Habermas. Quanta religione sopporta lo stato liberale? | Cultura | www.avvenire.it

Dopo l’elezione del primo Presidente egiziano democraticamente eletto l’articolo di prima pagina della “Süddeutsche Zeitung” del 26 giugno così intitolava: «Mohammed Mursi aiuta l’Islam politico a fare il suo più grande trionfo rifiutando i valori occidentali». In quale prospettiva si parla di “valori occidentali”? Una cultura è portatrice di valori come libertà e pace, uguaglianza e timore di Dio secondo un ordine di priorità differente da quello di un’altra cultura. Se Mursi seguirà la linea dura dei Fratelli musulmani o, di fatto, sarà un presidente di tutti gli egiziani, quindi anche degli sciiti, dei copti e dei laici, dipenderà tra l’altro dal fatto se egli considererà la libertà di religione e gli altri diritti fondamentali di una costituzione liberale solo come valori o anche come princìpi. Infatti bisogna ammettere che i princìpi razionalmente fondati richiedono una sensibilità al contesto di applicazione ma, secondo la loro pretesa, essi valgono per tutti e inoltre non hanno nemmeno prima facie un rapporto di tensione con i “valori” di altre culture. Anche in Occidente, le basi di legittimità secondo il diritto naturale del potere politico furono inizialmente intrecciate con la comprensione della struttura del kósmos e della pólis, con le rivelazioni di un Dio che redime o con i pensieri di Dio oggettivati nella creazione. Solo il moderno diritto di ragione ha tolto il peso delle motivazioni metafisiche e religiose di queste concezioni globali a quei princìpi che hanno acquisito validità positiva nelle rivoluzioni costituzionali del XVIII secolo.

Da questa visione limitatamente antropocentrica la democrazia e i diritti umani costituiscono per le società moderne i due pilastri reciprocamente interconnessi del potere politico. Nel corso di un progressivo decentramento dalla comprensione di se stessi e del mondo, persone libere ed eguali devono trovare ciò che è altrettanto buono per ciascuna di esse. Questo spaiamento concettuale del giusto dal bene ha reso indipendenti i concetti di legittimità dalla costruzione del mondo o dalla storia nel suo complesso, rendendo possibile in questo modo l’idea di un potere secolarizzato dello stato. In Occidente è stata più o meno realizzata un’adeguata separazione istituzionale tra Stato e religione sotto forma di accordi molto diversi di diritto canonico.

Società civile non secolarizzata

Ma la secolarizzazione del potere dello Stato non significa per questo secolarizzazione della società civile – negli Stati Uniti dagli inizi essa non ebbe questa intenzione. Questa circostanza pone i cittadini credenti in una situazione paradossale. Le costituzioni liberali garantiscono a tutte le comunità religiose (tenendo conto della libertà negativa di religione) lo stesso spazio e, nello stesso tempo, proteggono gli enti dello Stato, che accolgono le decisioni come collettivamente vincolanti, dalle interferenze politiche da parte di singole comunità religiose più potenti. Ne consegue che le stesse persone, che sono espressamente autorizzate a praticare la loro religione e a condurre una vita pia, nel loro ruolo di cittadini dello stato devono partecipare a un processo democratico, il cui risultato deve essere mantenuto libero da qualsiasi additivo religioso. La risposta che dà il laicismo, è insoddisfacente.

Le comunità religiose, nella misura in cui nella società civile svolgono un ruolo vitale, non possono essere bandite dall’ambito politico pubblico e costrette nella sfera privata, perché una politica deliberativa dipende dall’uso pubblico della ragione così come i cittadini credenti e non. Se la stridente polifonia delle sincere opinioni non va soppressa, i contributi religiosi a questioni moralmente complesse come l’aborto, l’eutanasia, l’intervento prenatale nel corredo genetico ecc. non deve essere tagliato alla radice del processo decisionale democratico. Cittadini e comunità religiose devono rimanere liberi di essere rappresentati in quanto tali nell’ambito pubblico, di fare uso di un linguaggio religioso e di usare argomenti corrispondenti. In uno Stato secolare essi devono anche accettare che il contenuto politicamente rilevante dei loro contributi sia tradotto in un discorso accessibile a tutti e indipendente dalle autorità religiose, prima di poter trovare l’accesso alle agende degli organi decisionali dello Stato. Va introdotto, in un certo qual senso, un filtro tra le correnti di comunicazione selvagge dell’opinione pubblica, da un lato, e le delibere formali che conducono a decisioni collettivamente vincolanti, dall’altro.

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