FAMIGLIA GAY/ Il giurista: dalla Cassazione una sentenza sbagliata e incostituzionale

sabato 12 gennaio 2013

Il padre aveva fatto ricorso contro la decisione del tribunale di Brescia che affidava il figlio alla madre. Lui, di fede islamica, affermava che la donna, una ex tossicodipendente, non avrebbe potuto educare il figlio secondo il suo contesto religioso d’origine, in quanto convivente con un’altra donna, un’educatrice conosciuta in comunità. La Cassazione, con la sentenza n.601, oltre a rilevare gli atti di violenza del padre nei confronti del figlio, ha stabilito che «alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza», ma esclusivamente «il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale». Abbiamo chiesto ad Alberto Gambino, Professore ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile presso l’Università Europea di Roma, come interpretare la vicenda.

Anzitutto, quali le sembrano gli elementi principali? 

Ricapitolando, un bambino, in una situazione di separazione, è stato affidato alla madre, dato che il padre non era idoneo, a causa del verificarsi di situazioni di incompatibilità; sono, ad esempio, menzionati atti di violenza nei confronti del figlio. Nel frattempo, la madre ha iniziato a vivere con una persona dello stesso sesso. Si è posto quindi il problema rispetto alla possibilità che il contesto familiare o parafamiliare nel quale il minore si è trovato a vivere fosse idoneo per la sua formazione e alla sua educazione.

Come si è orientata la Cassazione?

Andando ben oltre al caso specifico e al contenuto sul quale era stata chiamata a pronunciarsi. Mi spiego meglio: si trattava di verificare se la donna, in quanto madre, potesse avere l’affido del figlio in uno stato di separazione, e non se potesse averlo in quanto convivente con una persona del suo stesso sesso. Tale convivenza, anche laddove fosse stata con un’altra persona in situazione di disagio, avrebbe rappresentato una circostanza aggiuntiva; sulla quale, alla Cassazione, non era stato chiesto di esprimersi.

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