I ribelli siriani nelle mani del Qatar e dei sauditi | La Nuova Bussola Quotidiana

di Gianandrea Gaiani 22-10-2014

Che siano “ribelli” non c’è alcun dubbio dopo oltre tre anni di guerra contro il regime di Damasco che insanguina la Siria con oltre 200 mila morti: il dubbio semmai è che si tratti davvero di “siriani” considerato come ogni movimento che combatte Bashar Assad sia ormai composto da moltissimi miliziani stranieri e risulti di fatto gestito direttamente da Arabia Saudita e Qatar.

Entrambi i Paesi del Golfo insieme a Kuwait ed Emirati Arabi Uniti hanno finanziato e armato direttamente o indirettamente lo Stato Islamico e il Fronte al-Nusra, emanazione di al-Qaeda in Siria. L’altra grande formazione militare presente nella fila dei ribelli “siriani”, l’Esercito dell’Islam che è il braccio militare dell’organizzazione politica Fronte Islamico composto da 11  gruppi salafiti, è sorretto sul piano politico, finanziario e militare dall’Arabia Saudita. Resta la Coalizione Nazionale Siriana (CNS) che raggruppa i cosiddetti “moderati” con i gruppi politici e le milizie vicine ai Fratelli Musulmani, ai laici e a quel che resta dell’Esercito Siriano Libero, la forza composta da disertori dell’Esercito di Assad che per prima prese le armi in modo organizzato contro il regime e che ha visto progressivamente molte sue brigate aderire alle formazioni islamiste.

Dopo settimane di discussioni e litigi la scorsa settimana l’assemblea del Cns ha nominato il premier di quello che pomposamente viene definito il governo dell’opposizione siriana. Si tratta di Ahmad Tohmé, esponente dei Fratelli Musulmani sostenuto dal Qatar, riconfermato nell’incarico di premier dopo un braccio di ferro fra lo stesso Qatar e l’Arabia Saudita, acerrima nemica dei Fratelli Musulmani che sosteneva invece Walid Zohbi, già ministro dell’Agricoltura del gabinetto uscente.

Tohmé era stato rimosso nel luglio scorso dall’assemblea generale del Cns su iniziativa dei gruppi sostenuti da Riad  ma è stato riconfermato dopo cinque giorni di riunioni conclusesi con un accordo solo dopo che il Qatar “ha chiaramente fatto sapere all’assemblea generale che se Tohmé non fosse stato eletto il suo sostegno finanziario alla coalizione sarebbe cessato” come ha riferito un membro dell’Assemblea. La stessa minaccia era stata però formulata dai sauditi in caso di vittoria del candidato sostenuto da Doha. La Coalizione dell’opposizione siriana è riconosciuta da numerosi Stati, inclusi Usa, Gran Bretagna e Francia, come l’unica rappresentante legittima dei siriani, ma militarmente controlla solo pochi brandelli di territorio siriano e politicamente è divisa a causa della rivalità tra i suoi sponsor-padroni di Doha e Riad.

Il 14 ottobre l’emiro del Qatar, sceicco Tamin Ben Hamad al Thani, è stato ricevuto a Gedda dal re saudita Abdullah per discutere di “cooperazione bilaterale” ed è probabile che in quel summit sia stato trovato un compromesso per la nomina del capo del governo espresso dalla Coalizione che resta comunque presieduta dal filo saudita Hadi al Bahra così cone un altro filo saudita, Ahmad Jarba, è presidente del governo d’opposizione siriano.

La “lottizzazione” dei posti tra Qatar e Arabia Saudita legittima i proclami di Damasco con cui il regime di Assad sostiene che la sua caduta lascerebbe la Siria in  mano agli stranieri e in particolare alle stesse monarchie del Golfo che sostengono i gruppi islamisti più radicali. Dopo le immagini dei miliziani dello Stato Islamico che conquistano l’Iraq settentrionale imbracciando le armi croate comprate dai sauditi per i “ribelli moderati” siriani, negli ultimi giorni sono emersi dettagli circa i missili antiaerei di costruzione cinese FN-6 con cui i miliziani del Califfato hanno abbattuto alcuni elicotteri siriani e iracheni.

Questi missili vennero forniti l’anno scorso dal Qatar ai ribelli siriani per aiutarli a contrastare i jet e gli elicotteri delle forze di Damasco. Non è chiaro a quali milizie siano stati forniti i missili ma è probabile che si tratti di quelle legate ai Fratelli Musulmani (movimento sostenuto dal Qatar) le cui brigate sono confluite in gran parte nello Stato Islamico o nel Fronte al-Nusra come hanno fatto la gran parte delle unità combattenti dell’Esercito Siriano Libero. Gli FN-6 non sono stati però gli unici sistemi missilistici antiaerei portatili forniti ai ribelli siriani che hanno ricevuto anche missili Stinger prodotti in Turchia e veicolati in Siria con il via libera della Cia. Armi in parte finite nelle mani dello stato islamico a conferma che il programma messo a punto da Washington con l’Arabia Saudita per addestrare in Giordania altri 5 mila combattenti (ovviamente “moderati”) che dovrebbero poi combattere contro il Califfato rischia di arenarsi ancor prima di prendere il via o di risultare in ogni caso ben poco credibile.

Del resto a scoraggiare nuove traballanti iniziative a sostegno di formazioni ribelli siriane ha provveduto un recente rapporto della Cia che dimostra come la strategia di armare i ribelli abbia raramente dato dei successi. Di fatto in 67 anni di attività a sostegno di gruppi insurrezionali dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti non hanno quasi mai conseguito successi. Dall’Angola al Nicaragua a Cuba, i tentativi di armare forze straniere hanno avuto spesso un impatto minimo sull’andamento dei conflitti. Lo studio è arrivato alla conclusione che questi tentativi sono stati ancor meno efficaci quando le milizie hanno combattuto senza un diretto sostegno delle forze americane sul terreno, come in Siria. Un’eccezione è stata quella del programma di addestramento dei mujaheddin che hanno combattuto in Afghanistan negli anni ’80 contro le truppe sovietiche. O il successo dell’Uck, il movimento armato degli albanesi del Kosovo, che nel 1999 “vinse” solo grazie alla campagna aerea della Nato contro la Serbia e all’occupazione militare del territorio kosovaro da parte delle truppe alleate.

Il rapporto, presentato recentemente nella Situation Room della Casa Bianca, ha evidenziato di nuovo il rischio che in Siria armi e addestramento possano in realtà rafforzare i jihadisti e ha scatenato lo scetticismo di alcuni alti funzionari dell’amministrazione Obama per la scelta del presidente di intervenire di nuovo a sostegno di un’opposizione siriana, mai così divisa come oggi.

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