I FATTI DI BENGASI E LA REAZIONE AMERICANA. LACRIME DI COCCODRILLO?

“Li abbiamo liberati, ci hanno traditi”.Questo, racchiuso in un titolo virgolettato del “Corriere della Sera” del 13 settembre 2012, è in sostanza il commento del segretario di Stato americano Hillary Clinton alla notizia dell’uccisione, a Bengasi, in Libia, dell’ambasciatore degli Stati Uniti Chris Stevens e di tre membri della sua delegazione l’11 settembre 2012, l’undicesimo anniversario dell’attacco di al Qaeda alle Torri Gemelle di New York.L’assassinio dei quattro diplomatici americani è avvenuto nel corso di un attacco di un commando di miliziani islamici al consolato generale degli Stati Uniti, a Bengasi.L’assalto pare sia stato provocato dalle proteste dei fedeli musulmani indignati per un film su Maometto intitolato “L’innocenza dei musulmani” ma, in realtà, sembra sia stato preparato da tempo da al Qaeda per celebrare, a suo modo, l’anniversario dell’11 settembre.Che si tratti di un’estemporanea protesta contro l’ennesima, stupida, provocazione anti-islamica, oppure di un atto a lungo pianificato, poco importa.Perché la cosa importante di questi avvenimenti è che essi dimostrano la scarsa lungimiranza di alcuni ambienti politici e diplomatici americani, la cui influenza diviene, a volte, come in questa occasione, preponderante.L’assalto al consolato di Bengasi ricorda, in un certo senso, quello all’ambasciata americana di Teheran, nel 1979.In Iran l’America, come pure altri paesi occidentali, tra cui la Francia, che diede asilo a Khomeini, allora si illuse che il ricambio politico nel paese che una volta, con un nome più fascinoso ed evocativo, si chiamava Persia, avrebbe generato nuovi equilibri geostrategici più favorevoli all’Occidente nell’importante scacchiere medio orientale, portando, tra l’altro, la democrazia.

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