Halloween? no grazie! siamo cristiani! | Da Porta Sant’Anna

Contributors | 23 ottobre, 2014

Ritorno a forme di neopaganesimo? Un culto esoterico? O una penosa parodia della religiosità cristiana autentica? Ecco come interpretare questo fenomeno in continua crescita. Grandi zucche forate illuminate dall’interno; scheletri e cupe figure incappucciate; risate agghiaccianti e un ritornello ossessivo: dolcetto o scherzetto? Tutto questo è Halloween, una moda, una festa, una nuova consuetudine che si è imposta negli ultimi anni, grazie alla persuasività di cinema e televisione, dopo il pionieristico lavoro fatto da parte dei fumetti (ricordate Linus in perenne attesa del Grande Cocomero, tra la scettica perplessità di Snoopy?). Ormai Halloween è entrata perfino nel mondo della scuola: non pochi sono gli istituti scolastici (elementari, soprattutto, ma anche medie e superiori) dove gli insegnanti fanno festa insieme ai bambini, tra giochi e disegni. Da più parti, di fronte al crescere di questo fenomeno, si è cominciato a manifestare una certa preoccupazione, e non senza ragione. Ormai tra i bambini, i giovani e a livello mass mediatico popolare, Halloween sta soppiantando la festività cristiana di Ognissanti. Il 1 novembre, quando è ricordato nell’accezione cristiana dai mezzi di comunicazione, è praticamente confuso con la festività dei defunti, che cade in realtà il giorno dopo. C’è chi vede in Halloween un ritorno a forme di “paganesimo”, e chi invece un rito folkloristico e consumistico, una specie di innocuo carnevale fuori stagione. Vale dunque la pena cercare di comprendere questo fenomeno in progressiva crescita. Innanzitutto il nome: Halloween è la storpiatura americana del termine – in inglese di Irlanda – All Hollows’ Eve: la vigilia di Ognissanti. Halloween quindi parte da una ortodossa festa cattolica, e finisce per storpiarla in una brutta parodia del sacro.

Una deformazione che comincia linguisticamente, facendo sparire quella bella parola irlandese che indica la santità, Hollow. L’Irlanda, si sa, è terra di santi fin dal Medioevo, di missionari, di monaci. In essa la santità cristiana era tenuta in grande considerazione fin dal suo primo evangelizzatore, San Patrizio, e la festività di tutti i santi era andata a sostituirsi a quella che era la più importante celebrazione del mondo celtico pre-cristiano: Samain, o Samonios. L’anno celtico era calcolato in lunagioni, e le stagioni fondamentali erano solamente due: l’inverno, che iniziava intorno allo novembre per terminare all’incirca il 10 maggio, e l’estate, che andava dallo maggio al 1 o novembre: ad esse erano dedicate le quattro grandi feste religiose: Samain (1 novembre) rappresentava la fine dell’estate ed inizio dell’inverno: era la prima notte dell’ anno nuovo, il Capodanno celtico. Rappresentava un rito di passaggio da una stagione all’altra, evento frequente in molte culture antiche, i cui ritmi di vita erano profondamente legati a quelli della natura, sia nel caso dei popoli pastori, che nel caso dei popoli contadini. Samain era particolarmente importante essendo l’inizio di un periodo cruciale per la sopravvivenza della comunità, caratterizzato dalla semina dei campi e la protezione del bestiame, ed è comprensibile perché nella cultura celtica ciò fosse collegato al culto dei morti: durante la stagione invernale la vita sembra tacere, mentre in realtà si rinnova sotto la terra, dove tradizionalmente riposano i morti.

