I versetti “imbarazzanti” della Bibbia: una buona risposta | UCCR

Una delle numerose accuse al cristianesimo cattolico è senz’altro quella di prendere alla lettera alcune parti accettabili della Bibbia, chiedendo di contestualizzare in relazione all’epoca in cui furono scritte e alla mentalità allora diffusa, le parti oggi inaccettabili. Un esempio è il versetto 21, 9 del Levitico (“Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, disonora suo padre; sarà arsa con il fuoco.”) o i versetti 39 e 40 del capitolo 10 del libro di Giosuè (“La prese con il suo re e tutti i suoi villaggi; li passarono a fil di spada e votarono allo sterminio ogni essere vivente che era in essa; non lasciò alcun superstite. Trattò Debir e il suo re come aveva trattato Ebron e come aveva trattato Libna e il suo re. Così Giosuè battè tutto il paese: le montagne, il Negheb, il bassopiano, le pendici e tutti i loro re. Non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, Dio di Israele.”).

L’accusa è ovviamente quella di ignorare, o fingendo di ignorare, che in tali versetti – a quel che i cristiani stessi sostengono – parla pur sempre il Dio in cui dicono di credere. Si tratta di un’accusa che giustamente Marco Beccaria, nel suo blog su Panorama, ha definito la cherry picking fallacy (letteralmente, la “fallacia del raccogliere ciliegie”, altresì detta “fallacia di evidenza incompleta”), sostenendo e tentando di dimostrare, però, che «questo argomento sia a sua volta fallace, almeno nei confronti del cattolicesimo».

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