Grazie all’UAAR l’ateismo diventa una religione | UCCR

E finalmente l’UAAR ce l’ha fatta, dopo anni di tentativi per farsi riconoscere come una “confessione religiosa”, così come si sono autodefiniti loro, la goliardica associazione da 4000 atei italiani ha trasformato ufficialmente l’ateismo in una religione (lo era già, molti diranno).

La Cassazione ha infatti respinto il ricorso con il quale la Presidenza del Consiglio voleva escludere “l’ateismo organizzato” dal diritto alle intese con lo Stato, regolamentato dall’articolo 8 della Costituzione, previsto solo per le confessioni religiose diverse da quella cattolica. Spetterà ora al Tar Lazio stabilire se l’ateismo è una religione e l’UAAR una confessione religiosa, come si autodefinisce. Il giurista Francesco Margiotta Broglio ha ironizzato: «comunque è tutto già pronto: una Dea, la “Ragione”, una festa nazionale, il XX settembre, un Santo, Giordano Bruno da Nola, da festeggiare il 17 febbraio. Piazza Campo de’ fiori attende!». Mentre Giuliano Amato, noto laico, ha chiaramente espresso la sua perplessità: «spero proprio che l’Uaar rappresenti- come mi pare- una minoranza davvero esigua dei non credenti in Italia».

Non capiamo però lo stupore, è da tempo che parliamo dei disperati tentativi dell’UAAR pur di accaparrarsi l’8×1000 (è sempre una questione di soldi, alla fine) e poter avere l’ora di ateismo nelle scuole, anche sacrificandosi ad equipararsi ad un gruppo di fedeli religiosi che fanno parte di una confessione religiosa. Lo dicono loro stessi: «l’UAAR si interpreta come religione» e «l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto dalla religione». L’UAAR vorrebbe che anche si riconoscesse, da tale intesa con lo Stato, il «soddisfacimento del bisogno religioso dell’ateo», il quale «si manifesta nella critica alle religioni». Aspira dunque a «vantaggi non sol­tanto morali, ma anche concreti», ad esempio «vantaggi di tipo patrimoniale (attribuzione dell’otto per mille del gettito IRPEF, deducibilità del­le erogazione liberali dei fedeli) e non patrimoniali (ac­cesso al servizio radiotelevisivo pubblico e riserva di frequenze; insegnamento dottrinale su richiesta nelle scuo­le pubbliche)».

Un clamoroso autogol, l’ennesimo, perché introduce una ambiguità insanabile nei loro obiettivi: come possono combattere la presenza pubblica della religione se loro stessi, -confessione religiosa che pratica una religione-, si affannano per essere riconosciuti pubblicamente come tale (dopo circa 25 anni di militanza faticano ad essere perfino citati sui quotidiani!)? Se riusciranno nell’impresa sarà fin troppo facile mostrare la loro contraddizione strutturale. 

Volendo spezzare una lancia a favore degli esaltati dell’UAAR, occorre dire che dobbiamo essere veramente grati a loro. Se non era per Carcano&CO ci sarebbe stato un vuoto legislativo circa la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche ed invece la Corte Europea ha chiaramente affermato che esso non lede la laicità creando un ottimo precedente (già sfruttato in altri Paesi) per la presenza pubblica di simboli religiosi. Sempre a causa di questa loro iniziativa, migliaia di crocifissi sono stati appesi anche nelle aule scolastiche che ne erano sprovviste, per una sorta di reazione popolare.

Ma non è finita: sempre grazie ai nostri amici uaarini, a cui siamo anche debitori per l’ispirazione di questo sito web, oggi i rappresentanti religiosi possono visitare le scuole pubbliche senza che nessuno possa dire nulla. Infatti, avendo perso un ricorso contro il vescovo di Grosseto, il Consiglio di Stato ha deliberato che un vescovo ha tutto il diritto di incontrare i ragazzi in aula e questo non è «in contrasto con le garanzie di autonomia culturale e libertà di culto» sancite dalla Costituzione e che, anzi, è una «testimonianza sui valori» che fondano «l’esperienza religiosa e sociale di una comunità». Si è trattato del primo pronunciamento in tale direzione e dunque ha definito un orientamento preciso di cui si dovrà tenere conto in futuro.

La nostra gratitudine all’UAAR è giustificata anche dal fatto che senza il loro finanziamento alla “Seconda Sindone” realizzata da Luigi Garlaschelli del Cicap, con l’intento di dimostrare che quella autentica è in realtà un artefatto riproducibile utilizzando materiali a disposizione nel Medioevo, oggi qualcuno potrebbe avere ancora il dubbio che potesse essere così. Invece, il loro fallimento più totale ha dimostrato proprio l’esatto opposto, come ha affermato, proprio su questo sito web, il dott. Paolo Di Lazzaro, primo ricercatore dell’ENEA di Frascati che ha verificato l’impossibilità a riprodurre l’immagine sindonica usando i più potenti laser oggi a disposizione: «grazie a Garlaschelli e ad altri ricercatori oggi possiamo affermare che l’origine grafica non è la strada giusta».

Se l’UAAR riuscirà davvero a farsi riconoscere come gruppo di fedeli aderenti ad una confessione religiosa, gli atei, quelli seri e slegati ad associazioni folkloristiche, dovranno per forza riconoscere che chi voleva eliminare le religioni dallo spazio pubblico altro non ha fatto che rendere la società ancora più multireligiosa. Alla faccia di Piergiorgio Odifreddi (che si è guardato bene dal commentare la notizia).

La redazione

Fonte: Grazie all’UAAR l’ateismo diventa una religione | UCCR.

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