Le altre estività sacre dell’anno celtico erano poi costituite da Imbolc (1 febbraio), festa lustrale di purificazione fecondazione, consacrata alla dea Brigit, sostituita poi in Irlanda da Santa Brigida e in tutta la ristianità dalla Festa della Candelora; Beltane (1 maggio), festa di mezzo dell’anno e inizio dell’estate; ugnasad (1 agosto), ovvero il Matrimonio di Lug, la principale divinità celtica, di carattere solare. Samain era quindi lo spartiacque fra un anno agricolo e l’altro, e questa data rimase particolarmente ignificativa non solo in Irlanda, ma in tutta quella vasta area dell’Europa che aveva visto il fiorire della iviltà celtica. Nel folklore padano esiste un proverbio che recita: “Per Ognissanti siano i grani seminati i frutti rincasati”. Era un momento troppo importante nella vita di uomini e comunità per rimanere straneo ad una evangelizzazione che coglieva quanto di buono vi fosse nella sacralità antica, iconducendola al messaggio salvifico di Cristo.

Così l’episcopato franco istituì nell’VIII secolo la Festa i Ognissanti: il principale promotore di tale iniziativa fu Alcuino di York, monaco sassone di formazione rlandese, che era uno dei più autorevoli consiglieri di Carlo Magno. Egli, che ben conosceva le forme i religiosità precristiana delle isole britanniche, sapeva quanto fosse stata importante per le opolazioni dell’area celtica la festa di Samain, e quanto fosse necessario cristianizzarla, sottolineando ‘aspetto della santità e della comunione dei santi, legame tra le generazioni di cristiani, dei presenti e i coloro che ci hanno preceduti. Questa felicissima intuizione teologica ebbe seguito: pochi anni dopo l’imperatore Ludovico il Pio, su richiesta di papa Gregorio IV, ispirato a sua volta da consiglieri come il vescovo di Fiesole, il issionario irlandese Donagh (conosciuto in seguito come San Donato di Fiesole), estese tale festa a utto il regno franco. Ci vollero tuttavia ancora diversi secoli perché la festività di Ognissanti divenisse obbligatoria in tutta la hiesa Universale, grazie al pontefice Sisto IV nel 1475. Nel Medioevo, inoltre, il periodo di inizio novembre in cui si celebrava Ognissanti, seguita – e per così ire completata dalla festività dei defunti, aveva il suo termine e coronamento con la festa di San Martino, l’11 novembre, che fu festa di precetto per tutta l’età di mezzo. Un santo, Martino, caro a tutte le popolazioni dell’Europa occidentale, e in tale data, che rappresentava una sorta di capodanno, si stipulavano i nuovi contratti e si traslocava (“far Sanmartino”, si dice ancora in Lombardia).

Come è potuto accadere che una tradizione plurisecolare cristiana abbia potuto diventare l’attuale rottesca carnevalata in stile horror? Il fenomeno Halloween è tutto americano: quell’America dove giunsero milioni di emigrati irlandesi con la loro profonda devozione per i santi, un culto oltremodo fastidioso per la cultura dominante di derivazione puritana, che nella sua attuale versione secolarizzata ha deciso di scartare il senso cattolico di Ognissanti, trattenendo nella cosiddetta Halloween l’aspetto lugubre dell’aldilà, con i fantasmi, i morti che si levano dalle tombe, le anime perdute che tormentano quelli che in vita arrecarono loro danno: un aspetto che si tenta di esorcizzare con le maschere e gli scherzi. Dagli schermi di Hollywood e dalle irrequiete città americane la brutta messinscena di Halloween è arrivata così da qualche anno nella vecchia Europa: non una forma di neo paganesimo, non un culto esoterico, ma solo una penosa parodia della religiosità cristiana autentica, a fini unicamente consumistici: vendere un po’ di prodotti carnevaleschi in più, (il cosiddetto merchandising di Halloween) e spazi pubblicitari nei film dell’orrore mandati sulle reti televisive. A tutto ciò si può e si deve contrapporre tutto il patrimonio di fede, cultura – e perché no? – di folklore della Chiesa: dalla liturgia alla preghiera di suffragio, dalle visite ai cimiteri ai dolci tradizionali (come “le ossa dei morti”): faremo riscoprire a noi e ai nostri figli assediati dalle immagini horror delle zucche e degli scheletri tutta la bellezza della nostra tradizione millenaria e della nostra Fede.

Paolo Gulisano

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