I Patti Lateranensi, al di là degli sfoghi anticlericali | UCCR

La conquista di Roma da parte delle truppe sabaude nel 1870 scatenò un conflitto tra Chiesa e Stato destinato a durare per più di mezzo secolo. Da un lato, la gerarchia vaticana con a capo Pio IX, seppur non ostile all’indipendenza dell’Italia, non era intenzionata a cedere il suo territorio che gli era stato trasmesso dai suoi predecessori per oltre un millennio, mentre dall’altro nonostante la formale politica di separazione tra Chiesa e Stato, il governo italiano aveva introdotto una serie di normative fortemente anticlericali.
Tuttavia entrambe le parti erano coscienti che la storia del papato era strettamente legata a quella dell’Italia e se vi furono episodi di gravi scontri come durante il trasporto della salma di Pio IX o la costruzione della statua dedicata a Giordano Bruno, non mancarono tentativi di mediazione per giungere ad un accordo. Questi accordi erano tuttavia destinati a fallire, ma verso l’inizio del ’900 si assistette alla nascita di un progressivo avvicinamento dei cattolici nella vita politica del paese (patto Gentiloni, nascita del partito popolare, ecc.). La Conciliazione sembrava farsi vicina nel 1919: durante i trattati di pace a Parigi, Vittorio Emanuele Orlando incontrò un prelato della Santa Sede, Monsignor Bonaventura Cerretti che propose che l’Italia concedesse l’indipendenza e la sovranità alla Città del Vaticano. Proposta che ebbe l’assenso di Orlando, ma che venne bocciata dal re Vittorio Emanuele III notoriamente anticlericale. Errore che Benito Mussolini ebbe l’accortezza di non fare.

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