di p. José Rebelo e p. Dave Domingues
Nei suoi 40 anni di missione nelle Filippine, ha sperimentato il carcere due volte e ha sfiorato la deportazione e la morte in più di un’occasione. L’anno scorso una nuova sfida: la lotta per ottenere giustizia per l’assassinio di padre Fausto Tentorio.
Presentiamo ampi stralci di un lungo articolo apparso sulla rivista dei Comboniani delle Filippine “World Mission”.
Arrivammo ad Arakan, North Cotabato (Mindanao), alla fine di aprile, a bordo di un camion della Fondazione Padre Pops. Il camion trasportava 110 sacchi di riso destinati al sostentamento delle famiglie povere i cui figli erano stati scelti per un programma di istruzione. Seduti sopra i sacchi, potemmo apprezzare la lussureggiante bellezza della Arakan Valley ma non potemmo fare a meno di respirare la polvere che le ruote sollevavano in abbondanza girando sopra la strada sterrata.
Ci avrebbe ospitato padre Peter Geremia, parroco di Columbio, che stava temporaneamente sostituendo il confratello padre Giovanni Vettoretto, a casa per una breve vacanza. L’alto e magro missionario dagli occhi blu ci stava aspettando. Il suo segno distintivo, il tubao – che indossava dal 1980 per proteggere il capo a seguito di un colpo di sole e, specialmente, per essere facilmente identificato dalla gente del luogo – gli conferiva un aspetto molto elegante.
Fin dal primo istante, questo missionario italiano – con formazione americana – si è dimostrato un buon ascoltatore, affabile e premuroso. La sua fragile corporatura nasconde una forza straordinaria, un coraggio e una determinazione indistruttibili che lo spingono a non retrocedere mai di fronte alle battaglie, anzi, al contrario, ad affrontarle con semplicità e intelligenza (Cf. Mt 10:19). Dopo così tante avventure pericolose, il fatto che sia ancora vivo ha del miracoloso. Lui stesso riconosce: «Finora sono sempre uscito sano e salvo da tanti guai; arrivato tante volte al limite, ma mai eliminato».
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