I mai nati danno fastidio più dei vivi

di Tommaso Scandroglio

Alcuni fanno parlare di sé più da morti che da vivi. E non si tratta di persone famose, anzi sconosciutissime. Si tratta dei bambini abortiti. La cronaca recente ci conforta nel sostenere questa ipotesi: Matteo Renzi approva una delibera dove si dispone che una parte del cimitero comunale di Trespiano, una frazione di Firenze, sia destinata all’inumazione dei bambini non nati.

Lidia Ravera, assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili della regione Lazio, si imbufalisce e tramite post pubblicato sull’Huffington Post, un blog affiliato al gruppo L’Espresso, non le manda a dire al sindaco di Firenze: «si tratta del cimiterino dei non nati, del diritto di seppellire grumi di materia, chiamandoli bambina e bambino”. La Ravera è ancora ferma all’idea preistorica e antiscientifica che il feto sia un ammasso di cellule».

Poi continua: «È uno splatter che ritorna sugli schermi della politica con inquietante regolarità. Il copione è sempre lo stesso: una compassionevole aggressione delle mamme mancate. Tutte quelle donne che, poiché il corpo ha le sue insondabili leggi, non sono riuscite a portare a termine il loro dovere di animali al servizio della specie». Dopo l’insulto ai figli tocca alle madri. Anche qui la Ravera non riesce ad abbandonare lo stereotipo femminista che vuole la maternità come un errore di natura, un brutto handicap fisiologico delle donne.

Naturalmente l’occasione è buona per dire ancora una volta che il totem della 194 non si tocca: «Sarebbe una delle tante crociate del superfluo, se non fosse, sempre più chiaramente e tristemente, una delle tappe simboliche più subdole ed efficaci della battaglia per la trasformazione della legge 194 in carta straccia». Da una parte è curioso che si tiri in ballo la 194: la sepoltura dei bambini abortiti volontariamente c’è proprio perché esiste la 194 che permette l’aborto. La Ravera non vuole più vedere questi cimiteri da splatter? Si batta per l’abrogazione della 194. Dall’altra l’assessore alla cultura ha compreso bene l’effetto dinamitardo per le coscienze di tutti: seppellire è un gesto adeguato solo alle spoglie mortali di una persona, non di un grumo di cellule. Quella lapide testimonia a tutti che si è perpetrato un omicidio.

Poi la Ravera parte per la tangente e tira in ballo i soliti cliché che nel caso presente c’entrano come i cavoli a merenda: i medici obiettori, il maschio sfruttatore e ignaro delle sofferenze delle donne, etc. «Ci ha pensato il simpatico Renzi – domanda l’assessore – mentre la sua giunta approvava la delibera in materia di sepolture e gravidanze interrotte? Ha pensato per un attimo che, in Italia, nascosta dietro la foglia di fico del “problema di coscienza” una percentuale elevatissima di ginecologi, rifiuta di eseguire il proprio dovere medico, nonché di ottemperare ad una legge dello Stato? Ha provato a immaginare che cosa vuol dire per una ragazza, per una donna, che non si sente pronta a diventare madre, dover aspettare, cercare, bussare ad altri ospedali, mentre i giorni passano e l’operazione da dolorosa diventa pericolosa? No, non lui. Nessun uomo sa, nessun uomo riesce a immaginare».

Infine una mazzata anche a quelle donne che avrebbero tanta voglia almeno di piangere sulla tomba del loro piccolo che hanno abortito: «Chi, invece, in buona fede, pensa di procurare sollievo alle non-mamme, mandandole a piangere davanti a un quadratino di terra smossa, sappia che non è così. È una forma di sadismo di Stato. Un’ingerenza intollerabile. Oltreché una palese buffonata». Insomma non c’è pietà per nessuno, né per i morti né per i vivi.

Di simile tenore sono anche le parole del consigliere comunale fiorentino Tommaso Grassi: «è solo un perverso scivolamento verso il macabro, […] l’equiparazione dei feti a cittadini che sono stati e non ci sono più».

Ma davvero Matteo Renzi l’ha fatta così grossa? In realtà no. La pratica del seppellimento dei bambini non nati a Trespiano è cosa vecchia essendo attiva dal 1996: 1.019 sepolture da allora. La delibera del primo cittadino di Firenze non fa altro che aggiornare un regolamento del 1996 che già prevedeva questa possibilità in ottemperanza a quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 285/1990. Questo decreto stabilisce che i feti abortiti volontariamente o spontaneamente superiori alle 28 settimane di gestazione debbano ricevere degna sepoltura. Nel caso in cui il feto abbia un’età gestazionale inferiore alle 28 settimane, se i genitori entro le 24 ore non provvedono alle esequie, ci pensa l’ospedale a buttare il feto nei rifiuti ospedalieri speciali, insieme ad arti amputati e pezzi di intestino che finiranno in un sacco destinato all’inceneritore. Questo sì è che splatter. Però per fortuna esistono meritorie associazioni di privati, come l’Associazione Difendere la Vita con Maria, che evitano questo ulteriore sfregio alla dignità dei bambini realizzando convenzioni ad hoc con le aziende ospedaliere per prelevare i resti mortali dei bambini non nati e dare loro adeguata sepoltura.

Il tema del seppellimento dei feti abortiti tocca i nervi scoperti degli amanti della morte pre-natale per una ragione evidente: laddove c’è una tomba, ci dicono gli antropologi, lì c’è una civiltà. E laddove c’è una tomba lì sotto c’è una persona. Negare le esequie è perciò disconoscere al defunto lo status di persona e cittadino. Ce lo ricorda Antigone la quale decide, contro la volontà del nuovo re di Tebe Creonte, di dare degna sepoltura al fratello Polinice. Creonte, negando la sepoltura a quest’ultimo, voleva privargli il riconoscimento di essere uomo al pari di tutti. Insomma, come si diceva all’inizio, alcune persone danno più fastidio da morte che da vive.

Fonte: I mai nati danno fastidio più dei vivi.

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