Francia, Parigi: «Non Charlie, siamo Kouachi» | Tempi.it

gennaio 12, 2015Leone Grotti

In molte scuole di periferia, i giovani non hanno voluto osservare il minuto di silenzio per le vittime. Nelle carceri si gridava: «Allahu Akbar»

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Ieri quasi due milioni di persone a Parigi, e quattro in tutta la Francia, si sono riunite attorno allo slogan “Je suis Charlie”, io sono Charlie. Milioni di persone hanno camminato insieme per condannare l’attentato di Chérif e Said Kouachi, i due fratelli che mercoledì hanno ucciso 12 persone attaccando la sede del settimanale satirico Charlie Hebdo «per vendicare il profeta Maometto». Insieme a loro, è stato condannato anche il gesto di Amedy Coulibaly, che ha ucciso quattro ostaggi ebrei e una poliziotta nella capitale, «istruito dallo Stato islamico».

«SONO I NOSTRI EROI». Non tutti però hanno scandito lo slogan “Je suis Charlie”. Molti, sempre a Parigi, hanno invece preferito “Je suis Kouachi” e “Je suis Coulibaly”. E non sui social network, dove ogni sciocchezza è permessa, ma per le strade del sobborgo parigino di Gennevilliers, dove i giovani francesi Kouachi sono cresciuti e si sono radicalizzati. «Oggi non andiamo a marciare perché i Kouachi sono i nostri eroi locali», dice un ragazzo barbuto sulla ventina al Telegraph. «Oggi celebriamo quello che hanno fatto. Voi siete scioccati, ma ascoltate noi. I miei genitori sono venuti dall’Algeria e noi non abbiamo dimenticato come gli algerini sono stati gettati giù dai ponti di Parigi».

UK-LONDON-FRANCE-CHARLIE-HEBDO-ATTACK-MOURNING«NON CHARLIE, SIAMO KOUACHI». Nell’episodio del 1961, ricordato dal giovane, circa 200 algerini vennero uccisi dalla polizia della capitale. Il giovane franco-algerino, però, non è l’unico a sostenere gli assassini: «Io posso anche non essere d’accordo con la violenza», concede un secondo. «Ma capisco perfettamente perché l’hanno fatto. Noi apparteniamo a questo Paese, parliamo francese, ma qualunque cosa facciamo, saremo sempre estranei. Nessuno ci mostra rispetto». Un terzo giovane grida: «Noi non siamo Charlie. Noi siamo Kouachi!».

MINUTO DI SILENZIO. La forza apparente dei valori di “Liberté, egalité, fraternité” sbandierata in centro a Parigi, nelle periferie perde tutto il suo vigore. Come spiega Marie-Thérèse, che insegna ai ragazzini del quartiere dei fratelli Kouachi: «I ragazzi giovedì non volevano osservare il minuto di silenzio per il massacro di Charlie Hebdo. Molti hanno cominciato a gridare, uno mi ha detto che avrebbe voluto avere un kalashnikov per uccidermi. Io lavoro in una scuola difficile di un quartiere difficile, ma la stessa cosa è successa in molte altre scuole. Tantissimi ragazzi a cui insegno potrebbero essere facilmente radicalizzati».

«ALLAHU AKBAR». Forse lo sono già. Così come lo sono già i detenuti di tante carceri che, secondo il Le Figaro, giovedì hanno osservato in modo particolare il minuto di silenzio: «Allahu Akbar», si è sentito gridare in decine di celle dai detenuti come gesto di sfida verso una République nella quale non si riconoscono.

francia-parigi-blitz-charlie-hebdo«GLI EBREI HANNO PAURA». A non riconoscersi nella Francia non ci sono solo quei giovani che rifiutano di integrarsi, bensì anche quelli che l’hanno già fatto ma si sentono traditi. È il caso degli ebrei, che ieri sono andati in massa a manifestare insieme agli altri. «Marciamo per difendere la libertà di espressione e di stampa ma anche perché non si può avere paura di essere ebrei in Francia», dichiarano al Le Monde Ruben e Rebecca Sabah, 27 e 28 anni.

«MEGLIO IN ISRAELE». La comunità ebraica sfilata da Place de la République a Place de la Nation è d’accordo su un punto: «Se ci fosse stata solamente la presa di ostaggi all’Hyper cacher venerdì, e non l’attentato contro Charlie Hebdo mercoledì, oggi ci sarebbe stata una simile insurrezione repubblicana?», si interrogano Michel e Martine Zeitoun. «La risposta è no. E l’abbiamo già visto: i francesi non si sono mobilizzati così dopo gli attentati di Tolosa perpetrati da Mohamed Merah (il franco-algerino musulmano che uccise tre paracadutisti e tre bambini ebrei, ndr)».
Brigitte Lévy, 56 anni, denuncia l’antisemitismo che serpeggia nel Paese e parla della possibilità di andarsene: «Non riconosco più la Francia. Sono francese da tante generazioni, ma non so se restare o andarmene. In Israele c’è la guerra, ma sarei più protetta. In Francia il governo è troppo lassista, ha lasciato che certe cose accadessero».

@LeoneGrotti

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