbandonato Chambers. I fuoriusciti da Exodus International hanno fondato una nuova “umbrella organization” chiamata Restore Hope Network, divenuta rapidamente più grande di Exodus. C’è anche una certa confusione fra la sigla – che non esiste più – Exodus International e l’altra Exodus Global Alliance, una “coalizione di coalizioni” che operano in numerosi Paesi del mondo a sostegno degli omosessuali che intendono cambiare la loro condizione. Dopo la chiusura di Exodus International, Exodus Global Alliance ha precisato in un comunicato che le due organizzazioni sono indipendenti e che la Global Alliance continua a operare come ha sempre fatto, prendendo semplicemente atto che l’organizzazione americana ne è uscita (ma altre statunitensi ne rimangono parte).

La storia di Exodus International è molto triste, ma non è andata come qualche giornale italiano la racconta. A causa delle debolezze umane dei suoi dirigenti e di una certa approssimazione e imprudenza organizzative, il suo ruolo di “umbrella organization” – che era stato a suo tempo utile – è venuto meno. L’ultimo presidente, Chambers, ha cercato di giustificare il fallimento morale e organizzativo rovesciando le premesse teologiche di Exodus International e abbracciando alcune tesi tipiche delle ideologie omosessualiste. Questo ha portato decine di associazioni che facevano parte di Exodus International ad abbandonarla. Ma non ad abbandonare la loro causa. Queste associazioni continuano a operare indipendentemente da Exodus International, e anche a collaborare tra loro nel nuovo network Restore Hope.
Non bisogna confondere, come ha spiegato Andrew Comiskey, presidente di Desert Street Ministries, il «fallimento di un uomo», Chambers, e dei suoi ambigui amici con il presunto fallimento di un movimento – quello dell’assistenza spirituale e terapeutica agli omosessuali che si sentono a disagio nella loro condizione – che, nonostante l’ostilità dei media e i tentativi di chiuderlo per legge, continua invece a prosperare in tutti gli Stati Uniti.

Fonte: La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – Exodus International la vera storia della sua fine.

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